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Lo sboom di Adriana Polveroni

Adriana Polveroni
“Lo sboom. Il decennio dell’arte pazza tra bolla finanziaria e flop concettuale”
Silvana Editoriale, 2009

 
 
 

 
____________I commenti di  ArsLife_____________
 
SCRITTO BENE MA DICE POCO 
 
di Alice Capiaghi
 
Presentato giovedì sera 19 novembre alla Fondazione Pomodoro di Milano, il libro di Adriana Polveroni “Lo sboom. Il decennio dell’arte pazza tra bolla finanziaria e flop concettuale”, Silvana Editoriale, 2009
Il volumetto, scritto in modo chiaro e leggibile dalla giornalista Adriana Polveroni, potrebbe lasciare il lettore a bocca asciutta. Dato il titolo ci si aspetterebbe un’analisi su base economica ovvero sociologica dell’ambiente legato all’arte; quello che si ritrova è invece semplicemente una fotografia della situazione attuale, senza un serio esame di quali siano le ragioni di questo sviluppo. Si parla di crisi ma non ci si chiede quali siano stati i meccanismi – materiali e psicologici – che hanno portato tale crisi economica all’interno del mercato dell’arte. 
Il libro, non certo rivolto in prima battuta agli operatori del mercato dell’arte, ma pur sempre una buona e piacevole lettura per il pubblico più generale, pecca nel non avere un serio supporto economico. Probabilmente pensato per un lettore non desideroso di studiare modelli micro e macroeconomici, manca di coraggio nell’introdurre tali argomenti che, spiegati in termini semplici, possono solo essere di aiuto anche al non accademico. Eliminando – più o meno coscienziosamente – tutta questa parte di sostegno tecnico, il testo ne esce indebolito e privato di passaggi logici fondamentali. Quello che più colpisce è l’utilizzo già nel titolo del termine “bolla” quando poi la Polveroni non spiega cosa sia, o per lo meno cosa intenda, con l’abusato termine. La volontà di semplificare temi complessi come quelli economici non giustifica il renderli semplicistici. La mancanza di sofisticazione spesso si traduce nella perdita di dati essenziali. 
Il libro finisce così per non essere né carne né pesce, stando a cavallo tra un testo d’opinione sociologica e uno studio di carattere economico. 
Sebbene si tratti di un saggio piuttosto naïve non mancano gli spunti di riflessione. Peccato solo che nel testo non vi sia stato approfondimento. La discussione può certo continuare negli ambienti appositi e, perché no, anche tra quel pubblico fatto di appassionati che si troveranno il volumetto per le mani. L’augurio è sincero benché pecchi di ottimismo visto la totale mancanza di comunicazione che ha permeato anche coloro che il libro ieri sera l’hanno presentato. 
 
____________I commenti di  ArsLife_____________
 
LO “SBOOM”? UNA SBUFALA 
 
di Cristiana Curti
 
Presentato alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano il libro di Adriana Polveroni “Lo Sboom – Il decennio dell’arte pazza tra bolla finanziaria e flop concettuale”alla presenza dell’autrice, della critica Angela Vettese, dell’artista Aberto Garutti e dell’economista Pier Luigi Sacco. Era previsto anche il gallerista Massimo Di Carlo (assenza che pesò…), ma non si vide.

Se pensavate di sentire parlare – una volta tanto senza ipocrisie, ma con il distacco di chi osserva scientificamente un fenomeno – del mercato dell’arte dell’ultimo decennio, dei suoi protagonisti, delle sue perversioni e delle sue iniquità, della straordinarietà di un vero e proprio crack borsistico che per la prima volta nella storia dell’uomo moderno coinvolge sistematicamente (ovvero, alla radice del sistema) anche un intero comparto economico connesso intimamente alla cultura, sareste rimasti delusi. Eppure, il titolo dell’incontro e del libro della Polveroni è inequivocabile.

E perché mai, allora, l’autrice si prese l’affanno di scrivere di un argomento che attira davvero l’attenzione, un fenomeno reale e complesso, un’assoluta novità nel mondo dell’economia e dell’arte, se poi, durante la discussione sul proprio scritto di fronte a una platea di uditori (e possibili lettori) essa medesima ammette candidamente e più volte che:
a) il libro è stato scritto tempo addietro (?), pertanto non ricorda i dettagli dei singoli spunti paradigmatici (ma non è un digesto ragionato sulla Seconda Guerra Mondiale!), benché l’autrice altro non fece nelle ultime settimane che partecipare a interviste e a presentazioni sul volumetto;
b) è poco interessata al mercato dell’arte oggetto della sua analisi?

Chi scrive era in attesa di apprendere non tanto dettagliate e puntute teorie economiche che poco avrebbero interessato gli astanti, ma almeno un’analisi pulita e scarna di ciò che è successo, fatti alla mano, nel circuito dell’arte mondiale e, di rimbalzo, anche nel nostro Paese, più tetragono ad assumere comportamenti estremi (anche perché a corto di risorse dedicate) ma pur sempre per la prima volta alle prese con un evento che ha fatto ridisegnare, non da molto, ma nella sostanza, la mappatura delle gallerie, ripensare le attese di artisti e galleristi e sparigliare la comunità dei nuovi collezionisti.

Avrei voluto ascoltare di come e perché si moltiplicò senza motivo apparente l’interesse del vasto pubblico intorno al “focolare” dell’arte contemporanea, sentita come il nuovo dio da adorare per far parte dell’élite (evidentemente non più così elitaria…), della quale auscultare il polso perché da Andy Warhol in poi davvero il sentimento comune della contemporaneità passa attraverso l’arte (una conquista reale e, secondo me, un vantaggio potente, una chiave di lettura privilegiata e diffusa acquisita permanentemente dalla società occidentale della seconda metà del XX secolo).

Avrei voluto ragionare intorno a come si evolvono ora la fortuna presto costruita dai protagonisti (primi fra tutti i collezionisti) e le distorsioni e le aberrazioni portate dall’efficienza affannata e compulsiva di una variegatissima e interessante popolazione di nuovi addetti ai lavori, fra cui spiccano figure allocate non più centralmente in seno a storia e circolazione dell’arte (artista, critico, mercante) ma “aggiunte” a supporto organizzativo della macchina spettacolare (curatori, editori, promotori finanziari delle unità di comparto che le banche dedicarono con diversi impulso e interesse alla materia).

Avrei voluto capire perché il denaro entra in modo vincolante, nel senso dell’effetto sul significato dell’opera d’arte, sia nella realizzazione dell’opera stessa sia nelle scelte concettuali e poetiche dell’artista e come la visione dell’arte e la sua percezione ne è risultata deformata (e non si tornerà più indietro: è meglio che, questo boccone, lo inghiottiamo).

Avrei voluto verificare il caso delle poche aree artistiche ancora quasi vergini rispetto a questo sconcertante arrembaggio globale, come Centro e Sud America o l’Africa o il “continente” indiano, in quale maniera o misura la produzione artistica di quelle terre, che non può contare sull’appoggio economico delle potentissime lobbies occidentali, ma nelle ristrettezze produce arte e, non raramente, quale arte! Avrei voluto capire se davvero, come pare, l’elemento etico è fondamentale per riappropriarsi del significato del fare arte anche da noi, ma in che misura è ora necessario isolarlo rispetto agli effetti di una storia economica da cui non si può del tutto prendere le distanze.

Avrei voluto analizzare le dinamiche finanziarie e di mercato puro alle quali l’economia dell’arte dell’ultimo decennio (per antonomasia la più volatile e altalenante in assoluto, quella che nessun esperto avrebbe mai voluto sino a poco tempo fa come oggetto di indagine nei propri grafici previsionali) dovette giocoforza soccombere alla violenza speculativa e con quali mezzi – tutto sommato – alla fine uscirà con le proprie gambe e non con l’aiuto della finanza dall’ empasse in cui la stupidità dell’uomo occidentale ha gettato anche questo aspetto fondante della propria esistenza, uno fra i pochi motivi per cui si sta su questo pianeta.

Avrei voluto sentire a quali bisogni rispondevano le emerite nefandezze spacciate da scaltri “piazzisti” come opere d’arte aldilà e di qua dell’equatore a costi astronomici, le stesse nefandezze che coagularono poderose correnti di liquidità in favore di arte discutibile nei nuovissimi mercati (penso, ma non solo, alla Cina), flussi di denaro che fuorviarono dalla vera e seria ricerca che pure quelle stesse comunità artistiche riuscirono, malgrado tutto, a maturare. Avrei voluto conoscere le reazioni, a crollo di mercato avvenuto, delle centinaia di presunti collezionisti i quali, così come avvenne nelle City di mezzo mondo, tentarono troppo tardi di disfarsi delle medesime porcherie che, peraltro, mai compresero né, tantomeno, giudicarono, perché questo era un aspetto marginale del rito dell’acquisto confortato dai suoi sacerdoti.

Avrei voluto infine sapere che ne è ora dei musei che, soprattutto negli Stati Uniti, vivono di sovvenzioni drasticamente decurtate e di come l’attività e la politica culturale di quest’ultimo anno sia stata modificata, in tutto il mondo, dalla crisi economica.

Insomma, avrei voluto parlare di arte e di denaro agli albori del XXI secolo. Né tanto di più né tanto di meno.

Di tutto ciò, malgrado gl’improbi quanto vani sforzi di Angela Vettese, l’unica a tentare di “rimanere sul pezzo” (perché fu la Vettese, malgrado il programma non lo prevedesse, a moderare la serata), l’unica a comprendere davvero il tema della serata, nulla si è sentito.

Da voci più o meno modulate, abbiamo appreso le opinioni dei relatori, specchio dell’attuale nostrana comunità dell’arte, intorno alla loro personalissima e intima reazione di fronte a un fenomeno, marchiato in astratto come perverso e cattivo, del quale nessuno (nessuno escluso) sentiva di aver fatto parte, ma ammetteva di esserne stato il titubante e turbato spettatore.

E per quanto i nostri ospiti avessero fondanti e articolate opinioni su come debba essere concepito un festival, una biennale, un museo d’arte contemporanea, un’opera d’arte pubblica o il lavoro dell’artista (che, se non è almeno un po’ “relazionale”, oggi non vende, perdiana!), la discussione intorno all’argomento promesso dal libro non prese l’avvio.

Noi tutti convenuti, appollaiati su quell’infernale trespolo multipiazza che è la cavea del teatro della Fondazione Pomodoro, giunti con il fiato strozzato alle 18.30, orario del peggior traffico dell’inutilmente frenetica giornata milanese, eravamo appesi alle labbra degli esperti.

Ma, a bocca asciutta, rimanemmo al “signora mia, ma che mi dice!”, al cicaleccio compostamente indignato e un po’ qualunquista in cui i buoni sentimenti e l’ottimismo nei confronti dell’inestinguibile luce del faro dell’arte di fronte alle tenebre dei tempi che verranno hanno controfirmato il vicendevole patto d’alleanza fra i sostenitori dell’estetica versus i cattivi speculatori, fra cui, già che ci siamo, rientrano anche le vituperatissime archistars dei musei contemporanei che pretendono rubare la scena alle opere.

Ma, almeno, da qualche parte, i musei – unici luoghi deputati al ragionamento corale e critico sull’arte – sono stati costruiti: e chi non li ha, piange amare lacrime. Per una volta, avrei voluto sentire un’indicazione di verità, senza fronzoli né meccanicismi, intorno ad un argomento centrale per la nostra epoca. Ho dovuto viceversa prendere nota delle ragioni per cui chi è oggi nel mondo dell’arte non si è sentito mai parte di un eccesso che – a vario titolo e con diversi risultati – contribuì invece a consolidare.

Di questa moneta di scambio, bando ad ogni ritrosia, si deve, però, e con urgenza discutere per non ripetere l’errore commesso. Se errore davvero c’è stato. Ma sicuramente non può più essere un tabù. 

____________I commenti di  ArsLife_____________

ARTISTI, ORA TOCCA A VOI ! 

 di Elena Basilisco
 
“La crisi finanziaria, pur pesantissima, non è quanto di peggio sia accaduto. Più lacerante è che quei soldi che oggi non ci sono più servivano a tener in vita un malato. Il senso.” Ruota intorno a questa affermazione il nuovo libro di Adriana Polveroni “Lo Sboom. Il decennio dell’arte pazza tra bolla finanziaria e flop concettuale”. I numeri che scorrono nelle pagine del libro disegnano una grande bolla gonfiata, negli ultimi dieci anni, da  ben 210 mila artisti, 469 biennali, 682 fiere, 17856 tra musei e gallerie di arte contemporanea (compresi i grandi musei-brand), oltre che da curatori globetrotter e da una febbre per il contemporaneo che ha contagiato nuovi collezionisti incapaci di smentire frasi tipo: “l’arte contemporanea va di moda perché è cara”.  Così l’arrivo della crisi finanziaria ha denudato il re.  Tesi del libro: il mondo dell’arte contemporanea era cresciuto alimentandosi di soldi e non di “significati”. Tolti i soldi, ecco lo sboom. Traballano finanziariamente musei come il Seattle art museum e il Saint Lous Art Museum e il MoCA di Los Angeles salvato dal miliardario Eli Broad, mentre il famoso distretto Dashanzi 798 di Pechino si è svuotato, le gallerie stanno vendendo meno e i soldi, quando ci sono, vanno più spesso verso l’arte moderna. Anche se i miliardari, genere  Abramovic, dell’arte non si disfano perché, scrive Polveroni “rimane un status symbol più prezioso della barca”.
 Angela Vettese, durante la presentazione del libro alla Fondazione Pomodoro traduce lo sboom in ‘svuotamento’, che lascia però un’eredità. “La bolla ci ha lasciato” spiega Vettese, “una capacità più diffusa di capire il linguaggio emotivo dell’arte,  rispetto all’elitarismo dell’arte un po’ criptica degli anni ’70”. Da qui la domanda. Come si fa ad usare bene lo ‘sboom’? Polveroni auspica che gli artisti abbandonino i gironi infernali della compiacenza, della facile spettacolarizzazione e tornino a riappropriarsi della loro funzione di apripista, di sperimentatori e inventori di linguaggi, di creatori di senso.  Ben venga lo sboom dice l’economista Pier Luigi Sacco. “La cultura è ormai diventata una trama profonda della società e dell’esistenza, ma l’arte contemporanea non può diventare uno dei suoi tanti giochi e passatempi”. L’artista dovrebbe saper recuperare il bandolo della matassa. Attraverso autonomia di giudizio e di iniziativa. E saper porre nuovi temi e livelli di riflessione. “Soprattutto”, ed ecco la sfida, “ in chiave politica”, sottolinea Sacco. Ma anche “spirituale” suggerisce l’artista Alberto Garutti.
Il dibattito è aperto.
 
 
FONDAZIONE ARNALDO POMODORO
Milano – 19 novembre 2009, ore 18.30

Adriana Polveroni, LO SBOOM – Il decennio dell’arte pazza tra bolla finanziaria e flop concettuale
Silvana Editoriale, edito il 15.10.2009, pagine 100, prezzo € 14,00
Presentazione del libro e conversazione con l’autrice, Angela Vettese (critica), Alberto Garutti (artista), Pier Luigi Sacco (economista e prorettore IUAV)

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