Natalie Portman è Jackie Kennedy nel nuovo film di Pablo Larrain. Al cinema del 23 febbraio.
Jacqueline Kennedy aveva solo 34 anni quando suo marito venne eletto Presidente degli Stati Uniti. Elegante, piena di stile e imperscrutabile, divenne immediatamente un’icona in tutto il mondo: famosissima, una first lady con l’allure di una star. Come Evita. Il suo gusto per la moda, per gli arredi e per le arti divenne un modello da imitare.
>> 22 settembre 1963, durante un viaggio a Dallas per la campagna elettorale, John F. Kennedy viene assassinato. Due colpi d’arma da fuoco. Uno gli apre il cranio. Muore tra le braccia di Jackie, lei lo stringe a sé nella disperata quanto inutile corsa in ospedale, il suo completo rosa pastello irrimediabilmente macchiato di sangue.
“Una pallottola ha attraversato il collo del Presidente; una successiva pallottola, letale, ha frantumato il lato destro del cranio…”
Ne segue un lutto con tutte le contraddizioni che può comportare il dover gestire un ruolo sia pubblico che privato. Comparire è esporsi, celare è nascondersi. Nella settimana successiva all’omicidio del marito/Presidente Jackie capì subito che quei sette giorni sarebbero stati decisivi nel definite, non solo l’immagine e l’eredità storica di John F. Kennedy, ma anche come lei sarebbe stata ricordata.
>> Pablo Larrain riscrive le regole del biopic, in un affresco cinematografico che è al contempo una riflessione sulla fede, sul lutto, sulla storia e sulla fondazione del mito.
Natalie Portman (Il cigno nero, V per vendetta, Closer) regala una performance incredibile, colpisce l’uso della voce: è dolente e fiera. Un’interpretazione magistrale, da brividi.
Con lei un cast di tutto rispetto, da John Hurt -recentemente scomparso- nei panni del padre confessore di Jackie a Billy Crudup, Theodore H. White, il giornalista che ingaggia un’intervista/duello con Jackie, determinata a tirare i fili della storia da tramandare al futuro.
Sempre ottima anche Greta Gerwig, qui nei panni di Nancy Tuckerman, l’assistente personale di Jackie.
Jackie, nonostante il dolore, prese in carico il compito di portare a termine la storia di John F. Kennedy. In pochi giorni riuscì a trasformalo in una leggenda definendo la sua immagine e rafforzando quella che sarebbe stata la sua eredità politica. Larrain indaga proprio questa parte della storia, quella in cui, Jackie, rifiutando il ruolo da potiche prende in mano la situazione e, con freddezza (e una buona dose di cinismo), decide di scrivere le sorti del mito.
Jackie oltre a rivelarsi un film molto intelligente, per la sua struttura narrativa e per la sua sensibilità nel tratteggiare un ritratto femminile complesso e lontano da facili stereotipi o semplificazioni agiografiche, è connotato da un’estrema raffinatezza visiva.
La fotografia di Stéphane Fontaine (Elle, Captain Fantastic, Un sapore di ruggine e ossa) ricrea ambienti dai marcescenti toni pastello tipicamente anni ’60. Rosa confetto tendenti al lavanda, verdi menta desaturati fino alla soglia del grigio, azzurri e gialli che si inseguono in abbinamenti fuori legge. La pellicola corre così su due binari differenti, come doppio è il carattere della protagonista: da una parte l’attenzione agli oggetti, dall’altra quella agli ideali. Due cose che potrebbero sembrare quasi opposte e in contrasto -“cose” e “idee”- ma che assieme hanno contribuito alla nascita del mito.
Gli arredi, i quadri, i suppellettili; quelli che Jackie illustra durante la celebre visita alla Casa Bianca trasmessa in TV nel febbraio del 1962. Jackie difatti subito dopo le elezioni mise mano agli arredi della residenza presidenziale, dal mobilio delle sale di rappresentanza a quello delle stanze private, acquistò mobili antichi e manufatti da musei e collezionisti. Una volta concluso questo restyling Jackie concesse alla CBS un tour guidato della Casa Bianca. Per la prima volta nella storia la Casa Bianca era “aperta” a tutti gli americani, diventava la casa del popolo.
“They’ll be great presidents again, but they’ll never be another Camelot”
E poi Camelot. Jackie racconta a Theodore H. White, durante l’intervista che fa da filo conduttore durante il film, di come tra le canzoni preferite del defunto marito ci fossero proprio due canzoni tratte del musical: If Ever I Would Leave You cantata da Robert Goulet e Camelot (finale) cantata invece da Richard Burton, rispettivamente la prima e l’ultima canzone del secondo atto. Attingere a un mito per fondarne un altro, questa la strategia della vedova Kennedy, affranta ma lucidissima.
Questa analogia viene ripresa anche da Sorkin nel suo The Newsroom, serial TV andato in onda tra il 2012 e il 204, in cui il protagonista, Will McAvoy -interpretato da Jeff Daniels- cita più volte il musical come metafora ideale per guidare la sua troupe televisiva. In questo caso una doppia citazione, al musical e a Kennedy.
>> Jackie ha insistito molto sull’analogia tra la presidenza Kennedy e Camelot: “They’ll be great presidents again, but they’ll never be another Camelot” dichiarerà, proprio riprendendo una delle battute del personaggio di Re Artù nel musical: “Don’t let it be forgot, that once there was a spot, for one brief, shining moment, that was known as Camelot”.
Un modo per allegare un messaggio morale edificante -un regno ideale fatto di uomini che diventano eroi- a uno dei fatti più tragici della storia americana del secondo dopoguerra.
Pablo Larrain con Jackie mette in scena un biopic emotivo, il ritratto di una donna tanto famosa quanto poco conosciuta, discreta e imperscrutabile. Un film che fa coppia con Neruda, altro biopic a firma Larrain, dove in un’atmosfera sospesa tra visione e realtà, l’indagine sulla natura della poesia porta al ritratto dell’uomo attraverso la genesi del suo mito. In entrambi i film il regista cileno costruisce delle storie che sbocciano come in una continua ricerca, scava, analizza, scompone un puzzle fatto di brandelli, ricordi, luoghi, immagini, idee, persone… Per restituire infine allo spettatore un cinema di altissimo livello.
Jackie: premio per la miglior sceneggiatura a Venezia 73, Premio Platform al Toronto Film Festival, 3 nomination agli Oscar, dal 23 febbraio al cinema