Palazzo Braschi ospita una retrospettiva sul fotografo Mario Giacomelli, scomparso sedici anni fa. Fino al 29 maggio presso il palazzo settecentesco romano, che va da Piazza Navona a Corso Vittorio Emanuele, si possono vedere circa 200 fotografie vintage ed autografate di uno dei grandi maestri della fotografia italiana.
La mostra, prodotta da Fondazione Forma per la fotografia in collaborazione con l’Archivio Giacomelli di Senigallia, è curata da Alessandra Mauro e propone il lavoro di Giacomelli in un percorso inframmezzato da un video-documento “Mi Ricordo Mario Giacomelli” di Lorenzo Cicconi Massi, con testimonianze tra gli altri del fotografo Gianni Berengo Gardin, del pittore Tullio Pericoli, del critico Achille Bonito Oliva, dello storico dell’arte Carlo Arturo Quintavalle.
A celebrazione del fotografo che ha piegato la tecnica al perseguimento dell’idea da raggiungere e che considerava la macchina fotografica come parte del suo corpo, il catalogo presenta testi di Christian Caujolle, Alistair Crawford, Goffredo Fofi, Simone Giacomelli, Alessandra Mauro, Paolo Morello e Ferdinando Scianna. Un’antologica, questa su Mario Giacomelli, dove si intuiscono i segni di una riflessione profonda sul sé e sul mondo intorno.
Partendo dalle sue radici e muovendosi, geograficamente parlando, in poche centinaia di chilometri percorsi più e più volte, Mario Giacomelli ci consegna una fotografia dell’animo, il suo, dove la poesia ha un posto fondamentale e la pittura le fa da contorno.
Nato a Senigallia, era poco più che bambino quando perde il padre. Comincia a dipingere e scrivere poesie e le abbandona solo quando scopre la macchina fotografica che diventa il suo modo di raccontare il mondo creativamente. Nel percorso che si snoda a Palazzo Braschi a Roma, dalle fotografie degli esordi si passa alle serie più conosciute come “La buona terra”, “Un uomo, una donna, un amore”, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” (serie presentata alla Biennale di Venezia del 1964), “Io non ho mani che mi carezzino il volto” e “Scanno”. Queste ultime gli aprono le porte del MoMa di New York.
Nei lavori esposti in mostra viene sottolineato il concetto di fotoracconto e a queste fotografie sono accostati gli scatti che Giacomelli ha realizzato lasciandosi cogliere dai fremiti di una poesia come “A Silvia” e “L’infinito” di Giacomo Leopardi o “Io sono nessuno! Tu chi sei?” di Emily Dickinson.
Le fotografie di Giacomelli immortalano figure che si muovono e si spostano in un contesto astratto e deformato, dove ogni soggetto è messo in relazione ad altri e al contesto in cui vive in modo deformato. Giacomelli insegue un metodo creativo che ricrea in continuazione per rimodellare significati e significanze nelle loro sempre differenti interrelazioni. La fotografia è vissuta da Mario Giacomelli come “scenario magico”.
Con la presenza dei paesaggi senza persone (fotografati e ripresi più volte negli anni, tanto quanto nelle serie “Così come la morte”, “Ritorno”, “Territorio del Linguaggio”, “il volo lento delle farfalle”), l’antologica su Mario Giacomelli vuole mettere in mostra l’opera incessante da grande inventore di immagini che contraddistingue il lavoro del fotografo e che ritroviamo, come intuito richiamo o riflesso, nelle immagini di molti dei grandi fotografi italiani contemporanei.
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MARIO GIACOMELLI
LA FIGURA NERA ASPETTA IL BIANCO
A cura di Alessandra Mauro
23 marzo – 29 maggio 2016
Museo di Roma Palazzo Braschi
Ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10
Tel 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)
www.museodiroma.it
www.museiincomuneroma.it