Riflessione al vetriolo
Che noia, che barba, che noia. All’uscita da Palazzo Reale gli Irascibili siamo noi.
Basta, pietà! Sono anni che ci sfondano i cabasisi -si può dire, è politicamente corretto, lo dice Montalbano!- con ‘sta scuola di NY, il jazz, James Dean, il figlio che tutti vorrebbero avere (scherzo!), la American way of art… Si parla di tutto, boogie woogie, Martin Luther King e mai, o poco, di arte. Sì, perché se si passasse dalla sociologia alla pittura, dalla cronaca alla grammatica, ci si accorgerebbe che quella degli Irascibili è sicuramente la prima manifestazione nativa americana di arte moderna, ma non poi così estranea ed emancipata dalla matrice europea, ancora molto presente nel linguaggio pittorico della scuola di N.Y.
Le influenze cubiste, la scrittura automatica di matrice freudiana surrealista, la fascinazione che le teorie del Bauhaus, importate da Joseph Albers, ebbero sui protagonisti di quella stagione che scelsero l’astrazione geometrica come propria lingua, fino al ruolo esercitato da Sebastian Matta, cileno di nascita ma totalmente europeo di formazione, questi si può dire che i siano gli elementi che costituiscono l’alfabeto pittorico dell’Espressionismo astratto
Se proprio si vuole stabilire una frattura con il vecchio continente, questa va individuata con l’avvento della Pop Art che fa definitivamente coincidere comunicazione e cultura, i cui protagonisti non amavano affatto gli Irascibili, tacciati di romanticismo e distacco dalla “nuova realtà” che essi andavano raffigurando.
Oltre che un’eccezionale stagione di creazione artistica, la scuola di N.Y. divenne anche una grandiosa offensiva di marketing culturale dei vincitori della seconda guerra mondiale che giustamente cominciavano ad esercitare il loro potere anche nel campo delle idee e dei costumi, compreso la mitologia del ciucchettone creativo. Quanto poi alla semplificante equazione retorica democrazia-libertà-creazione artistica, per non incorrere in una logora contrapposizione di nomi ricorderei solo, e l’elenco potrebbe essere molto lungo, l’emblematica ed ancor oggi scandalosa figura di Ezra Pound, anche lui figlio dell’America profonda, il Far West, accusato di tradimento, imprigionato, rinchiuso in manicomio per quindici anni e unanimemente considerato uno dei maggiori poeti del secondo novecento.
A distanza di sessant’anni, quando ormai l’alito della guerra si è purificato con i chewing gum, ed è stato pagato il giusto tributo ai nostri liberatori dalle dittature, ci si aspettava non dico una revisione critica sulle relazioni culturali intercorse tra Europa e USA nella seconda metà del secolo, sulle quali ci sarebbe tanto da dire, ma neanche un diluvio di retorica da perline agli aborigeni ai quali si mostrano pochi quadri e tanta “comunicazzzzione”. Oltretutto queste operazioni culturali sanno di muffa, sono datate e concettualmente vecchie di vent’anni.
Sommessamente ricordo agli organizzatori che siamo, benché in crisi, nell’era dei viaggi low cost, del turismo culturale di massa (you know Bilbao?) e pure oltre, visto che gli eventi si possono gustare seduti in una comoda poltrona di sala cinematografica, come un bel concertone rock, gulp! o sulle piattaforme web che i grandi musei stanno approntando per rendere visitabili i loro tesori. Certe mostre o si fanno alla grandissima e diventano come il richiamo del muezzin, irresistibile per gli adepti della setta, se no si può benissimo rinunciare. Basta andare a Lugano e aver visto la mostra Klee-Melotti (17 marzo – 30 giugno 2013). Perfetta, frutto di un vero progetto curatoriale, dove le opere sono scelte una ad una, per sviluppare un racconto che confronta la storia dei due artisti mostrando come i loro percorsi, pur viaggiando su rette parallele e distanti cronologicamente, siano destinati ad incontrarsi.
Così, tanto per dire, mica mostre a pacchetto o pacco!
in punta di pennino
il Vostro LdR