L’Expo, ha detto il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, «è un’occasione da non perdere». Per ora qualcuno l’ha persa e qualcuno no. I lavori ad esempio sono in ritardo. I professionisti della tangente invece erano già lì prima che ancora li pensassero. Quelli non perdono niente.
Però, a parte gli immancabili banditi del 20 per cento, qualche segnale buono sta venendo. E’ come se sapessimo che arriva il treno e preparassimo la valigia. Il pil comincia a salire e non è solo il governo a dispensare parole di fiducia. Squinzi, il presidente di Confindustria, ha detto che sì, forse quest’anno la ripresa è vera. Zero virgola, ma vera.
Il fatto è che, se guardiamo indietro, l’Expo a Milano c’era già stato e quella volta non era stato l’inizio di un periodo sfolgorante. Il 28 aprile del 1906 era un’altra cosa, il mondo veniva dall’ottimismo. Milano apriva l’Esposizione Universale dietro il Castello Sforzesco. Era dedicata ai trasporti, quando la gente guardava le navi e i treni come dei miracoli, sognando quelle enormi città galleggianti e i velluti dell’Orient Express come esotiche vacanze per signori. Stavano per finire il traforo del Sempione.
Il primo maggio del 2015, però, stiamo venendo da una crisi che non finisce mai. L’Expo torna a Milano, su alimentare e nutrizione, ed è tutto un’altra cosa. E insieme, c’è anche la Biennale di Venezia, che ha deciso di spalancare prima le sue porte, al 28 aprile, proprio in omaggio al Grande Evento.
I numeri prima di tutto. Sono attesi 20 milioni di visitatori, più di 140 Paesi e Organizzazioni internazionali, su un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri disseminata come su un’isola circondata da un canale d’acqua e coperta da oltre duemila telecamere di sicurezza. E’ un gigante nel cuore dell’Italia e della sua capitale del Nord.
Solo per l’inaugurazione sono attesi più di cento capi di Stato. Ci saranno eventi artistici, musicali, convegni, spettacoli, laboratori creativi anche per bambini, e mostre di grande interesse. E «ci sarà un grosso aggancio con il territorio circostante», promettono in Regione, «con le località vicine dei laghi, le Langhe e il Monferrato».
Come si fa a non pensare a un ritorno? Sarà una vetrina unica di opportunità e business: proprio per questo un bel po’ di aziende leader nei settori dell’innovazione tecnologica e dell’energia hanno già investito nel progetto come partner, dall’Eni alla Finmeccanica, dalla Samsung alla Fca.
Logico che un evento così imponente attiri lo sguardo interessato del malaffare, che da sempre prospera negli anfratti delle nostre lande pasciute. Un po’ meno scontato che gli appalti siano già stati oggetto di indagini della magistratura con conseguenti numerosi arresti ancora prima di partire. Di solito, gli scandali saltano fuori a eventi già bell’e chiusi e impacchettati. Se l’inizio è questo, chissà il resto.
Mettiamola così. Sarà una grande occasione, con il suo bel conto da pagare. Ma per chi sarà quest’occasione? Vittorio Sgarbi, che è stato nominato dal presidente della Lombardia Roberto Maroni «Ambasciatore delle Belle Arti» per l’Expo, ha detto che parlare del beneficio che ne trarrà un Paese intero «è una cretinata», e che a trarne vantaggio saranno al massimo Roma e le città più vicine e meglio collegate, cioé Venezia e Torino.
Probabilmente è questa la prima verità. Venezia si è già adeguata, come detto prima, anticipando la Biennale, «All the World’s Futures», 136 artisti di 53 Paesi, una ventina di africani e un’altra ventina di statunitensi. Tra i grandi e vecchi artisti si va da Georg Baselitz a Bruce Nauman, poi Philippe Parreno e Christian Boltanski, Carsten Holler, Chris Marker, Robert Smithson.
E fra gli italiani Rosa Barba e Monica Bonvicini, Fabio Mauri e Pino Pascali. Anche qui l’aspettativa è molta. Sperando di non finire uccisi dalla noia passando lungo il Padiglione Centrale dei Giardini, dove l’architetto ghanese britannico David Adjayee ha progettato uno spazio di lettura, durante tutti i sette mesi della mostra, un po’ particolare, visto che degli attori si alterneranno a leggere ininterrottamente Il Capitale di Karl Marx, diretti dal regista Isaac Julien. Beh, buon divertimento.
Si sa che l’arte a volte si può confondere con l’impegno. E con la provocazione. Sgarbi invece sta facendo di tutto per farne parlare, che non è un male, in linea di principio. Dipende come se ne parla. Prima c’è stata la proposta di trasferire i Bronzi di Riace. Poi, dopo il rifiuto del soprintendente Bonomi, quello di far venire l’Ortolano dell’Arcimboldo da Cremona.
La mostra dedicata a Leonardo a Palazzo Reale, uno degli eventi di punta del semestre dell’Expo, è stata attaccata abbastanza duramente dallo stesso Sgarbi che ha definito gli organizzatori «astratti o distratti». In compenso, Sgarbi è stato preso di mira dai consiglieri regionali del pd per i quasi due milioni di euro che la Giunta ha deciso di versargli per il programma «Belle Arti».
Certo, non si può ridurre l’Expo a queste beghe. E i soldi di Sgarbi sono niente in confronto a quanto è costato l’Albero della Vita. E’ una installazione prevista all’interno del Padiglione Italia. Si tratta di una torre di acciaio e legno alta 35 metri, piazzata all’interno di un lago. E’ ispirata al disegno di Michelangelo per la piazza del Campidoglio, è stata realizzata da Marco Balich, e costerà 8,3 milioni di euro. Gli sponsor dovrebbero coprire quasi sei milioni. Ma non è sicuro che dopo l’Expo resti. Sarà anche per questo che il presidente della Commissione Ambiente ha commentato che «con la stessa cifra avremmo piantato 20mila alberi». Effettivamente…
Beh, non pensateci. E divertitevi.