Direttore artistico del Museo del Duomo di Milano e membro del comitato scientifico, Philippe Daverio ha voluto essere presente lo scorso 2 maggio all’inaugurazione del punto di ristoro che la Veneranda Fabbrica ha realizzato, in occasione di Expo 2015, presso la Sala delle Colonne, accanto alla cattedrale.
Da sempre sostiene l’importanza di azioni che favoriscano la fruizione del nostro patrimonio culturale e artistico, sia da parte delle Istituzioni, sia da parte dei responsabili diretti delle sedi museali. Gli abbiamo chiesto un parere sulla situazione italiana.
Professor Daverio perchè i musei italiani non decollano?
“Il motivo fondamentale è che non hanno sufficienti quantità di passaggi sui media, perchè la ‘vendita’ corrisponde al numero dei passaggi. Gli Uffizi di Firenze ad esempio funzionano perchè hanno un numero alto di passaggi, l’Accademia di Venezia no perchè non li ha. C’è un rapporto diretto tra queste due cose. Io tentai di spiegarlo a Ronchey (ministro dei beni culturali dal 1992 al 1994 ndr) a suo tempo, ma i politici italiani fanno fatica a capire questa realtà, perchè diventano ministri senza essere mai stati in un museo.”
E con Franceschini?
“E’ uguale. Lui confonde i musei con gli ospedali. Sono sempre Enti pubblici ma è tutt’altra roba.
Ma i musei italiani non potrebbero autoprodurre la loro comunicazione?
“Per il momento non ne hanno il diritto e quando dovessero averne il diritto non hanno le competenze. La comunicazione è un lavoro, non ci si improvvisa e infatti fanno delle robe molto goffe.”
Quindi una soluzione non c’è?
“No, almeno finchè non mi fanno ministro, scherzo ovviamente, però finchè non entreranno a gestire delle persone competenti, la soluzione non ci sarà.”
Una figura come Sgarbi è funzionale a una migliore comunicazione dei musei?
“Vittorio non è mai stato in un museo fuori dall’Italia. Lui è molto ‘italiano’ e non può che perpetuare l’italianità.”
Vuol dire che è provinciale?
“No, provinciale sembra un insulto, ‘locale’ è la parola più adeguata, ma qui occorre qualcuno che sia meno ‘localista’. Bisogna aver fatto esperienza, aver vissuto altre realtà. Anche questo è un lavoro che si costruisce nel tempo.”
Insomma qui da noi l’esperienza del Metropolitan Museum resta distante anni luce.
“Sì ma non dobbiamo neanche fare confusione. Lì dobbiamo considerare il numero di visitatori, il rapporto con le raccolte fondi private..insomma qui da noi è un po’ come se volessimo far mettere le mani su una Ferrari a chi ha sempre aggiustato solo biciclette. Rischia di far saltare il motore e farsi male.”
Dunque il problema è anche che in Italia la formazione è carente e non è stata in grado di formare persone competenti?
“Non ne abbiamo. Avevamo delle figure che grazie alla propria intelligenza erano riuscite a far funzionare delle macchine molto complesse e obsolete. Penso ad alcuni grandi Sovrintendenti come Nicola Spinosa a Napoli, Claudio Strinati a Roma, Emiliani a Bologna, ma sono andati in pensione e non sono stati sostituiti da nuove leve competenti. All’interno del Mibac ci sono persone incredibilmente inesperte, che non hanno neanche avuto la fortuna di viaggiare. Quelli che ho citato quantomeno per ruolo storico giravano il mondo. Pensi che il mio primo incontro con Nicola Spinosa avvenne quando io avevo 27 anni e lui 35 e accadde alla Yale University dove facemmo insieme una conferenza sugli angeli e la cultura estetica nell’arte napoletana.”
Detto in altre parole quello che abbiamo a disposizione oggi si basa ancora sul lavoro che avete fatto voi
“Sì. Ad esempio a Palazzo Reale ancora può vedere quello che ho fatto io. Insomma il fattore generazionale è tanto importante. E’ mancata una formazione adeguata e un passaggio di consegne. Ma d’altra parte quando un paese va in vacca, non c’è niente da fare.”