4 ottobre 2014 – 8 febbraio 2015, Complesso del Vittoriano, Roma
Nel ciclo di esposizioni dedicate alla pittura italiana del Ventesimo secolo (iniziato nel 2012 con Renato Guttuso e che proseguirà in primavera con Giorgio Morandi) il Complesso del Vittoriano ospita una importante retrospettiva su Mario Sironi (a 130 anni dalla nascita), curata da Elena Pontiggia, una delle maggiori esperte dell’artista, e in collaborazione con l’Archivio Sironi di Romana Sironi, nipote del maestro.
La mostra ripercorre – attraverso novanta dipinti, bozzetti, cartoni preparatori e il carteggio con i rappresentanti della cultura dell’epoca (Piacentini, Campigli, Sarfatti, Ada Negri etc.) – l’attività di Sironi (illustratore, scenografo, critico d’arte, poeta, architetto e pittore), le cui vicende artistiche sono profondamente legate alla storia italiana: le due guerre, il regime fascista e la sua disfatta.
Orfano di padre a tredici anni, avido lettore e studioso di musica, affetto da crisi depressive, inizia a lavorare come illustratore per l’Avanti della Domenica (1905), disegna copertine per riviste e pubblicità. Della sua produzione grafica sono esposti 25 bozzetti (anni ’30-’50), particolarmente interessanti per la loro carica innovativa e per la sua collaborazione con la Fiat.
L’influenza dell’art-nouveau è rintracciabile nei suoi primi disegni a china (Cartolina, copia da Utamaro, 1901 e Ars et Amor, ex libris di Giulia Sironi, 1901-2) e quella del divisionismo nel suo esordio in pittura: La madre che cuce (1905-6). Stringe rapporti di amicizia con Balla, Boccioni e Severini, artisti che lo spingeranno verso il futurismo, di cui però non condivide la furia iconoclasta, lui era innamorato della classicità (Boccioni: «Ha la casa piena di gessi e copia… 25 volte una testa greca!!!»). E’ un pittore di volumi, esprime la solidità delle cose, il suo Camion (1914-15) è soprattutto un volume.
Si trasferisce a Milano, dove c’era Marinetti, e allo scoppio della guerra si arruola nel battaglione lombardo ciclisti insieme a tutti i futuristi. Nel 1919 si sposa e partecipa alle riunioni del Fascio milanese. Con i suoi malinconici paesaggi urbani, degli anni ’20, la città diventa astrazione e le alienanti periferie sono piene di solitudine esistenziale. Esegue tavole per Le industrie italiane illustrate e, dal 1921 fino al 1942, collabora con il quotidiano di Mussolini, il Popolo d’Italia (969 illustrazioni).
Il «notissimo sconosciuto», come lo definì lo scrittore Guido Ceronetti, partecipa alla Biennale di Venezia del 1924 con L’architetto (1922-23) e L’allieva. Seguirà nel 1925 la Solitudine, forse il suo dipinto più bello e inquietante. Un «uomo introverso e pieno di complessi» (Amedeo Sarfatti) che oscilla tra la solitudine interiore e la volontà di aderire e propagandare valori collettivi. Nel 1930 conosce quella che sarà la sua compagna per il resto della sua vita: Mimì Costa (si separa dalla moglie nel 1932). Sono gli anni della sua adesione al fascismo, fatto che condizionerà il giudizio sulla sua attività artistica.
Per lui il fascismo significava la rinascita dell’Italia, della sua arte, il superamento del quadro come oggetto privato e “andare verso il popolo” (Mussolini), ovvero verso un’arte pubblica: «il muro non è una tela deve avere una funzione sociale», sui muri sono espressi i valori di famiglia, patria, cultura, lavoro e giustizia. L’arte «deve produrre l’etica del nostro tempo» (Sironi, il Manifesto della pittura murale, 1933). Gli vengono commissionate grandi opere murali: l’Italia tra le Arti e le Scienze (1935), affresco per l’Aula Magna dell’Università di Roma (costruita da Piacentini); L’Italia Corporativa (1936), mosaico per la VI Triennale milanese; gli affreschi per la Casa Madre di Mutilati di Guerra accanto a Castel Sant’Angelo e La Carta del Lavoro (1932), vetrata di 75 mq., che celebra il documento della riforma del lavoro e orna lo scalone d’onore dell’attuale Ministero delle Attività Produttive (progettato da Piacentini) in via Veneto. Sulla vetrata, i cui i cartoni preparatori sono presenti in mostra, sono raffigurati: il lavoro, le arti e i mestieri. L’opera sarà visitabile dopo i lavori (supportati da Acea) di pulitura e consolidamento che inizieranno nei prossimi giorni. L’umanità sofferente di Mario Sironi assurge a un carattere di sacralità nell’assolvimento del proprio dovere: il lavoro.
L’Eclisse (1943) segna il suo periodo neometafisico e dopo la guerra torna ai quadri da cavalletto. La sua pittura fu definita da Gianni Rodari: «una lezione di tragedia». Il 25 aprile l’artista, fermato da un gruppo di partigiani a cui Rodari apparteneva, ebbe salva la vita grazie al fatto di essere riconosciuto proprio dallo scrittore.
Sironi – stimato da Picasso: «Avete un grande Artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto» – non rinnegò mai il suo passato e trascorse gli ultimi anni della sua vita nell’isolamento, annientato anche dal suicidio della giovane figlia Rosanna (1948). Le sue ultime opere, Il mio funerale (1960) e l’Apocalisse (1961), sono il triste presagio della morte imminente: 13 agosto 1961.
INFORMAZIONI UTILI:
MARIO SIRONI 1885 -1961
4 ottobre 2014 – 8 febbraio 2015
Complesso del Vittoriano, Ala Brasini
Salone delle mostre temporanee
Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali)
Roma
ORARI dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30; venerdì e sabato 9.30 – 22.00; domenica 9.30 – 20.30
La biglietteria chiude un’ora prima
COSTO DEL BIGLIETTO
€ 12,00 intero; € 9,00 ridotto
Per maggiori informazioni:
tel. 06/6780664
Catalogo Skira, Milano