Il 10 ottobre 2013, nell’anno della cultura italiana in Ungheria e ungherese in Italia, si aprirà al Museo di San Marco di Firenze una mostra incentrata sulla figura di Mattia Corvino, re d’Ungheria dal 1458 al 1490, e, sulla trama di rapporti che legarono quel re all’Umanesimo e a Firenze, alla sua cultura e alla sua arte.
E’ inevitabile che ciò comporti uno sguardo parallelo su Lorenzo il Magnifico, che di quella cultura e di quell’arte fiorentina fu assertore e propagatore, oltre che mecenate, e della storia fiorentina di quegli anni fu protagonista. “Nei rispettivi scenari di città, palazzi, cenacoli di intellettuali, grandeggiano i due protagonisti Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico e re Mattia Corvino, uniti non solo e non tanto da relazioni diplomatiche quanto dalla comune personale passione per il sapere antico e moderno racchiuso nei libri, a loro volta custoditi in biblioteche insigni anche per la loro bellezza” (Cristina Acidini).
L’idea di realizzare a Firenze una simile esposizione è stata concepita dal Soprintendente, Cristina Acidini, dopo la visione delle mostre realizzate a Budapest nel 2008 per il 550simo anniversario dell’ inizio del regno di Mattia Corvino in Ungheria, dal Museo Storico di Budapest e da altre istituzioni, che hanno aperto nuove e stimolanti prospettive di conoscenza sulle relazioni intercorse tra l’Ungheria e l’Italia già a partire dal Trecento e sulla diffusione dell’Umanesimo in terra ungherese.
La mostra si è concretizzata in un progetto espositivo, elaborato congiuntamente da studiosi ungheresi e fiorentini: Péter Farbaky, storico dell’arte e vicedirettore del Museo Storico di Budapest, Dániel Pócs, storico dell’arte dell’ Istituto di Storia dell’Arte dell’Accademia delle Scienze, Enikő Spekner storico e András Végh archeologo – storico, entrambi del Museo Storico di Budapest, Magnolia Scudieri, direttore del Museo di San Marco, e Lia Brunori.
La scelta di San Marco come sede non è casuale, dato il ruolo ricoperto nello sviluppo della cultura umanistica dalla Biblioteca del convento domenicano, nel cui ambiente monumentale la mostra è stata allestita. Costruita per volere di Cosimo de’ Medici nel 1444 e arricchita della straordinaria raccolta di testi appartenuti all’umanista Niccolò Niccoli, essa fu la prima biblioteca „ pubblica” del Rinascimento, dove, in epoca laurenziana, si incontravano personaggi come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Agnolo Poliziano. Tra questi, sono da annoverare anche coloro che direttamente, o indirettamente, entrarono in contatto con Mattia Corvino o con il suo ambiente.
La mostra si è posta, quindi, l’obiettivo di delineare, un panorama sulla capacità di penetrazione e di diffusione della cultura fiorentina in territorio ungherese, tramite gli umanisti e gli artisti, e sul suo utilizzo per costruire una rappresentazione celebrativa del re ungherese, che voleva raggiungere una posizione egemonica in Europa e porsi agli occhi degli altri potenti come il principale difensore della Cristianità contro il pericolo ottomano.
Pertanto, dopo aver tratteggiato l’ambiente culturale in cui si colloca la vicenda biografica e la formazione culturale di Mattia Corvino, la mostra cerca di ricostruire, attraverso l’esposizione di opere di artisti fiorentini appartenute o donate al re ungherese e di artisti ungheresi influenzati dai fiorentini, i contatti di quest’ultimo con Firenze. Tali contatti, avvenuti per lo più tramite i suoi emissari e consiglieri, risulteranno determinanti per le scelte culturali e artistiche che portarono al rinnovamento “rinascimentale” della corte ungherese. Esso interessò sia l’architettura che la decorazione scultorea del Palazzo di Buda e della residenza estiva di Visegrád, testimoniato in mostra da reperti scultorei “all’antica”, di grande importanza sul piano documentario, anche se frammentari, recuperati in scavi recenti.
Il fascino esercitato dall’arte fiorentina e dal gusto mediceo e gli stretti rapporti che legarono Buda a Firenze e Mattia a Lorenzo trovano la più evidente manifestazione nell’esposizione del prezioso Drappo del trono di re Mattia Corvino, uscito dalla bottega di Antonio del Pollaiolo. Il manufatto riassume in sé l’amore per i motivi classicheggianti allora in voga a Firenze, la presentazione di tipologie compositive elaborate dai maggiori artisti fiorentini del tempo e la straordinaria abilità nell’arte tessile raggiunta dalle manifatture locali.
La mostra è dunque occasione anche per sottolineare come Firenze, nella seconda metà del Quattrocento, attraverso i suoi artisti, fosse capace di divulgare presso sedi prestigiose come la corte ungherese un’immagine di città all’avanguardia sul piano culturale e manifatturiero. Immagine, assai proficua anche sul piano economico, che Lorenzo il Magnifico contribuì molto a creare e a diffondere, stimolando e arricchendo con le opere della sua collezione le conoscenze dell’Antichità negli artisti della sua cerchia e inviando molti di loro presso altri mecenati.
Una particolare attenzione viene riservata, in mostra, agli effetti che l’influenza dell’Umanesimo produsse nella ritrattistica ufficiale del re, che unisce moderni intenti realistici a tipologie “all’antica”, con risultati evidentemente a lui graditi. L’esemplare di maggior fascino si trova nella miniatura-ritratto contenuta in un volumetto encomiastico (Biblioteca Guarnacci, Volterra) dedicato a Mattia dal milanese Giovanni Francesco Marliano, realizzato a Milano nel1487, inoccasione delle nozze, in seguito annullate, del figlio naturale di Mattia Corvino, Giovanni, con Bianca Maria Sforza. Il bellissimo ritratto di Mattia, eseguito con ogni probabilità da Ambrogio de Predis, sembra rivelare la qualità di un’invenzione di Leonardo.
L’apprezzamento dell’arte rinascimentale alla corte di Buda ricevette certamente stimolo anche dalla presenza di Beatrice d’Aragona, che Mattia sposò nel 1476, le cui sembianze ci sono presentate in mostra dal mirabile busto-ritratto di Francesco Laurana (Frick Collection, New York).
La mostra offre anche la visione congiunta di due splendidi piatti di maiolica (Londra, Victoria and Albert Museum e New York, Metropolitan Museum) dono di nozze della famiglia Aragona per Beatrice e Mattia.
Nel percorso ideale di ricostruzione dei parallelismi esistenti tra Lorenzo e Mattia, la mostra ha focalizzato l’attenzione sulla predilezione per “lo Studiolo” – luogo dei tesori e luogo di nutrimento dell’anima – sul favore per il “mito di Ercole” in funzione autocelebrativa, sulla creazione di una biblioteca adeguata al rango, indispensabile strumento di conoscenza, ma anche di qualificazione e di legittimazione dinastica.
In questa sezione della mostra trovano così spazio preziosi codici, provenienti dalla dispersa biblioteca corviniana, fatti copiare e miniare dal re a Firenze negli ultimi anni del nono decennio del Quattrocento, una parte dei quali, rimasta incompiuta alla sua morte nel 1490, entrò poi in possesso dei Medici. Tra questi sono esposti due volumi della Bibbia monumentale di Mattia illustrata nel 1489-1490 dai maggiori miniatori fiorentini dell’epoca: Attavante e Gherardo e Monte di Giovanni. La miniatura della Bibbia, oltre ad essere un capolavoro d’arte costituisce la più esplicita rappresentazione celebrativa in forma simbolica di Mattia, e del suo potere, e del rapporto con Firenze, Lorenzo e la cerchia di umanisti.
Il percorso espositivo si chiude con uno sguardo sul “dopo Mattia”. Lo stanno a documentare due dipinti e un oggetto simbolo. Il primo dipinto è il bel ritratto, di scuola nordica, che raffigura Giovanni Corvino, l’erede a cui Mattia tentò invano di attribuire la legittimazione necessaria per succedergli, anche attraverso uno strategico matrimonio. L’altro è il ritratto di Bianca Maria Sforza, la sposa prescelta per le nozze che sfumarono per motivi politici, dipinto da Ambrogio de Predis (Washington, National Gallery).
L’oggetto simbolico è lo Stocco benedetto (Budapest, Nemzeti Múzeum) che il papa Giulio II donò nel1509 a Vladislao II, successore di Mattia, volendo identificarlo nel ruolo di difensore della Cristianità, come già altri papi avevano fatto prima con Mattia.
In conclusione, attraverso opere di varia tipologia – pittura, scultura, ceramica, miniatura – provenienti da vari musei e biblioteche d’Europa e d’Oltreoceano, la mostra vuole dimostrare come l’umanesimo ungherese affondi le sue radici in Italia, e come, in ambito artistico, sia stata determinante la diffusione dello stile rinascimentale fiorentino.
Un’eredità culturale rimasta fino ad oggi alla base della cultura ungherese.
La mostra – promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo conla Direzione Regionaleper i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana,la Soprintendenza Specialeper il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, il Museo di San Marco, Firenze Musei e l’ Ente Cassa di Risparmio di Firenze – è stata ideata da Cristina Acidini e, come il catalogo edito da Giunti, curata da Péter Farbaky, Dániel Pócs, András Végh, Enikö Spekner, Magnolia Scudieri e Lia Brunori.
Enel sostiene “Un anno ad arte2013”, e quindi questa mostra che ne fa parte, confermando l’attenzione per la valorizzazione culturale e artistica del patrimonio culturale e artistico della città di Firenze. Enel opera sul territorio fiorentino per coniugare l’innovazione tecnologica con la tradizione della cultura fiorentina e italiana, di cui questa iniziativa è espressione di grande spessore.