È passato anche in Italia, in concerto D’Angelo, uno dei padri fondatori del nu soul reduce da una vera e propria resurrezione musicale.
I decani del neo suol, dopo un primo esplosivo momento di genialità e successo, ammettiamolo, non se la sono vista molta bene. Da Lauryn Hill a Erykah Badu, l’elenco delle loro stramberie in questi ultimi anni ha riempito le pagine dei tabloid più della loro musica. E proprio nell’infinita attesa del ritorno di Miss Lauryn Hill, a breve attesa Roma per un’attesissima data live, a sorpresa è rispuntato D’Angelo.
Black Messiah è il suo terzo album in studio e arriva a 14 anni di distanza dal precedente, Voodoo. Il disco è stato pubblicato a nome D’Angelo and The Vanguard nel dicembre 2014.
Voodoo ha visto la luce nel 2000 rivelandosi una comunione quasi perfetta di soul, funky e hip-hop tonfo. Come biglietto da visita il videoclip di Untitled (How Does It Feel?); uno sguardo sensuale e insistente che scivola dal volto di D’Angelo fino all’obelico, e ritorno.
D’Angelo con Black Messiah, nonostante l’incursione occasionale nel jazz e blues, riprende le fila del precedente album confermando la capacità di filtrare i grandi modelli del passato (da Marvin Gaye, Al Green, Roberta Flack fino a Smockey Robinson e Eric Clapton) in uno stile personale, coerente e contemporaneo, a volte malinconico, a volte sexy.
D’Angelo è arrivato anche in Italia per due concerti che lo hanno visto protagonista insieme alla sua band, i the Vanguard, il 6 luglio si è esibito sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma mentre il 7 luglio è stata la volta di Milano, all’interno della rassegna Estathé Market Sound (in arrivo, tra gli altri, Nicki Minaj, Francesco Renga, Giorgio Moroder e i Subsonica).
Ad accompagnarlo sul palco nel corso di questo tour, intitolato The Second Coming: Pino Palladino al basso), Chris Dave (batteria), Jesse Johnson (chitarra), Isaiah Sharkey (chitarra), Cleo “Pookie” Sample (tastiere) e Joi Gilliam, una corista sinuosa come una pantera, quasi impossibile staccarle gli occhi di dosso.
D’Angelo apre il concerto con Ain’t that easy, brano d’apertura anche in Black Messiah, che subito manda il pubblico in visibilio. La folla non è delle più consistenti, ma i fan sono calorosi quasi quanto il clima torrido e immediatamente l’ora di ritardo che aveva generato tra i presenti un po’ di malumore è bell’e che dimenticata.
Sul palco D’Angelo è un vero re, si muove con padronanza tra il funk e lo psichedelico, trascinando tutti in irresistibile ancheggiamento hip hop. In scaletta si susseguono Betray my heart, che filtra attraverso il funky un sensualissimo, ma quasi scanzonato sottobosco jazz.
Con Spanish Joint, da Voodoo, si fa un salto nel passato, ma le sonorità sono le medesime, con un tocco tropical che, se possibile, rende il palco ancora più incandescente.
Arriva poi il momento di Really Love, capolavoro di Black Messiah: il falsetto di D’Angelo rincorre le corde in un brano sognante che ricorda il Prince dei tempi migliori. In molti hanno definito D’Angelo l’erede di Prince. Forse sì, forse no. Sicuramente in comune hanno la grande capacità di fondere attraverso il funky un ricchissimo eclettismo musicale.
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Pubblico con gli occhi a cuore per Brown Sugar, brano d’apertura dell’album d’esordio di D’Angelo, correva l’anno 1995. Sembra passata una vita, ma quelli suonati dai the Vanguard sembrano brani senza tempo.
Con il funky e i falsetti di Sugah Daddy si torna in piena zona Prince.
Una breve pausa nel dietro le quinte per D’Angelo e la sua band prima del gran finale con Till It’s Done e, l’attesissima- iconica, Untitled (How Does It Feel) suonata in una lunghissima versione, in un eterno refrain, mentre la band, un membro per volta abbandona il palco. Restano solo Joi Gilliam e D’Angelo. Il refrain di How Does It Feel continua con la calda voce di lei fino a che sul palco resta solo lui, la voce del Black Messiah che delizia per un ultima volta il pubblico estasiato, prima dei saluti e dei ringraziamenti. Peace & Love.