“Dico sempre che mi sento attore dilettante e pittore professionista. Se non possedessi questa facilità naturale del raccontare attraverso le immagini, sarei un mediocre scrittore di testi teatrali, ma anche di favole o grotteschi satirici”.
Il premio Nobel Dario Fo per la prima volta, dopo settant’anni, espone in una galleria milanese -la MIART Gallery– nel cuore di Brera. Quaranta opere esposte a partire dal 13 maggio fino al 12 giugno, tutte ispirate al libro Razza di Zingaro edito nel 2015.
Dario Fo ricostruisce la vera storia di Johann Trollman un pugile osteggiato dalla Germania all’epoca del nazismo. In seguito ad un’inchiesta Fo parla della complessità del suo personaggio. Un uomo affascinante e generoso che dotato di ritmo ed eleganza esordisce fin dalla sua giovane età come un grande talento. Combatteva con una ritmica e con dei movimenti che richiamano la danza e per questo era diverso. Fu perseguitato dalla Germania nazista in quanto zingaro e in quanto talentuoso. I suoi successi non vennero mai riconosciuti e furono continuamente osteggiati. Solo dopo ottant’anni la Germania, avendo riconosciuto l’autenticità di questa storia, ha consegnato alla famiglia del pugile la corona di campione di pesi massimi. Trollman era un diverso e gli zingari, dopo gli ebrei, erano una categoria da contrastare secondo i nazisti.
Dario Fo sottolinea come in realtà quanto l’Europa deve a questa comunità, portatrice di una cultura distintiva già nel Trecento.
Il nobel ha ricostruito la storia di Trollman con quadri che si riferiscono puntualmente ad ogni singola vicenda come la palestra, gli allenamenti, gli incontri e le persone vicine al pugile come la moglie Olga. Attraverso questi numerosi quadri è possibile entrare dentro la storia i movimenti e le persone che hanno animato questa triste vicenda.
Il linguaggio artistico di Dario Fo presenta dei tratti piuttosto distintivi prima di tutto il colore. Molte tele sono costituite da elementi luminosi che colpiscono lo spettatore. Tale scelta è probabilmente dovuta alla volontà di attirare l’attenzione di chi guarda attraverso un mezzo come il colore e la luminosità che è molto familiare all’uomo contemporaneo. Quest’ultimo è spesso abbagliato dalla società moderna con le sue forti luci colori e rumori ma dimentica la sostanza delle cose. Così l’artista usa questo stratagemma questa volta per portare l’attenzione su un tema importante, su una storia da non dimenticare.
“Non ho mai venduto un mio quadro e non avevo quindi un mercato. Facevo mostre in tutta Europa ma i miei quadri non avevano un valore perché non ero in un mercato, allora non esisto. Ho scoperto che come pittore non esistevo ed è questo che mi ha spinto a vedere quanto valgo”
Dario Fo è pittore prima ancora di essere attore fin dall’infanzia. Colpito da una visita all’Accademia di Brera, in età adolescenziale s’iscrive per compiere i suoi studi. Apprende ogni sorta di tecnica artistica compresa la scenografia, ma quando deve valutare la sua strada per il futuro sceglie di non puntare sulla pittura. Il suo talento nel narrare storie lo conduce verso il mondo del teatro e all’incontro con sua moglie e compagna di vita Franca Rame, figlia d’arte. Il maestro viaggia e scrive e nel 1997 riceve il Nobel.
Una carriera dedita al mondo della cultura e del teatro che sembra aver messo in ombra quello che Dario Fo è sempre stato: un pittore. In realtà tale passione non lo ha mai abbandonato perché dietro ad ogni stesura di una sua opera teatrale e letteraria vi erano prima di tutto un disegno e un quadro.
A queste rappresentazioni affida la regia e le sue riflessioni su quello che poi avrebbe espresso sul palcoscenico. L’artista sceglie di uscire dall’ombra solo di recente quando si rende conto che un pittore che non è sul mercato è come se non esistesse, come se non contasse nulla. Malgrado il fatto che non apprezzi tanto questa logica moderna sceglie di mettersi alla prova.
Le efficaci capacità comunicative del maestro si esternano chiaramente anche attraverso le sue opere pittoriche se non ancora di più rispetto alla parola perché luogo di nascita ed elaborazione delle sue idee.
“Ruba, tu devi rubare dai maestri e fare tuo quello che hai rubato”
Le opere di Fo testimoniano la capacità di possedere prima di tutto una grande conoscenza del repertorio d’immagini della storia dell’arte. Primo fra tutti è sicuramente Picasso. Le stesse opere presenti in mostra attestano la conoscenza delle opere dell’artista, soprattutto del periodo blu che non a caso aveva come soggetti gli zingari. Ma il Nobel compie un ulteriore passo in avanti e lo fa attraverso la rielaborazione del linguaggio passato. Compie una sorta di prelievo del repertorio dei grandi maestri, li ‘ruba’ e li fa suoi per le sue idee per le sue opere in una chiave totalmente elaborata. Un atteggiamento contemporaneo non nuovo nella storia dell’arte ma sicuramente originale.
La pittura anticipa così le parole. La pittura costituisce il nucleo originario del talento di Dario Fo, è lo strumento di cui si serve per realizzare le sue più grandi opere. Il suo obiettivo attraverso il teatro era catturare l’attenzione, divertire o soprattutto incantare qualcuno. Riconosce che sono le leggi del mercato ad attirare l’attenzione del mondo delle opere d’arte, ma spera ugualmente di poter incantare attraverso quello che può definirsi il suo linguaggio ‘primario’.
Attraverso questa mostra Dario Fo spera di trasmettere prima di tutto l’indignazione e l’ignoranza del razzismo.
“Io mi sono preoccupato con questi quadri di raccontare la loro gestualità, i ritmi, i tempi, l’armonia, l’eleganza e la poesia. Se sono si sta attenti alla lezione che ci danno questi uomini e queste donne allora non capiremo niente neanche di noi stessi”.
INFORMAZIONI UTILI
La personale del maestro Dario Fo, Razza di zingaro
MIART GALLERY, Via Brera 3, Milano
dal 13 maggio al 12 giugno 2016, ingresso libero
Intervista Dario Fo a cura di Miart Gallery