20 settembre 2014 – 22 febbraio 2015, Roma, Chiostro del Bramante
Il Chiostro del Bramante riapre con la mostra antologica (oltre 150 opere), curata da Marco Bussagli, dedicata all’incisore e grafico olandese Maurits Cornelis Escher (n. 1898 – m. 1972). Dopo un viaggio in Italia e Spagna, dove resta colpito dalla decorazione dei mosaici moreschi dell’Alhambra, l’artista si trasferisce a Roma nel 1923.
A Ravello, dove scrive: «Voglio trovare la felicità nelle piccole cose… copiare queste minuscole cose il più precisamente possibile», incontra la ricca svizzera Jetta Umiker, che sposa nel 1924. Si stabiliscono a Frascati per poi trasferirsi nel 1927 a Monteverde (via Poerio n. 122) in una palazzina tuttora esistente di cui disegna il pavimento. Nella capitale, dove la sua latente depressione è attenuata, entra in contatto con diverse personalità: Goedefridus Johannes Hoogewerff, che gli procura dei lavori e gli organizza mostre, lo storico dell’arte Adolfo Venturi e l’allievo di quest’ultimo: Federico Hermanin, funzionario alle Belle Arti.
La mostra inizia con la irresistibile attrazione di Escher per i paesaggi italiani: i tetti di Siena, Tropea, Castrovalva, Vitorchiano e i monti di Pentedattilo. Dello spazio ricerca le regole sottese, la geometria, e dagli anni ’30 si dedica ad architetture e prospettive: San Michele dei Frisoni, San Pietro e alcuni notturni della capitale.
Nel 1935, in seguito alla preoccupante ascesa del fascismo in Italia, si trasferisce in Svizzera dove esegue la sua celebre “Mano con sfera riflettente”, una delle sue stampe più famose. Un autorevole precedente è rintracciabile nell'”Autoritratto allo specchio convesso” (1523-24) del Parmigianino, con la mano del pittore in primo piano, probabile fonte di ispirazione per l’opera di Escher.
Le sue prospettive curvilinee e le superfici specchianti sferiche o convesse rinviano alla pittura fiamminga, che amava rappresentare nello spazio piccolo di uno specchio quello di una intera sala, come nel Ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck (1434). Dopo il suo ritorno all’Alhambra (1936) l’incisore olandese – che scrisse: «I Mori erano maestri proprio nel riempire completamente superfici con un motivo sempre uguale» – si dedica alla tassellatura con oggetti e forme naturali, la cui esecuzione avveniva sulla base di regole precise: per es. tasselli adiacenti non potevano avere lo stesso colore.
Studiò i principi della Gestalt sulla percezione visiva e si dedicò alla decorazione con figure geometriche che ruotava, traslava e deformava suscitando l’interesse di matematici e cristallografi (come il suo fratellastro, professore di geologia). Provava un’autentica ammirazione per la regolarità geometrica, dietro le cose, la natura e i cristalli: «Nei principi fondamentali dei cristalli c’è qualcosa che toglie il fiato».
Senza fiato il visitatore rimane davanti all’effetto iperrealista della “Pozzanghera” (xilografia, 1952) e dei “Tre mondi” (litografia 1955), in cui è rappresentato il mondo sopra e sotto la superficie dell’acqua. Il suo gusto per il fantastico e l’evoluzione delle forme lo pone in rapporto con l’arte visionaria di Hieronymus Bosch, come in Metamorfosi II (1939-40 lungo quasi quattro metri) in cui le forme geometriche si animano diventando animali per poi trasformarsi in paesaggi e tornare ad essere linee. La critica si è spesso interrogata sulla presenza o meno di un significato nelle sue incisioni, come nel caso del suo “Occhio” (1946), nella cui pupilla è riflesso un teschio, forse un’allusione al destino incombente dell’uomo o alla tragedia della guerra da poco finita.
Alla base dei suoi ‘oggetti impossibili’, dovuti ad intenzionali errori prospettici, c’è un’attenta osservazione di opere d’arte medievali, dove lo spazio è funzionale alla rappresentazione del sacro, non del vero. Nel “Belvedere” del 1958 la chiave di lettura dell’opera, vista dal basso e dall’alto, è il cubo di Necker (cubo impossibile del 1832 del cristallografo svizzero) che il personaggio seduto tiene in mano, la spiegazione è nel disegno sul pavimento dove sono indicati i due punti di paradosso del cubo, causa dell’ambiguità. Conosceva l’opera del grande incisore italiano Giovanni Battista Piranesi, di cui la mostra propone l’accostamento con “Capriccio di scale, arcate e capriate” (1761, acquaforte e bulino). Un ulteriore esperimento dell’artista olandese è quello dei volti ridotti a bucce, come Vincolo d’unione (1956), ritratto idealizzato dei coniugi Escher.
La mostra catturerà l’interesse dei più giovani anche per le occasioni di sperimentazione di effetti ottici e la possibilità di scattare artistici selfie. Del resto gli psichedelici mondi escheriani hanno già suggestionato le generazioni degli anni ’60 e ’70. Tale ammirazione però non fu mai apprezzata da Escher, che rifiutò persino ai Rolling Stones di eseguire o prestare un suo disegno per la copertina di un loro LP.
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INFO:
ESCHER
a cura di Marco Bussagli
20 Settembre 2014 – 22 Febbraio 2015
Chiostro del Bramante
Via della Pace, 00186 Roma
ORARIO APERTURA: Tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00
Sabato e domenica dalle 10.00 alle 21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
BIGLIETTI: Intero € 13,00 (audioguida inclusa) – Ridotto € 11,00 (audioguida inclusa)
Ridotto bambini € 5,00 bambini da 4 a 11 anni non compiuti – Ridotto Scuole € 5,00
*Diritti di prenotazione e prevendita: € 1,50 per persona, Scolaresche € 1,00 per studente
LABORATORIO DIDATTICO: Per bambini da 4 a 11 anni
INFORMAZIONI – PRENOTAZIONI | T (+39) 06 916 508 451
Biglietteria online: Ticket.it/Escher
Informazioni didattica: didattica@arthemisia.it