Bilal Berreni era un giovane artista di strada francese molto conosciuto, che un anno fa, il 29 luglio del 2013, fu ucciso da 4 ragazzi che stavano giocando a dadi a St. Antoine e Alfred, nei pressi dei vecchi grattacieli Brewster, quei grandi palazzi di mura rosse con le finestre che sembrano gli occhi di una mosca immortalati dal cinema americano ogni volta che parlava di Detroit. Berreni era venuto a vivere nella storica città del Michigan proprio per lavorare a un progetto di street art su quelle case.
E’ finita che hanno dato un nome al suo cadavere soltanto a marzo, dalle impronte digitali. Gli avevano sparato in faccia e gliel’avevano spappolata. Uno dei 4 assassini è un bambino di 14 anni e ai giudici ha raccontato come uno di loro abbia tirato l’ultimo dado prima di rapinarlo. Gli hanno preso i soldi: 300 euro, una carta di credito e un mazzo di carte da bridge. Poi uno gli ha puntato la pistola in faccia e ha sparato. Al ragazzino sono toccate 50 euro. Il prezzo di una vita. «Beh, con quei soldi ho comprato junk food e erbacce», ha confessato candidamente. Quando si è saputo che la vittima era Bilal Berreni, un 23enne street art francese che usava lo psuedonimo di Zoo Project per i suoi murales di strada con i rivoluzionari tunisini o i profughi libici, per la prima volta Detroit s’è come ribellata al suo destino.
La giornalista Gina Damron racconta che molti sono insorti per il buon nome della città: «Non si può far passare l’immagine che chi viene a lavorare qui rischia la vita per niente».
In realtà, Detroit, la capitale dell’automobile che aveva fatto nascere la prima autostrada del mondo, ormai è diventata nient’altro che una città fantasma, quasi irriconoscibile nel grande buio dei suoi vuoti. Con il suo fallimento per un debito da 18 miliardi di dollari, 70mila edifici abbandonati, ville più giardino venduti a 300 euro, e un tasso di disoccupazione che supera il 30 per cento, con le strade di alcuni ex quartieri residenziali percorse esclusivamente da bande di teppisti e spacciatori di crac, oggi Detroit è considerata la metropoli più pericolosa degli Stati Uniti.
Eppure già una volta dopo la grande crisi della fine degli Anni Sessanta, aveva saputo ritrovare una sua immagine affascinante, attraverso la cultura, l’arte e la musica, perché non era solo la metropoli dura e violenta raccontata da Elmore Leonard, uno dei più grandi scrittori americani, ma anche la città della technomusic, della casa discografica Motown Record, e soprattutto della street art, che Tyree Guyton lanciò con il progetto Heidelberg, nelle strade dove lui abitava, diventate sempre più tristi e pericolose, con la crisi che non aveva cancellato solo il lavoro, ma anche le facce della gente, i luoghi delle nostre abitudini e le scansioni immutabili del tempo, assieme agli amori e a tutti quei sentimenti che appartengono alla banalità della vita, al suo cammino dolente e meraviglioso.
Tyree cominciò a dipingere le facciate delle abitazioni abbandonate e addobbare le strade con oggetti dismessi, coinvolgendo tutti quelli che poteva, bambini, ragazzi, altri artisti. Il suo sogno si allargò ad altri quartieri e ad altra gente, e in una vecchi stazione di polizia della zona messicana, 20 volontari ridavano luce agli scheleteri arrugginiti delle fabbriche chiuse. Allora erano in tanti che parlavano di arte come riscatto sociale. Dicevano che «la bellezza salverà Detroit». Forse è successo. Ma oggi?
La morte di Bilal Berreni è un po’ la morte del suo sogno, della sua volontà di rinascita. Detroit, nella contea del Mayne, Michigan, è ormai un’altra città: ha dimezzato gli abitanti dagli Anni Sessanta, quando sfioravano il milione e 300mila, ha quasi completamente cancellato una intera fascia sociale, quella della media piccola borghesia, e ha cambiato la sua immagine, così da rendere irriconoscibile il suo passato.
Nel 1961 il 70 per cento dei suoi abitanti erano bianchi. Oggi l’80 per cento è nero. Se questa mutazione uccide anche l’arte che cerca di rallentarla, che cosa ne sarà del nostro futuro? Torino e Milano sono le città italiane dove la street art ha trovato più spazio, forse anche perché la loro storia era quella più vicina a Detroit. Ma adesso anche noi dovremmo chiederci se è tutto questo quello che ci aspetta?