L’arte contemporanea torna in Piazza della Signoria con il progetto In Florence, che dopo Jeff Koons vede esporre lo Svizzero Urs Fischer, con la totemica Big Clay #4 e due infantili statue in cera (Big Clay #4 and 2 Tuscan Men). Promosso dal Comune di Firenze, in collaborazione con la Biennale d’Antiquariato. A cura di Francesco Bonami, fino al 21 gennaio 2018.
Firenze. Tramontata la moda delle “archistar”, in seguito all’intelligente Biennale d’Architettura curata nel 2012 da David Chipperfield, non accenna invece a diminuire la portata del fenomeno delle “artistar”, delle quali anche Firenze, un po’ banalmente, segue il dubbio fascino. Dopo Jeff Koons nel 2015, che ebbe comunque il merito di costituire una novità, e di riuscire in una certa misura a dialogare con lo spazio rinascimentale, è adesso il turno di Urs Fischer (Zurigo, 1973), frequentatore di una scultura a suo modo sperimentale che distorce il concetto di forma, concentrandosi appunto sull’assenza di questa, per dar vita a sovrapposizioni di volumi che rimandano alla primordialità del genere umano; ne è un esempio Big Clay #4, quarta opera appunto della serie, che con i suoi 12 metri d’altezza distribuiti nell’acciaio brunito della superficie, resterà in Piazza della Signoria per i prossimi tre mesi. Un’opera sicuramente impattante, ma che non sembra riuscire a inserirsi armoniosamente in questo antico contesto urbano. L’Arengario di Palazzo Vecchio, invece, ospita due statue in cera, che ritraggono uno degli ideatori del progetto, l’antiquario Fabrizio Moretti, e il curatore Francesco Bonami; due statue che bruceranno lentamente come candele, modificando profondamente la loro morfologia, giungendo fino allo scioglimento: al di là dell’intento pubblicitario, secondo l’artista esprimono l’idea della finitezza umana e dell’eternità dell’arte.
Opere forse non memorabili, ma comunque non disprezzabili nel merito, e lodevole comunque l’intento che, come affermato dal sindaco Dario Nardella, è quello di smuovere la curiosità, il senso critico, di creare emozioni; da questo punto di vista, qualche perplessità la suscita la dichiarazione del curatore Bonami, il quale si è detto soddisfatto perché già in queste prime ore, Big Clay #4 ha già attratta l’attenzione dei turisti, che si radunano alla base e vi sostano per un momento di riposo, o per scattare un ormai logoro selfie. Solitamente, però, le sculture si ammirano, si studiano, seguendo superfici e volumi, e non dovrebbero essere luoghi di sosta o scenari per fotografie urbane. Per cui, se è soltanto questa l’emozione che riesce a trasmettere alla gente di passaggio, allora forse l’obiettivo non è stato raggiunto. Ma è ovviamente ancora troppo presto per tracciare un bilancio.
La questione della validità dell’operazione si pone però, probabilmente, in merito alla collocazione, nel senso che Piazza della Signoria è certamente un luogo moderno, ma lo è in quanto espressione di un pensiero universale, di una bellezza senza tempo che ha già raggiunta la perfezione, e per questo trova difficile dialogare armoniosamente con l’arte contemporanea, soprattutto quando è invasiva come nel caso di Fischer. His fretus, di qualunque artista siano le opere, difficilmente potranno generare altro se non polemica o comunque perplessità.
Avrebbe forse giovato a contestualizzare le opere e a farle apprezzare di più, se fossero state collocate in un’area della periferia cittadina, dove è chiara l’identità contemporanea del paesaggio, e dove purtroppo l’emozione dell’arte difficilmente si ha l’opportunità di goderla in loco? Come ha dimostrato anche il Padiglione Italia alla Biennale d’Architettura 2016, è dalla periferia che occorre ripartire per riqualificare le città degradate dalla crisi sociale; in questo senso, Napoli è stata all’avanguardia, presentando già otto anni fa il Simposio d’arte contemporanea internazionale, che fra giugno e luglio si tiene a Scampia, nota “area difficile” della città. E anche Milano – per limitarsi soltanto a due città -, si è mossa in questo senso: l’ultima iniziativa in ordine di tempo è stata, nel giugno scorso, la riqualificazione, attraverso la street-art, del Vicolo del Fontanile, nella parte settentrionale della zona di Loreto.
Pur con situazioni differenti, anche Firenze ha le sue aree sensibili, e probabilmente, con un programma socio-culturale di ampio respiro, portare l’arte contemporanea in questo tipo di quartieri avrebbe una doppia valenza: sociale, come detto, portando occasioni di riflessione e d’incontro, nonché un soffio di bellezza in aree solitamente dominate dal cemento e dal grigiore; e strettamente artistica, poiché in contesti del genere, non caratterizzati da una particolare identità legata al passato, le opere contemporanee si incastonano con armonia, senza contrasti né stravolgimenti, e anzi, sarebbe questa l’occasione per donare un’identità a luoghi che ne sono sprovvisti.
Quindi, a modesto avviso di chi scrive, ben venga il contemporaneo a Firenze, ma probabilmente il centro storico, stante il suo glorioso e “ingombrante” passato, non è il luogo migliore per operazioni “open air”; se invece si studiasse a tavolino un piano per portare l’arte contemporanea nei quartieri periferici, forse si riuscirebbe a creare una valida scena artistica, con immancabili ricadute positive anche a livello sociale.
Infine, un dettaglio meramente tecnico: non è esattamente chiaro il costo totale dell’operazione, poiché a precisa domanda della collega del Sole 24Ore, Fabrizio Moretti ha risposto di non conoscerlo, ipotizzando comunque una cifra attorno ai 100.000 Euro. Ma perché destinarli a un artista straniero già affermato, quando, se il confronto e il dibattito sono certamente necessari, a portarli potrebbero essere quei giovani artisti emergenti italiani, che pure esistono ma incontrano mille difficoltà nell’accedere ai canali dell’arte pubblica? “Rischiare” con artisti di venti o trenta anni, potrebbe essere per Firenze una sfida da raccogliere per essere veramente una città contemporanea, sensibile all’arte e alle nuove generazioni.
URS FISCHER
Big Clay #4 and 2 Tuscan Men