La casa d’aste romana Minerva Auctions propone per l’asta di dipinti antichi e del XIX secolo del 24 novembre 2014 una “Sacra Famiglia con san Giovannino”, olio su tavola ovale di 211 x 168,5 cm, realizzato da Luca Giordano intorno al 1660. La stima è a richiesta.
La provenienza dell’opera è tracciata già da pochi anni dopo la realizzazione, in collezioni reali prima del 1686, in un museo dell’Oklahoma (The World Museum, Tulsa) fino al 1982 quando passò per la prima volta in una casa d’aste, da Christie’s a New York (per la precisione il 18 giugno 1982). Per circa 5 anni è rimasto in una collezione privata e dal 1987 al 2012 in quella di Domenico Falcioni (Pesaro). Successivamente ereditato dagli attuali proprietari.
La scheda del dipinto in catalogo:
Secondo Ferrari e Scavizzi (1991) il presente dipinto, concordemente attribuito da tutta la critica a Luca Giordano, potrebbe essere quello “alla Maniera di Raffaello”, visto da Antonio Ponz al Palazzo dell’Alcázar di Madrid, e descritto come “in [formato] ovale”. Perlopiù datata intorno al 1660, la tavola offerta nel lotto è probabilmente l’esempio più autorevole di una serie di opere tributate da Luca Giordano a Raffaello, e più in generale alla grande maniera italiana del Cinquecento. L’impegno profuso in quest’opera e il livello degli esiti formali in essa conseguiti ne fanno se non un unicum, uno dei punti di arrivo della riflessione sui canoni del classicismo nell’arte italiana del Seicento.
Inoltre, per le sue caratteristiche tecniche ed esecutive – incluse le dimensioni da grande galleria – il dipinto è un caso di studio la cui ricomparsa consente di comprendere molto anche sulla conoscenza dell’arte rinascimentale in età barocca. La stessa adozione della tavola – con le assi assemblate in orizzontale, al modo nordico – è intesa a conseguire la qualità calligrafica di una esecuzione cinquecentesca, e deve aver comportato uno studio specifico da parte di Giordano. Questa attenzione non è episodica se nella ben più tarda Madonna con Bambino, San Giovannino e Santa Elisabetta a Madrid, Prado (verso il 1697), “Giordano puso también especial interés en el soporte que, curiosamente, no es de chopo, como utilizaba el maestro imitado [cioè Raffaello], sino de raíz de nogal” (cfr. A. Ubeda de los Cobos, Luca Giordano y el Casón del Buen Retiro, Madrid, 2008, p. 172; l’autore considera questo dipinto una Sacra Famiglia, e ritiene che Giordano abbia riutilizzato pezzi di un mobile).
Dal punto di vista narrativo nel dipinto in discussione sono uniti due momenti: quello della fuga in Egitto, visibile sullo fondo alle spalle della figura della Vergine; e quello del riposo, nel quale Maria ha momentaneamente abbassato il libro che tiene nella mano sinistra per osservare l’atemporale effusione di tenerezza tra Gesù bambino e San Giovanni Battista bambino. Il gruppo della fuga in Egitto sembra discendere dalle rivisitazioni veneziane di una nota stampa di Albrecht Dürer, come ad esempio la Fuga in Egitto di Tintoretto a Venezia, Scuola di San Rocco, che una volta ribaltata si può quasi sovrapporre al dettaglio del dipinto di Giordano (fig. 1); lo stesso si può dire del Riposo in Egitto di Paolo Veronese, noto anche da stampe del primo Seicento (fig. 2).
Le figure principali sono una silloge di varie opere di Raffaello. Chi scrive ha rilevato come la Sacra Famiglia con San Giovannino a Madrid, Prado (fig. 3) – che è in sostanza una versione più tarda e con varianti del presente dipinto – sia un tributo alla Madonna del Divino Amore di Raffaello (fig. 4), nota attraverso una innumerevole quantità di copie coeve e non. Ma dettagli come il braccio sinistro di Maria vengono da altre opere di Raffaello, e l’azzurro intenso del paesaggio di sfondo – così come lo straordinario brano di lapislazzulo con riflessi bianchi del mantello di Maria – sembra ispirato alla Madonna di Foligno, cioè l’opera per così dire più veneziana di Raffaello. Lo sfumato del chiaroscuro degli incarnati, poi, ha fatto pensare a un’attenzione nei confronti di Sebastiano del Piombo (cfr. G. Scavizzi, Le opere neo-raffaellesche, cit., p. 28). Ad avviso di chi scrive questo tipo di chiaroscuro può ben essere nato dallo studio di opere di Giulio Romano, ma è anche vero che le lacche trasparenti a base bianca con cui è eseguita la tunica di Maria riportano – più che a Raffaello o a Giulio Romano – direttamente a molti brani di opere del Luciani. Sempre Giuseppe Scavizzi (Le opere neo-raffaellesche, cit., p. 28) ha ritenuto che “i bambini replicano i gesti di quelli della ‘Madonna del Belvedere'” [di Raffaello, a Vienna].
Le osservazioni qui compiute rendono chiara la pertinenza del presente dipinto a quella parte del percorso di Luca Giordano per la quale si parla di “dipinti alla maniera di” (cfr. A. Úbeda de los Cobos, Luca Giordano y el Casón del Buen Retiro, Madrid, 2008, in part. il capitolo Luca Giordano ‘alla maniera di’, pp. 141-175). Non copie, falsi o imitazioni volti all’inganno di ‘esperti’ anche rinomati – ma che tali non erano, almeno non fino al punto di smascherare l’inganno – quanto tour de force atti a dimostrare l’abilità quasi medianica di Giordano nel combinare – si direbbe nel far rivivere – lo stile di un Raffaello, di un Dürer, di un Tiziano o di altri maestri della maniera moderna. Lo stupore e l’ammirazione del pubblico di Giordano – specialmente di quello spagnolo – si motivano con la prodigiosa capacità di Giordano di attingere alla sua sovrumana memoria eidetica, componendo opere in cui ogni parte discende stilisticamente da esempi dati, ma in cui l’autore del risultato finale sarà sempre riconoscibile per i veri “intendenti”. Siamo di fronte ad “una ricetta complicata come un soufflé in cui, come sempre in Giordano, la presentazione finale è sciolta, naturale e priva di secche erudite a dispetto della complicazione dell’operazione […]; lo scopo è “tornare alla grande maniera del Cinquecento con gli strumenti e la sensibilità del Seicento. Raffaello è il detentore della norma, del perfetto equilibrio fra natura e forma, e alcuni artisti napoletani comprenderanno a fondo le implicazioni della sua arte” (R. Lattuada, Tendenze di pittura purista, cit., p. 160). Tra essi però, e aggiungerei in tutta la pittura italiana del Seicento, nessuno seppe farlo come Luca Giordano. Scheda storico-critica a cura di Riccardo Lattuada.
Dal 1987 il dipinto è appartenuto alla collezione di Domenico Falcioni (Pesaro 1937-2012), che oltre ai dipinti antichi possedeva un’importante raccolta di ceramiche alla rosa, simbolo della storica produzione maiolicara pesarese. Personalità versatile, saldamente ancorato alla sua terra d’origine, Nino, come tutti lo chiamavano, era un autodidatta del Bello e coltivava la passione per le rose di cui se ne contavano centinaia di varietà. A Villa Ester, la residenza settecentesca con giardini all’italiana nella campagna pesarese, erano di casa il Gotha degli antiquari -in primis Rob Smeets e Giovanni Gentilini – e conoscitori di chiara fama, tra cui Mina Gregori. Secondo certificazioni epistolari, la studiosa per prima ha segnalato nel 1991 il dipinto qui offerto a Oreste Ferrari, impegnato all’epoca nella stesura della nuova edizione del catalogue raisoinné dell’artista napoletano (edito nel 1992, cfr. bibliografia). Da allora la tavola in esame è stata unanimemente giudicata importante opera di Giordano ma è questa la prima occasione in cui sarà fruibile a tutti i cultori dell’Arte.