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Sin City 2 – Una donna per cui uccidere di Miller e Rodriguez

Sin City 2 – Una donna per cui uccidere di Frank Miller e Robert Rodriguez .
Dopo nove anni di attese, infiniti rimandi, contraccolpi economici (il flop dell’operazione Grindhouse con l’amico Tarantino) e ripensamenti di vario genere, sbarca in sala come se nulla – o quasi – fosse cambiato dai tempi del primo episodio, Sin City 2 – Una donna per cui uccidere, sequel del riuscitissimo Sin City, del 2005.

Girato in 3D e cronologicamente ambientato prima del segmento narrativo The Big Fat Kill, il film è un pastiche di ciò che il pubblico della Sin City quella attorno a noi, chiede in massa: 3D, dark ladies dalle curve perfette in abiti generosamente succinti, anti-eroi solitari che antepongono un personale concetto di giustizia alla legge per inseguire scampoli di vendette private, villain assolutamente privi di una qualsivoglia dimensione morale, spietati quanto eticamente ributtanti.

3D a parte, Sin City 2 – Una donna per uccidere mantiene inalterati tutti i parametri che avevano reso il suo predecessore una delle poche pietre miliari del cinema del nuovo millennio. L’impianto estetico si sviluppa attorno ad un linguaggio di frontiera di cui Robert Rodriguez e Frank Miller recuperano la crossmedialità tra fumetto, splatter, hard-boiled e utilizzo creativo del green screen e fondendo il tutto in una prospettiva neo-espressionista che disegna un universo soffocante e completamente autoreferenziale. La matrice iperrealista è spinta al limite: la tridimensionalità è un pretesto per far entrare anima e corpo nelle tavole del grapich novel, sentirne la pulsione di morte che trasuda la città, toccarne con mano i propri feticci. Ne esce un’immagine giocata sulla profondità di campo classica, dalla resa filmica quasi scultorea, che sposta l’opera verso una dimensione cinematografica compiuta, compiendo un passo indietro rispetto alla dimensione grafica del fumetto.

Sin City 2 – Una donna per cui uccidere , la locandina
Sin City 2 – Una donna per cui uccidere , la locandina

Anche lo storytelling ad episodi – che passa con disinvoltura avanti e indietro nel tempo rispetto agli episodi del primo film e bilanciato nelle sue sezioni singole più di quanto possa sembrare – non è più una fedele trasposizione del soggetto originario, ma una stella che brilla di luce propria. Di Miller permane l’atmosfera cupa e dark, ma i personaggi hanno una nuova fisionomia, marchiati come sono da una vita spietata e da un presente ignobile. Locali tracimanti alcol e sesso, vicoli fatiscenti della città vecchia, palazzi del potere, esseri umani che si trascinano completamente in balia degli eventi: tra gli elementi narrativi in gioco non c’è dialogo. Ogni personaggio assolve la propria funzione in maniera archetipica, arrivando a dare alla propria esistenza il valore di una notte di fuoco consumata in uno squallido motel.

L’universo di Sin City 2 è, se possibile, ancora più intriso di odio e sete di vendetta, sempre più cadente, marcio fin dal principio: la morte è esattamente come la vita a Sin City, vince sempre. Gli sprazzi di bene del primo film si perdono del tutto, bianco nero confluiscono in un sottotono grigio, in cui il rosso del sangue, scorre impassibile per le strade, senza più macchiare violentemente lo schermo. La città del peccato non perdona chi sfida le sue regole.

Il pallino è sempre nella mani del senatore Roark (Powers Boothe), ricchissimo e potente deus ex machina pronto a far torturare e a uccidere orrendamente chiunque osi sfidarlo. Ma l’impavido Johnny (Joseph Gordon-Levitt) lo sfida comunque al tavolo da gioco, vincendo tutto. Ma prima che riesca a buttare l’ultimo dollaro in champagne, paga il suo dazio alla mortifera città del peccato. Così come Nancy Callahan (Jessica Alba), ex-spirito celeste di Sin City che si consuma lentamente nello strip club del senatore, volteggiando come una marionetta e vendendosi al miglior offerente. I fantasmi del passato la perseguitano fino a renderla folle, mentre i demoni interiori le divorano l’ultima briciola di umanità rimasta. La morte ha vinto anche su di lei.

Sin City 2 – Una donna per cui uccidere , Lady Gaga in una scena del film
Sin City 2 – Una donna per cui uccidere , Lady Gaga in una scena del film

La morte è dunque, oltre che lo scopo finale, l’unico mondo possibile. Che sia vendetta nei confronti della vita, ideale di liberazione da una vita di stenti o limita da eliminare per raggiungere i propri obiettivi il prima possibile. Senza che venga mai meno la visione totalmente maschile della vicenda – cifra dell’intera opera del celebre fumettista statunitense – l’operazione di stilizzazione dello stereotipo del noir hollywoodiano riesce ancora una volta. E riesce alla maniera di Rodriguez: senza equilibrio, pari opportunità e verosimiglianza.

 

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