The Sparkling Soul of Terracotta
9 ottobre – 8 novembre 2014, Galleria Caiati & Gallo, Milano
La Galleria Caiati & Gallo rende omaggio alla terracotta con un’ importante mostra dal titolo “The Sparkling Soul of Terracotta“(L’anima scintillante della terracotta, Sculture dal XVI al XIX secolo). Il cuore della esposizione è rappresentato da 18 opere altamente rappresentative della loro epoca, ritrovate grazie a un’intensa attività di ricerca e di recupero reso possibile anche attraverso il concorso concertato di importanti studiosi del settore.
E se ogni pezzo presentato racconta la storia stilistica e i gusti cangianti di ciascuna epoca, tra i più toccanti esemplari di queste raffinate creazioni vogliamo ricordare il gruppo con Giove e Semele dello scultore milanese Carlo Francesco Mellone, esponente di spicco del tardo-barocco lombardo. La scultura rappresenta l’incontro tumultuoso di Giove con l’amante Semele. Arricchiscono la scena di straordinaria complessita plastica due putti che bilanciano magistralmente, con una direttiva opposta di moto, l’impeto del re dell’Olimpo che si protende verso Semele, quasi conscia, nel gesto istintivo della mano sinistra, del destino di morte che l’attende. Le figure di Mellone sono leggere e guizzanti, quasi smaterializzate. Marchio della sua autografia è anche il delicato ovale del volto di Semele, dalla bocca molto piccola e dalle palpebre gonfie : è questa infatti una delle fisionomie replicate più volte dallo scultore nell’arco della sua carriera.
René Frémin (1672– 1744)
Allegoria dell’America ( ?)
51 cm
Questa statuina raffigura una fanciulla dall’anatomia possente, incoronata da una stravagante acconciatura di piume, che indossa un abito lungo con ampi spacchi che lasciano scoperte le gambe, nonché una sorta corazza dal taglio irregolare. La delicatezza dei gesti affettati, il volar via dei drappeggi e la base quadrata, richiamano da vicino le statue dei giardini della tenuta Reale de La Granja di Sant’Ildefonso, residenza estiva dei re di Spagna e consentono di inserirla nel corpus delle opere di Frémin. In qualità di scultore di corte di Filippo V, l’artista, forte della sua lunga esperienza presso i cantieri di Versailles, diresse i molteplici lavori di allestimento di fontane e sculture dei giardini de la Granja dal 1721 al 1738.
Ignazio (1724-1793) e Filippo Collino (1737-1800)
Coppia di sculture: Difesa della Gloria e Fortezza
Difesa della Gloria
90 cm
Raffinatezza descrittiva ed eleganza sono racchiuse in questa leggiadra figura femminile in posa eretta. I bellissimi lineamenti sono enfatizzati dalla folta chioma raccolta dietro la nuca. Grande risalto viene dato al corpo flessuoso esaltato da un abito maliziosamente aderente al corpo sul quale è drappeggito un morbido mantello le cui melodiose pieghe e increspature scendono fino ai piedi. La presenza di una spada e di un ramo di alloro con alcune bacche sostenuti tra le mani della donna, indicano il carattere allegorico della figura, che allude alla Difesa della Gloria.
Fortezza
90 cm
L’avvenente personaggio femminile, in posa a pendant con la precedente, appare ispirato a modelli di bellezza di matrice classica. E’ raffigurata stante, in atto di sostenere sulla spalla destra una clava nodosa, appoggiandosi lievemente con la mano sinistra ad uno scudo ovale sul quale compare il rilievo di un leone che assale un cinghiale.
Nata in coppia con Difesa della Gloria, l’opera mostra il particolare linguaggio stilistico, raffinato e colto, dei fratelli Collino, personaggi di spicco della scultura piemontese della seconda metà del XVIII secolo. Il loro classicismo tardobarocco è certo frutto dello studio delle fonti romano-toscane, ma anche dell’eclettismo della scultura veneta del tempo, che tuttavia si orienta ormai verso l’eleganza del mondo rocaille francese.
Antonio Begarelli (Modena 1499-1565)
Santa con libro (Santa Giustina ?)
96 cm
Le vicende della formazione culturale di Begarelli sono ignote almeno fino al 1522, quando, ancora minorenne (all’epoca, sotto i venticinque anni), irruppe sulla scena artistica modenese. Senza averne ricevuto incarico, realizza una grande scultura in terracotta, la Madonna di Piazza, che offre gratuitamente alla comunità. La statua ottiene grande consenso e gli procura negli anni seguenti l’incarico di artista ufficiale della città. Isolato nel contesto emiliano dove tuttavia sempre operò, Begarelli crea un mondo di misura classica e di intatta esemplarità, percettibile anche in questa finissima fanciulla, identificabile quasi certamente con s. Giustina anche per via del confronto con la Giustina dipinta da Giovanni Bellini (Milano, Museo Bagatti Valsecchi).
Antonio Calegari (Brescia 1699-1777)
Madonna con il Bambino
Misure 67 cm
Formatosi con il padre Sante, attinge dal linguaggio di Orazio Marinali quel dinamismo e vivacità chiaroscurale che caratterizzano le sue opere migliori. Nella fase più matura della sua produzione, Calegari si dota anche di un brillante approccio al linguaggio rococò, in sintonia con i più aggiornati esiti della pittura lagunare e soprattutto di Giambattista Tiepolo. Proprio a quest’ultimo momento, compreso tra la metà degli anni cinquanta alla prima parte del decennio successivo appartiene anche l’opera in esame, in ottimo stato di conservazione. A tale ristretto arco temporale appartengono infatti le sculture che più da vicino richiamano le forme della Madonna qui esposta, come la santa Rosa di San Lorenzo a Manerbio.
Guido Reni, da un modello di (Bologna 1575 – 1642)
Testa di ‘Seneca’
40 cm
La terracotta, dall’eccezionale modellato e in perfetto stato di conservazione, è immediatamente accostabile ad una serie di altri esemplari, del tutto simili, tanto in terracotta quanto in bronzo, stucco e pietra, riproducenti una testa d’invenzione modellata a rilievo in terracotta da Reni e detta il ‘Seneca’, sulla quale il primo a ragguagliarci è Carlo Cesare Malvasia, nella sua celebre Felsina pittrice (1678). Nella informatissima, biografia di Guido Reni, eccelso rappresentante della pittura bolognese del Seicento, Malvasia ricorda anche il Seneca tra altre opere plastiche di mano del Reni, replicato poi svariate volte anche in pittura. Delle almeno sette repliche fino ad oggi note della testa « caricata » e possente del vecchio filosofo solo le due già note e questa, inedita, in terracotta, potrebbero ambire all’attribuzione al maestro.
Jean Del Cour (Hamoir 1631 – Liegi 1707)
San Giovanni Evangelista
84,5 cm
Questa bella terracotta, assai rifinita, tradisce inequivocabilmente la mano di Jan Del Cour, massimo esponente della scultura barocca a Liegi in pieno Seicento: scolpì in marmo, bronzo e legno con modi raffinati che, accanto a elementi francesi e fiamminghi, rivelano l’influenza del Bernini, da lui conosciuto in gioventù a Roma. Il panneggio del San Giovanni, franto e tormentato, costituisce una cifra espressiva assolutamente tipica del maestro di Hamoir, come dimostra il confronto, ad esempio, con il ciclo delle statue in legno di tiglio della chiesa di Saint-Jacques a Liegi, realizzate tra il 1690 e il 1691, una delle imprese maggiori di Del Cour. Anche l’intenso patetismo del volto dell’evangelista trova un termine di paragone nell’opera dell’artista, si pensi alla terracotta raffigurante San Rocco del Musée Curtius, sempre a Liegi.
Lorenzo Sarti (attivo in Emilia e in Veneto dal 1722 al 1751)
La Trinità con l’Angelo Custode, e i santi Filippo Benizzi, Francesco da Paola, Filippo Neri e Carlo Borromeo
La Beata Vergine tra santa Caterina d’Alessandria e il Cristo Portacroce, con i santi Agostino, Domenico e Tommaso d’Aquino
Di questi due importanti altorilievi in terracotta, riportati alla calda cromia della creta da un recentissimo restauro che ha loro restituito anche l’intensità plastica del modellato, non conosciamo la provenienza né tantomeno la storia collezionistica. L’analisi formale induce a ricondurli nell’alveo della scuola nata entro le mura felsinee nella prima metà del Settecento, sotto l’egida dapprima di Giuseppe Maria Mazza e in seguito del primo allievo di questi, Angelo Gabriello Piò. I due rilievi, di formato rettangolare, dovettero probabilmente essere concepiti quali pendant: essipresentano infatti dimensioni analoghe e un medesimo impaginato che prevede una struttura piramidale con al vertice un gruppo sacro, e nella parte inferiore, disposte secondo un modulo ordinato e simmetricamente tripartito, che raffigura schiere di Santi descritti con un lessico devozionale e didascalico.