Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Leono d’Oro alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia, arriva il 19 febbraio nelle sale italiane.
Il Leone d’Oro quest’anno se l’è aggiudicato la Svezia, con il surreale A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence di Roy Andersson – che, accolto negli anni ’70 come il nuovo Ingmar Bergman, con il botteghino non è mai andato tanto d’accordo da mai.
Il titolo del film è un riferimento al quadro Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel il Vecchio.
Il dipinto difatti raffigura una paesaggio invernale, con alcuni uccelli appollaiati sui rami degli alberi. Andersson ha detto di aver immaginato come gli uccelli della scena guardassero le persone al di sotto chiedendosi che cosa stessero facendo.
Il film sarà distribuito in Italia dal 19 febbraio da Lucky Red. Vedremo in quante sale.
È un percorso che vuole svelare la bellezza di singoli momenti, la meschinità di altri, l’ironia e la tragedia nascosti dentro di noi, la grandezza della vita, ma anche l’assoluta fragilità dell’umanità.
La regia di Roy Andersson si lascia ispirare da suggestioni pittoriche: i fiamminghe con il già citato Pieter Bruegel il Vecchio, il Rinascimento, la Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), Edward Hopper.
L’atmosfera del film è permeata da un’acida e feroce ironia che sembra desunta per direttissima dalle opere di Otto Dix e Georg Scholz: “Le loro visioni del mondo, incrinate dalla guerra –dichiara il regista– colpiscono in un modo che sento molto vicino, senza che io abbia mai preso parte a una guerra. Quando ero giovane, il realismo era l’unica cosa che mi interessava. Tutto il resto era semplicemente strano (o meglio, borghese), ma col tempo sono stato sempre più affascinato dall’arte astratta, a partire dal simbolismo, dall’espressionismo, e dalla Neue Sachlichkeit. È molto più interessante di una pura rappresentazione naturalistica”.
Continua a spiegare Roy Andersson in merito all’ispirazione che trae dal mondo della pittura e dell’arte:
“Oggi trovo quasi noiose le rappresentazioni naturalistiche, mentre l’interpretazione personale dell’espressione astratta è straordinaria, e Van Gogh ne è il maestro. È in grado di dipingere tre corvi che volano su un campo di grano e di convincere lo spettatore di non aver mai visto una cosa simile.
È una specie di “super-realismo”, un obiettivo che ambisco a raggiungere con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, in cui l’astrazione è condensata, purificata e semplificata. Le scene ne dovrebbero emergere ripulite, come ricordi e sogni. Sì, non si tratta di un compito facile: è difficile essere facile, ma ci proverò“.
Quando uscì Canzoni dal secondo piano (2000) -Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes– il regista svedese descrisse il suo stile come una sorta di Trivialismo.
“Penso che Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza -ha spiegato Roy Andersson in merito a questo concetto- sia un esempio ancora più chiaro di ciò che considero come ‘trivialismo’. Si tratta della trivialità trasformata in un’esperienza più attraente. E questo si applica anche alla pittura in generale, tutta la storia dell’arte è piena di trivialità perché esse fanno parte delle nostre vite, delle nostre premesse nella vita.
Adoro questa cosa, e un domani vorrei diventare anche più triviale di quanto non lo sia stato in questo film. Anche di più che nelle scene con il re svedese Carlo XII che torna al campo di battaglia di Poltava, dove appare inaspettatamente in situazioni molto triviali, prima quando gli viene sete e poi quando ha bisogno di andare in bagno”.
Nel 2009 il lavoro di Roy Andersson è stato riconosciuto con una mostra al MoMA di New York in cui non solo si presentava la sua opera cinematografica in forma integrale, ma anche il suo lavoro nel campo della pubblicità.
In 39 scene (o episodi, o -forse- stazioni) si dipanano le vicende umane dei due protagonisti, i venditori di articoli per le feste, e di altri surreali personaggi (l’insegnante di flamenco, Carlo XII): grotteschi e teneri, sgradevoli e appassionati.
In questa maratona del disagio ironia, pessimismo e malinconia si rincorrono nella ricerca filosofica del significato ultimo dell’essere umani in mezzo ad altri esseri (dis)umani: una versione intellettuale e coltissima di Benny Hill, nonché, diciamocelo, l’ennesimo Leone d’Oro che praticamente non vedrà mai nessuno, facendoci rimpiangere Ang Lee, Kik Ki-duk e perfino Sokurov.
Citando Loredana Bertè ci scappa un: “…la Svezia, che pizza!”.