“Jack the Dripper” & “The Irascibles Twenty-six”
“La pittura è uno stato dell’Essere, è una scoperta del sé. Ogni bravo artista dipinge ciò che è”
(J. Pollock)
Una pioggia di colore drippato per Palazzo Reale, un’atmosfera drammatica per le sale a piano terra: luci soffuse e oceani d’olio sgocciolato dove tuffarsi e non riemergere più. Eccolo l’Autunno Americano di Milano. Rispediti sulla rive gauche i Maledetti di Montparnasse, via libera a gli Irascibili dell’East Coast. La Scuola di Parigi lascia il posto a quella di New York e il baricentro dell’arte si sposta dall’Europa all’America. Ora a Milano come una settantina di anni fa nel mondo.
“Irascibili” e inconfondibilmente “astratti”. Sono loro i padroni della scena artistica del secondo dopoguerra, quando crolla definitivamente il “mito della ragione” e può esplodere sulle tele la tensione esistenziale accumulata dall’uomo-artista. Una reazione al pervasivo “dominio della tecnica” e al fondamentalismo culturale paranoico maccartista. Si lancia, si sgocciola, si “segna” il colore sulla tela in uno “stato di grazia”, libero da lacci linguistici e mediazioni razionali, lasciando affiorare i “buchi neri” dell’inconscio: stratificazioni pulsionali materializzate in stratificazioni di colore. L’arte contro “l’uomo a una dimensione”.
Il principio è l’atto del dipingere. L’arte è un processo e non più un prodotto disse a suo tempo Rosenberg: l’azione che domina l’opera diventa più importante del risultato. È l’Action Painting, bellezza. E Pollock ne è principe, primus inter pares perchè Rothko, De Kooning, Francis, Kline e compagnia non sono certo da meno. Colleghi d’informale: 26 in mostra, 18 gli “Irascibles” ufficiali, 15 e basta invece quelli ritratti nella foto di Nina Leen del 1950 tutti belli tirati e incravattati, vestiti “da banchieri” per protesta dopo il rifiuto del Metropolitan di esporli in una rassegna di arte americana contemporanea. Quindi “incazzati” giustamente, ma geniali. “Imbevuti” di cubismo, surrealismo, fauvismo e delle varie avanguardie europee d’inizio secolo (Pollock anche molto di bourbon), protagonisti di una rivoluzione pittorica che attraverso l’automatismo del gesto ricerca la purezza del linguaggio: libero, irrazionale, sincero e soprattutto “made in USA“.
Pollock è la star della mostra con una decina di opere compresa sua “altezza” 124,6 cm per 269,4 cm (di lunghezza) “Numero 27” del 1950. Lo stesso anno in cui l’amico fotografo Hans Namuth prova a catturarne sulla pellicola anima e furor creativo in 10 minuti e mezzo di film-documentario scandito dalla strumentale di Morton Feldman. Il risultato seppur suggestivo sarà un fallimento. Troppo falso e costruito. Pollock se ne rende conto da subito e finirà col distruggere la prima tela, quella dipinta “en plein air” per esigenze cinematografiche che già la dice lunga sulla “messa in scena” creativa che tanto si contrappone alla “purezza artistica” ricercata.
Con il filmato diviso in due spezzoni, in mostra ci sono schizzi e disegni degli anni Trenta e Quaranta che divampano negli smalti d’artificio della “Number 17” (Fireworks, 1950). Una sala è tutta per la superstar “Number 27“, prestito eccezionale del Whitney Museum da dove provengono tutte le altre opere. Non troppe perché non sono neanche 50 prese sia dai depositi che dalla permanente del museo americano ma la “27” è di per sé uno spettacolo. L’allestimento avvolge nelle tenebre i quadri trascurando i ritmi Beat di quegli anni: jazz, blues, rock & roll e tutta l’energia che andava abbattendosi sulle im-posizioni maniache da Guerra fredda. Scelta discutibile ma affascinante. La potenza della pittura comunque sprizza e “spruzza” già di per sé da ogni poro delle tele esposte, che siano i monocromi di Rothko, i calligrammi di Tomlin, gli esseri biomorfici di Gorky, le “zip” verticali di Newman, i contrasti cromatici di Clyfford Still, le macchie di vernice di Sam Francis, i “black and white” di Motherwell, i violenti tratti neri di Kline o le figure torturate dal pennello di De Kooning. Tutti a calcare la passerella espositiva di Palazzo Reale fino al 16 febbraio 2014. Un piccolo compendio d’Espressionismo Astratto nelle sue varie declinazioni dagli anni Trenta fino a metà dei Sessanta. Poi sbarcherà a Midtown Manhattan la “factory” di Andrew Warhola Jr e i faccioni serigrafati di Liz Taylor e Marylin Monroe annichileranno l’astratto: la perfetta riproducibilità dell’opera desacralizzerà il gesto e il processo creativo, sarà Pop Art.
Jackson Pollock (Cody, 28 gennaio 1912 – Long Island, 11 agosto 1956)
“Jack the Dripper”. Un “eroe romantico” dalla psiche fragile, perennemente in analisi e alcolizzato. Maglietta, pantalone arrotolato alle caviglie, scarpe imbrattate di vernice, sigaretta in bocca e barba sfatta. Solitario ed individualista, timido e introverso: “La gente mi ha sempre spaventato e annoiato, perciò sono rimasto nel mio guscio“. Pollock incarna, a sua insaputa, l’ultra stereotipato binomio “genio-sregolatezza” dell’artista-tipo costruitogli “ad arte” da critica e media. Nella sua opera si fondono cultura europea – Jung e la psicanalisi, Picasso e Mirò, il Dada e il Surrealismo -, mistica orientale, muralismo messicano e “magia” creativa dei sand-painters pellerossa che lo ammalia fin da giovane. Muore a soli 44 anni schiantandosi ubriaco in macchina con l’amante.
Action Pollock
“Quando sono “dentro” i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di “presa di coscienza” mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l’immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. È solo quando mi capita di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e scadente. Altrimenti c’è una pura armonia, un semplice scambio di dare ed avere e il quadro riesce bene.” (J. Pollock)
Un artistico orgasmo: Pollock come uno sciamano in trance “monta” la tela distesa a terra. Il cre-autore è nel quadro, ne fa parte, ci cammina sopra, di più, ci danza liberamente seminando materia cromatica con un bastone sgocciolante vernice. Possiede l’opera in uno “stato di grazia“, inonda di colore l’inerme tela sottostante. È una creazione automatica, spontanea, subcosciente. Un atto puro. E su quella superficie vissuta e fatta propria si ammassano uno sopra l’altro strati di colore fino quasi a sgorgare dal quadro, sgocciolamenti che tessono filamenti di colore, arabeschi ricamati dall’inconscio dell’uomo. E in questa selva intricata Pollock ci si perde dentro, fino ad annegare nella sua stessa creazione.
NUMBER 27
NUMBER 17 – “Fireworks” (1950)
Le altre opere in mostra
I record d’asta degli Artisti in mostra:
Mark ROTHKO (1903-1970) Orange, Red, Yellow (1961) Prezzo 86.882.500 $ Stima 35.000.000$ /45.000.000 $ 08/05/2012, Christie’s, New York 236.2 cm x 206.4 cm, Olio/tela, 1961 |
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Clyfford E. STILL (1904-1980) “1949-A-No . 1” (1949) Prezzo 61.682.500 $ Stima 25.000.000 $ / 35.000.000 $ 09/11/2011, Sotheby’s, New York 236.2 cm x 200.7 cm, Olio/tela, 1949 |
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Jackson POLLOCK (1912-1956) Number 19, 1948 Prezzo 58.363.750 $ Stima 25.000.000 $ / 35.000.000 $ 15/05/2013, Christie’s, New York 78.4 cm x 57.4 cm, Olio, enamel/paper mounted/canvas, 1948 |
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Barnett NEWMAN (1905-1970) Onement VI Prezzo 43.845.000 $ Stima 30.000.000 $ / 40.000.000 $ 14/05/2013, Sotheby’s, New York 259.1 cm x 304.8 cm, Olio/tela, 1953 |
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Franz KLINE (1910-1962) Untitled (1957) Prezzo 40.402.500 $ Stima 20.000.000 $ / 30.000.000 $ 14/11/2012, Christie’s, New York 200.7 cm x 280.39 cm, Olio/tela, 1957 |
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Willem DE KOONING (1904-1997) Untitled XXV (1977) Prezzo 27.120.000 $ 15/11/2006, Christie’s, New York 195.7 cm x 223.5 cm, Olio/tela, 1977 |
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Philip GUSTON (1913-1980) “To Fellini” (1958) Prezzo 25.883.750 $ Stima 8.000.000 $ / 12.000.000 $ 15/05/2013 Christie’s New York 175.2 cm x 187.9 cm, Olio/tela, 1958 |
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David SMITH (1906-1965) «Cubi XXVIII» (1965) Prezzo 23.816.000 $ Stima 8.000.000 $ / 12.000.000 $ 09/11/2005, Sotheby’s, New York 274.3 cm x 279.39 cm x 114.3 cm, Metallo (stainless steel), 1965 |
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Arshile GORKY (1904-1948) Impatience Prezzo 6.802.500 $ Stima 6.000.000 $ / 8.000.000 $ 13/11/2012 Sotheby’s NEW YORK 62.2 cm x 77.5 cm, Olio/tela, Firmato/datato -45 |
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Adolph GOTTLIEB (1903-1974) “Cool Blast ” (1960) Prezzo 6.537.000 $ Stima 2.000.000 $ / 3.000.000 $ 13/05/2008, Christie’s, New York 228.6 cm x 177.8 cm, Olio/tela, 1960 |
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<scarica l’elenco completo dei record dei 26 artisti in mostra> |
La “riflessione al vetriolo” di Lucien de Rubempré – “Gli Irascibili siamo noi!“
Foto e testo: Luca Zuccala © ArtsLife
INFORMAZIONI UTILI
POLLOCK E GLI IRASCIBILI. La scuola di New York
A cura di Carter E. Foster e Luca Beatrice
Palazzo Reale, Milano
24 settembre 2013 – 16 febbraio 2014
Orari lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30
giovedì e sabato 9.30 – 22.30
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
Info e prenotazioni www.mostrapollock.it
www.comune.milano.it/palazzoreale
www.ticket.it/pollock tel. 02 54913
Ingresso
€ 11,00 INGRESSO SINGOLO INTERO audioguida gratuita
€ 9,50 INGRESSO SINGOLO RIDOTTO audioguida gratuita
€ 5,50 INGRESSO RIDOTTO SPECIALE audioguida gratuita
Gratuito audioguida gratuita
BIGLIETTO FAMIGLIA 1 o 2 adulti + bambini (da 6 a 14 anni) = adulto € 9,50 – bambino € 5,50
€ 9,50 Gruppi di almeno 15 persone
Visite guidate Ad Artem tel. 02 6597728 info@adartem.it
2 Commenti
Dall’epressionismo astratto al surrrealismo.
Commento questo bell’articolo per sottoporre all’attenzione di tutti cosa mi è capitato di “surreale” un martedì di qualche settimana fa.
decido di andare a vedere la bella (forse, chi può dirlo, chi l’ha vista?) mostra dedicata a Pollock a palazzo reale. esco dall’ufficio dieci minuti prima per essere sicura di arrivare entro le 18.30, ora di chiusura della BIGLIETTERIA. arrivo in orario ed entro per prendere due biglietti per me e una mia amica.
l’uomo alla cassa, alla mia richiesta di due biglietti, mi risponde a mio parere in modo surreale.
ecco il dialogo:
“dov’è la seconda persona?”
io: “sta arrivando”
bigliettaio: “se compri i biglietti e non arriva entro 4 minuti perdete i biglietti”.
cosa???? o.0
allora, la biglietteria chiude alle 18.30. La mostra alle 19.30. alle mie obiezioni, il bigliettaio, guardandomi con aria schifata, mi dice che se la biglietteria chiude alle 18.30 OVVIAMENTE anche l’ultimo accesso alla mostra è alle 18.30. ovviamente cosa?? visto che non è scritto questo nella pagina delle info da me consultata sul sito della mostra?
oltrettutto, se io desidero vedere pollock in 5 minuti, saranno pur fatti miei? tra l’altro, mi è stato detto da persone intelligenti e di cultura che la mostra è piccola, sarebbe stato fattibile vederla anche in 30 minuti.
ora la mia domanda è: ci si lamenta in continuazione che noi italiani siamo dei caproni. che non andiamo alle mostre. che gli inglesi hanno percentuali mooooolto superiori alle nostre per le visite alle mostre. ma io desidero spezzare una lancia a favore degli italiani caproni: come possono migliorare se gli vengono messi i bastoni tra le ruote?
questo si legge nella pagina delle info del sito http://www.mostrapollock.it:
ORARI DI APERTURA
lunedì
14.30 – 19.30
da martedì a domenica
9.30 – 19.30
giovedì e sabato
9.30 – 22.30
il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
in questa pagina non c’è scritto che l’ultimo ingresso coincide con la chiusura della biglietteria. è ingannevole.e comunque surrale. in un sacco di posti non è così, iniziano a sollecitare che si esca una ventina di minuti prima della chiusura della mostra.
in questo modo si costringe il pubblico ad andare solo il giovedi o nel week end, con super code.
gli impiegati sono tutti tagliati fuori in settimana.
la mostra è visitabile solo da studenti, pensionati o liberi professionisti. io credo che sia surreale.
inoltre riporto la testimonianza di una mia amica che ieri, 28 dicembre, si è recata a brera per l’iniziativa di “sabato notte al museo”.
quale notte??? l’apertura doveva essere fino a mezzanotte, ed è stata “spazzata fuori” malamente alle 23. mi ha raccontato che hanno addirittura spento le luci mentre erano dentro.
io suggerirei ai musei che decidono di aderire a queste inziative di ripensarci. perchè se le cose sono fatte con i piedi, il rischio è di disamorare ancora di più il visitatore, che ci penserà due volte a ritornare, dal momento che si è sentito ingannato e preso in giro.
io quel martedì sono andata a bermi uno sbagliato, ieri la mia amica pure.
Cheers Pollock!
Cheers Mibac!
ME-RA-VI-GLI-O-SO