ANATOMIA DI UN RECORD
Edvard Munch, The Scream, 1895
di Paolo Manazza
Fonte: “LA LETTURA”, Corriere della Sera, 29 maggio 2012
New York, 11 maggio 2010. Nell’asta della collezione Crichton, una piccola tela Flag di Jasper Johns parte da 8 milioni di dollari ma vola sino ai 28,6 dell’ultimo rilancio. Amy Cappellazzo, storica first lady del dipartimento d’arte contemporanea Christie’s, è chiamata a spiegare perché. Accerchiata dai cronisti, si concentra. Cerca una risposta che non arriva. D’improvviso nel frastuono generale urla: “E’ un’icona. Quest’opera è un’icona!! Non si può spiegare il suo potere a parole. Talvolta le immagini sono più forti delle parole”. Già, che cos’è un’icona? La domanda sembra innocua ma oggi nasconde una grande tempesta cibernetica, semiologica e persino ormonale. La quarta versione de L’Urlo, il quadro di Edvard Munch che Sotheby’s metterà in vendita mercoledì 2 maggio a New York (a una stima di circa 80 milioni di dollari) è definita come “una delle immagini/icona più conosciute al mondo, seconda probabilmente solo alla leonardesca Mona Lisa”. Qual è dunque il significato di un’icona? Perché in quest’inizio del XXI secolo la sua destinazione sembra moltiplicarsi? L’etimologia rimanda al sostantivo “immagine”. Nel senso tradizionale è un’effige sacra dipinta su tavola, propria dell’arte bizantina. In semiologia è un segno che riproduce una o più caratteristiche della realtà che denota. Nel linguaggio informatico è la classica immagine che rappresenta un programma o un file di dati (da cui “trascinare l’icona”). In un’era segnata dall’assenza e dispersione dei valori, l’aspetto “iconico” si trasforma in surrogato dell’essenza. Una sorta di compensazione risarcitoria della verità. E in automatico, una visione primariamente economica della realtà -come la nostra- converte l’oggetto iconico in soldi. Molti soldi. L’Urlo munchiano ha in sé l’imprinting di quest’epoca desolante e ricchissima insieme. Quello dell’angoscia. Come Kafka (nato esattamente vent’anni dopo il pittore norvegese e morto esattamente vent’anni prima) “Munch non cessa mai di sentirsi misteriosamente colpevole e perseguitato dai propri spettri” (Eva Di Stefano). Costruisce una specie di autobiografia per immagini. Una vera e propria anatomia delle catastrofi personali (la morte della madre mentre è ancora bambino e della giovane sorella logorata dalla tubercolosi). Riuscendo però a creare tele che universalizzano la propria angoscia e, per magia, cozzano nella capacità di “dare un volto alla psiche moderna”. Stanco e malato, mentre era a Nizza, l’artista rammenta con lucidità l’attimo in cui è germinata l’idea de L’Urlo. « Camminavo lungo la strada (in un punto panoramico di Oslo chiamato Ekeberg, n.d.r.) con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura». Qualcuno (Donald Olson) sostiene che il cielo tinto di rosso può esser stato un fenomeno naturale accaduto a causa dell’eruzione vulcanica del Krakatoa i cui effetti di luci erano visibili sino in Norvegia. Ma la lettura introspettiva di Munch è stupefacente. La prima versione del capolavoro, del 1893, è custodita alla National Gallery of Norway ad Oslo. La seconda (un pastello considerato come uno schizzo preparatorio della prima tela) e la quarta versione (la più tarda, completata nel 1910) sono al Munch Museum di Olso. La terza, quella in vendita, è un pastello e risale al 1895. Appartiene a Petter Olsen, uomo d’affari norvegese il cui padre Thomas era un amico, vicino di casa e mecenate dell’artista. La pittura post-simbolista (il Manifesto del Simbolismo fu pubblicato su “Le Figaro” nel 1886 sette anni prima de L’Urlo) e pre-espressionista (un movimento inquadrabile nel primo ventennio del Novecento) circoscrivono questo artista come un genio solitario e anticipatore. Se l’Impressionismo rappresentava una sorta di acquisizione dell’immagine dall’esterno all’interno, il cammino verso l’Espressionismo si configura come l’esatto contrario. Una solipsistica e romantica costruzione dell’immagine dalla mente alla realtà. Proprio in quegli anni nasce la psicoanalisi. Freud usa per la prima volta il termine “psicoanalitico” nel 1896. E’ dunque il tempo per una calata negli inferi inesplorati della psiche. Di cui Munch riferisce ne L’Urlo. Nel 2013 si celebreranno i cento cinquant’anni dalla nascita del maestro. Anche l’anniversario, oltre alle affinità epocali, incorona la scelta di offrire proprio ora questa versione, ultima in mani private. Dal 1986 ad oggi sono passati in asta 134 quadri di Munch. Secondo ArtPrice, 100 euro investiti nel 1998 su un’opera di Munch valgono in media 933 nel gennaio 2012. Il record appartiene a Vampire dipinto nel 1894 e venduto nel 2008 da Sotheby’s per 38.162.500 dollari. Al secondo posto (30.841.000 dollari ) uno stupefacente Girls on a Bridge del 1902, con una stesura più solare e meno drammatica. Dove un consesso di ragazze su un ponte sembrano discutere tra loro, interrogandosi sulle più antiche visioni spettrali. Ma anche qui l’uso di una tavolozza dai colori forti e gli accostamenti volutamente incisivi, insieme alle pennellate sinuose, testimoniano una lettura tutta mentale della realtà. Il vertice, l’icona per eccellenza, resta il tema de L’Urlo. Un’immagine così potente da riuscire a cristallizzare l’angoscia dell’esistenza. Formalizzando il concetto di paura. E’ questo il segreto dell’arte. Dare stabilità -e quindi senso- alle emozioni. In un tempo dove tutto è contraffatto e persino le promesse d’amore durano l’ombra di qualche mese l’infinito è un territorio ambiguo, troppo scivoloso. Meglio espellerlo dalla mente. Come fa Damien Hirst quando -imprigionando uno squalo tigre in formaldeide dentro una vetrina- teorizza “l’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo”. Un’operazione psico-chirurgica, extra mentale. Mentre l’icona non chiede nulla. Dice senza parlare. Sa già tutto. Come l’amore o l’angoscia.
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2 Commenti
Buongiorno,
Fuori Asta Pollock ha toccato i 140 milioni di dollari record fino al 2011, e Cézanne, i giocatori di carte, i 250 milioni di dollari, record 2012, che rompe una barriera psicologica e apre alla possibilità di acquistare un Capolavoro per un miliardo di dollari prima del 2030.
Forse potrebbe essere The Opera?
la vostra perizia metterà tutto in chiaro.
Stefano Armellin
Pompei, giovedì 27 settembre 2012
Cara Redazione di Artslife.com,
Sono una professoressa di Storia e Filosofia di un Liceo milanese.
Ho trovato il Vostro articolo sul web e mi premeva porgerVi i miei vivissimi complimenti per l’approfondimento storico dell’opera.
In particolare l’ultimo periodo su Martin Heidegger mi trova felicemente in sintonia.
Vorrei infatti sottolineare quanto lo stesso Heidegger consideri erroneamente l’opera d’arte sottostante alla poesia.
Carolina