Quando la fotografia entra nelle trame letterarie, la pellicola si avvolge nell’inchiostro di un racconto. La letteratura amoreggia con la fotografia, si fa soggetto. I destini di entrambe le scritture – con luce e con lettere – si incrociano e contaminano reciprocamente dalla nascita della prima, l’una immortala l’altra e viceversa. Walter Guadagnini, uno dei più autorevoli storici e critici della fotografia in Italia, ha selezionato e raccolto nel suo nuovo libro dodici scatti letterari, dodici “Racconti dalla camera oscura“. Undici autori (con un doppio Pirandello) per dodici storie che hanno come centro ideale il fotografo e la fotografia, dal 1851 al 1970: come letterati ed intellettuali hanno interpretato e raccontato l’immagine fotografica rivelandone magia, ambiguità e mistero. Una concisa e indispensabile antologia lunga centovent’anni – dopo l’impresa enciclopedica in quattro tomi de La Fotografia sempre edita da Skira – che va dai “dagherrotipi” di Hawthorne a “l’avventura” di Calvino del 1970, passando per l’immaginario re Leopoldo di Mark Twain e le bave “indiavolate” di Cortázar ispiratrici del Blow-Up di Michelangelo Antonioni.
Come mai ti sei fermato al 1970?
Mi interessava vedere come si fosse sviluppato questo tema nel periodo che corre dalla nascita della fotografia fino al momento in cui se ne esplicitava la valenza concettuale, di meccanismo del pensiero collegato alla visione. I tre ultimi racconti di Bioy Casares, Cortazar e Calvino si possono quasi considerare come una sorta di analogon letterario di tanta fotografia concettuale degli anni Sessanta e Settanta. Poi sia la fotografia che l’arte diventano un’altra cosa.
Ci sarà un seguito sull’era digitale vista sempre da letterati e intellettuali?
Vedremo. In ogni caso l’approccio dovrebbe essere completamente diverso, proprio per le ragioni che ho appena elencato.
Era digitale ora caratterizzata da frenesia fotografica e bulimica consumazione dell’immagine, che spesso uccidono il valore dell’immagine stessa. Come sta tra selfie, telefonini e apparecchi vari la fotografia nel 2015?
Mai stata meglio, verrebbe da dire, poiché non si è mai parlato tanto di fotografia come adesso, persino i superciliosi e perennemente ritardatari intellettuali italiani adesso hanno scoperto la fotografia e le dedicano saggetti pronti all’uso, versione Barthes (o Dyer, che oggi fa più chic) de’ noantri. In realtà, la fotografia sta vivendo da anni una sorta di mutazione genetica, al termine della quale è ancora difficile, almeno per me, quale sarà la sua nuova forma di apparizione. Comunque, siamo partiti dal dagherrotipo, abbiamo attraversato albumine, collodi, Kodak, Polaroid, è il destino della fotografia di essere sempre in movimento, di cambiare con il cambiare delle tecnologie, ed è proprio per questo che è stata ed è ancora uno degli strumenti migliori per capire la modernità e la post-modernità.
Che rapporto c’è tra fotografia e letteratura oggi? Come si è evoluto il rapporto nei centovent’anni del libro?
È un rapporto abbastanza curioso, nel senso che da un lato i fotografi presenti in alcuni libri anche di ottima narrativa corrispondono al cliché classico del fotoreporter, dall’altro la fotografia diviene un pretesto per costruire vicende tra spy story e fantascienza. Senza dimenticare le fotografie che ancora oggi fanno ricordare al protagonista episodi passati… insomma, si procede secondo le regole canoniche, non vedo all’orizzonte grandi novità epocali, dopo le prove geniali di un autore come Sebald.
Il volume inizia con “La casa dei sette abbaini” di Nathaniel Hawtorne (dove la fotografia diventa soggetto all’interno dell’opera letteraria) e termina con “L’avventura di un fotografo” di Italo Calvino (dove si è voluto evidenziare il cambiamento di clima nella pratica e nella riflessione sulla fotografia). Su cosa si basa la scelta degli autori?
Su di un giusto equilibrio tra testi irrinunciabili (penso appunto ad Hawthorne, a Maupassant, Pirandello, Proust, ai già citati Bioy Casares, Cortazar e Calvino) e testi meno conosciuti ma non meno importanti per capire l’evoluzione di questo rapporto, oltre che molto divertenti, come il pezzo teatrale di Boucicault, il racconto di Conway o l’estratto di Twain.
C’è un filo rosso che accompagna i testi contenutisticamente?
Direi la questione del rapporto tra immagine e realtà, declinata nei più diversi modi e risolta con le più differenti soluzioni.
Dion Boucicault in The Octoroon (1859) fa dire a Scudder: “l’apparecchio non può sbagliare (…) l’apparecchio non commette errori“. Ne ha commessi di errori quell’apparecchio nella storia dalla fotografia?
Bisognerebbe intendersi sul termine “errori”, ma se capisco bene, l’unica risposta possibile è che a sbagliare in effetti non è mai l’apparecchio, ma l’uomo…
L’ultimo contributo è quello di Italo Calvino, celebre per la sua revisione radicale della fotografia nel tempo. Com’è cambiata la sua “lettura” fotografica?
All’inizio della sua vicenda intellettuale Calvino era molto sospettoso nei confronti della fotografia, ne leggeva soprattutto il carattere di impronta fedele e in qualche modo meccanica della realtà, come accadeva ancora negli anni Cinquanta a molti intellettuali italiani. In seguito, probabilmente grazie a una serie di letture e forse anche alla frequentazione con artisti come Giulio Paolini, la sua lettura si è profondamente modificata, e “L’avventura di un fotografo” ne è bellissima testimonianza.
Che occhio è quello del letterato che tratta la fotografia?
È l’occhio di chi è abituato a inventare una nuova realtà a partire dalle apparenze di quella quotidiana, direi che non è molto distante dall’occhio del fotografo, in realtà.
Riguardo l’arte… tra otto e novecento la fotografia ha irriso la mimesis classica e cambiato per sempre l’espressione artistica. In tutto il secolo scorso ne han fatte di tutti i colori assieme (arte/fotografia). Ora come si “guardano” e si raffrontano?
Se per arte si intendono le discipline artistiche della tradizione, e in particolare la pittura, direi che ormai siano una coppia di fatto…
“Con il piacere è come con le fotografie. Quello che si realizza in presenza dell’essere amato non è che un cliché negativo, lo si sviluppa dopo, una volta arrivati a casa, quando si ritrova a propria disposizione quell’interiore camera oscura il cui ingresso è interdetto finché si sta con la gente”
(Marcel Proust)
“Non potete fare affidamento sui vostri occhi se la vostra immaginazione è fuori fuoco”
(Mark Twain)
“Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”
(Roland Barthes)
Racconti dalla camera oscura
a cura di Walter Guadagnini
2015, 14 x 21 cm, 208 pagine, brossura
€ 15,00
Skira