Un Veneziano tra Roma e l’Europa
Venezia, Gallerie dell’Accademia, dal 22 marzo al 29 giugno 2014
Da Venezia a Roma: Carlo Saraceni. Da Roma a Venezia: la sua prima grande antologica. La monografica dedicata al pittore seicentesco arriva alle Gallerie dell’Accademia dopo i tre mesi di soggiorno romano a Palazzo Venezia. Un ritorno nella città che gli ha dato i natali, e alla quale appena ventenne voltò le spalle prendendo la strade verso la capitale, con una sessantina di opere immerse ed appese nel “rosso veneziano” espositivo. Ignorato quasi totalmente in laguna e ben poco conosciuto ancora nel suo (bel) paese, Saraceni fu uno dei più precoci e importanti interpreti del Caravaggio, assimilandone la rinnovata visione artistica in chiave naturalistica e contribuendo alla diffusione del suo rivoluzionario linguaggio. Artista di successo colto e raffinato, la sua parabola pittorica, completamente esposta e riletta in ordine cronologico in mostra, “subì” da subito la naturale fascinazione per il colore dei modelli veneziani cinquecenteschi, specie Lorenzo Lotto e Jacopo Bassano. Il vivido cromatismo intriso di luce, che tinge le vesti dei personaggi di inconfondibili sequenze di panneggi rossi, bianchi e blu squillanti, si combina alla formazione giovanile legata ad artisti fiamminghi e tedeschi operanti in laguna (su tutti Paul Brill, Hans Rottenhammer e Adam Elsheimer, purtroppo non presenti in mostra per un confronto diretto ma di evidentissima influenza nelle opere di piccolo formato dei primi anni romani dipinti su rame, di soggetto biblico e mitologico, con le raffinate figurine relegate agli angoli e la vegetazione esuberante che ne divora lo spazio, “interpretazione lirica del paesaggio colto attraverso una visione panoramica”) per mescolarsi, poco più tardi nella città papalina, alla poetica caravaggesca, della quale Saraceni offre sempre un’interpretazione originale, caratterizzata “da un timbro più sentimentale ed elegiaco e da una religiosità interiorizzata e umanissima”. Primo e unico artista veneziano divenuto caravaggesco, a modo suo. Tra i pittori che hanno reso grande l'”impronta” veneziana fuori dai patri confini. In due parole, la sua firma: “Carlo Veneziano“.
Il percorso espositivo
“L’esposizione veneziana – scrive Roberta Battaglia – dà modo di seguire l’intero percorso dell’artista, secondo un ordine principalmente cronologico. Prende avvio dalla produzione di piccoli raffinati dipinti su rame, dove la novità maggiore sta nella predominanza data al paesaggio rispetto al racconto mitologico e biblico, frutto della profonda meditazione sui modelli dei pittori nordici specie di Adam Elsheimer. Nella serie mitologica del Museo di Capodimonte si aprono vaste lontananze paesistiche di largo respiro: qui la pittura restituisce al meglio la percezione sensibile dal vero, con particolare attenzione ai fenomeni della luce e dell’ombra e alle gradazioni tonali con cui sono definite le rocce, le masse arboree, i riflessi sull’acqua.
Il Transito della Vergine, dipinto per la chiesa di Santa Maria della Scala in sostituzione della celebre Morte della Vergine di Caravaggio, rifiutata perché giudicata priva di “decoro”, segna probabilmente il primo punto di contatto con il linguaggio caravaggesco. Segue di poco, infatti, la prima testimonianza documentaria del rapporto diretto tra Saraceni e Caravaggio, risalente al novembre del 1606, quando nelle aule di un tribunale Carlo Saraceni e Orazio Borgianni, accusati di essere i mandanti dell’attentato a Giuseppe Baglione, vengono detti “aderenti al Caravaggio”. Le repliche tratte da questa composizione, esposte in mostra, aprono sulle modalità di lavoro del pittore che attraverso di esse diffonde e promuove, quasi sistematicamente, le sue invenzioni e il suo stile sul mercato collezionistico.
Il percorso prosegue, tra fine primo e inizio secondo decennio, con alcune pale di dimensioni più ridotte, eseguite per membri di famiglia aristocratiche di preferenze progressiste, da destinare alla devozione privata oppure a piccole cappelle di cui avevano la titolarità come la Madonna col bambino e Sant’Anna della Galleria Barberini, dove il gusto pittorico in senso caravaggesco si irrobustisce ma dove le sollecitazioni del Merisi sono epurate della loro intrinseca drammaticità, per essere tradotte con un senso di dolce intimità e pacatezza.
E’ questo anche il momento in cui l’artista sviluppa la tematica di santi isolati, irrobustiti da viraggi chiaroscurali più intensi, campiti su fondali paesistici colti in particolari momenti del giorno così da temporalizzare il racconto e contribuire a trasferirlo nel presente potenziale dello spettatore dandogli anche una coloritura sentimentale: si veda in mostra lo splendido San Rocco della Galleria Doria Pamphilj, dove il pittore mette in scena il fatto evangelico con un tono dolcemente sentimentale.
Il percorso si conclude nella sala che riunisce le grandi pale chiesastiche del secondo decennio dove Saraceni, nell’affrontare le grandi raffigurazioni per gli altari, va progressivamente semplificando l’impaginazione data alle scene, riducendo il numero dei personaggi disposti intorno ai protagonisti, sottolineando i gesti con lame di luce che sottraggono i corpi alle ombre avvolgenti e profonde.
Straordinarie le due pale per la chiesa della nazione tedesca, Santa Maria dell’Anima, saldate nel corso del 1618: immagini di eccezionale potenza e tensione drammatica, accentuata dai contrasti chiaroscurali e dagli accesi cromatismi, una sorta di testamento spirituale lasciato a Roma prima del rientro a Venezia”.
Il legame con gli artisti veronesi
Una sezione della mostra è dedicata a illustrare il legame di Saraceni con alcuni giovani artisti veronesi, scesi a Roma attorno alla metà del secondo decennio del Seicento, che collaborarono con il pittore in alcune imprese decorative (cappella Ferrari in Santa Maria in Aquiro e Sala Regia al Quirinale). Tra loro: Marcantonio Bassetti con il Paradiso, risalente agli anni romani, ispirato all’analoga composizione giovanile di Saraceni ma tradotta con un fare pittorico molto più corsivo, e il Sant’Antonio che legge, eseguito al tempo del rientro a Verona (intorno al 1620-1621), suggestionato dall’Estasi di San Francesco di Saraceni; Alessandro Turchi detto l’Orbetto, presente con la Resurrezione di Lazzaro, acquistata da Scipione Borghese nel 1617, massima espressione dell’impatto del pittore con la cultura caravaggesca romana, e la Liberazione di San Pietro, della metà degli anni venti, dove i ricordi del naturalismo caravaggesco sono temperati da influenze del classicismo emiliano. Di Antonio Giarola, abitante dal 1617 al 1619 nella casa romana di Saraceni e altresì menzionato nel testamento di quest’ultimo, redatto a Venezia nel 1620, come “Antonio Girola Veronese che mi serve”, di cui si espone il Miracolo della mula. Infine è presente anche Pietro Bernardi con la pala Sacra Famiglia con S.Gioacchino e S.Elisabetta, che testimonia la precoce apertura della cultura veronese alla poetica caravaggesca intorno alla metà del secondo decennio.
Arricchiscono la mostra veneziana
In particolare, sono da segnalare alcune opere che arricchiscono la mostra veneziana come il disegno raffigurante Andromeda del Cavalier d’Arpino, conservato nel Gabinetto disegni e stampe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e posto a confronto con il piccolo dipinto giovanile di Saraceni di analogo soggetto, di chiara matrice arpinesca; lo splendido San Rocco della Galleria Doria Pamphilj accostato al San Girolamo di Jacopo Bassano, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, per evidenziarne la componente veneta, e più specificatamente bassanesca, sempre indicata dalla critica; il dipinto della Maddalena penitente della Pinacoteca Civica di Vicenza, da accostare alle altre due versioni dello stesso soggetto, già presenti nella mostra romana.
La morte dell’artista
Come testimoniano alcune fonti letterarie, l’artista rientrò in laguna chiamato dalla Serenissima per compiere un telero con Il Doge Dandolo incita le crociate per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale, destinato a sostituire un dipinto tintorettesco di soggetto analogo che si era danneggiato. Il telero fu ideato e forse impostato dal pittore veneziano, ma venne compiuto e firmato, dopo la sua morte, dal francese Jean Le Clerc, suo allievo negli ultimi anni romani e trasferitosi con lui a Venezia.
In mostra si trova esposto il testamento dell’artista, redatto in casa Contarini dove morì, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia. E’ presente inoltre il volumetto commemorativo Dogliose lacrime della Biblioteca Marciana, scritto dal religioso Maurizio Moro in morte del pittore e dedicato a Giorgio Contarini, mecenate di Saraceni.
Il ciclo di conferenze
Lungo il periodo di apertura della mostra, è previsto un ciclo di conferenze, organizzato e curato da Roberta Battaglia, che saranno volte ad approfondire alcuni aspetti dell’opera di Saraceni in rapporto con la cultura a lui contemporanea con l’apporto di studiosi specialisti dell’argomento a livello internazionale.
Catalogo e guida
Il catalogo generale della mostra veneziana resta quello curato da Maria Giulia Aurigemma e pubblicato da De Luca Editori d’Arte; mentre per l’occasione dell’edizione veneziana viene stampata una breve guida, sempre da De Luca, curata da Roberta Battaglia.
Foto e testo: Luca Zuccala © ArtsLife
INFORMAZIONI UTILI
CARLO SARACENI un Veneziano tra Roma e l’Europa
Sede
Venezia, Gallerie dell’Accademia
Campo della Carità, Dorsoduro 1050
Date
Dal 22 marzo al 29 giugno 2014
Orari
Lunedì: 8.15 – 14.00 (ultimo ingresso ore 13.15)
Martedì > Domenica: 8.15 – 19.15 (ultimo ingresso ore 18.30)
Info e prenotazioni
tel. (39) 041 5200345
www.gallerieaccademia.org
info@gallerieaccademia.org
Biglietti
Il biglietto comprende l’ingresso alla Mostra Carlo Saraceni, alle Gallerie dell’Accademia
e a Palazzo Grimani, Santa Maria Formosa
Biglietto intero: € 15,00
Ingresso ridotto: € 12,00 cittadini UE di età compresa tra 12 e 25 anni; insegnanti
Ingresso ridotto speciale: € 6,00 cittadini UE al di sopra 65, giornalisti; studenti e docenti universitari U.E. delle facoltà di architettura, conservazione dei beni culturali, scienze della formazione, iscritti ai corsi di laurea in lettere o materie letterarie con indirizzo archeologico, storico-artistico delle facoltà di lettere e filosofia, iscritti alle Accademie delle Belle Arti.
Ingresso gratuito: cittadini UE al di sotto dei 12 anni; dipendenti del Ministero Beni e Attività Culturali;
Mostra ideata da
Rossella Vodret
e curata da
Maria Giulia Aurigemma e Roberta Battaglia