Marino Marini alla collezione Guggenheim di Venezia. Passioni visive
Palazzo Venier dei Leoni a Venezia è la casa amatissima di Peggy Guggenheim, dove la mecenate americana ha raccolto la sua splendida collezione di arte contemporanea. Tra i tanti capolavori un posto di assoluto privilegio lo occupa il grande gruppo in bronzo di Marino Marini che si affaccia sul Canal Grande dalla terrazza del palazzo: il cavaliere spalanca le braccia e il cavallo allunga il collo rivolgendosi alla città. E’ L’angelo della città (1948) che protegge, vigila, si tende con virile energia su Venezia.
Fino al 1 maggio L’angelo della città non sarà più solo perché una ricca mostra di opere di Marino Marini è allestita nelle sale della Collezione Guggenheim. I curatori Barbara Cinelli e Fulvio Fergonzi con Chiara Fabi ci propongono una lettura inedita di cinquanta opere di Marino affiancate da una ventina di opere esemplari con le quali lo scultore toscano si è confrontato, le sue passioni visive. Dall’antichità egizia, greco-romana, etrusca, alla scultura del medioevo e del rinascimento fino al Novecento dei suoi contemporanei Arturo Martini e Giacomo Manzù, passando dall’Ottocento di Rodin e di Maillol, per dialogare con Henry Moore e Picasso. Ecco in sintesi il percorso di questa emozionante mostra.
Lo spazio angusto, sono infatti camere domestiche più che sale d’esposizione, permette una vicinanza quasi un’intimità spaziale e fisica tra noi e le sculture, che ci permette di notare tanti piccoli e preziosi particolari delle superfici, e ci coinvolge direttamente nella plasticità delle figure. Un’esperienza rara che emoziona.
Nei nudi femminili, le Pomone, donne giunoniche scolpite in tutto tondo, Marino Marini ricerca la difficile armonia tra forma naturalistica e sintesi astratta tendendo alla forma assoluta. Sarà durante il suo soggiorno in Svizzera durante la guerra che Marini approfondisce il tema del frammento, così caro a Rodin, ed incontrerà artisti francesi e tedeschi come Germaine Richier e Fritz Wotruba attraverso i quali acquisirà un forte intonazione espressionista.
Le numerose teste, i ritratti colti dal vero, in bronzo, in gesso, sono un genere da lui molto amato, tanto da far considerare Marino uno dei maggiori ritrattisti scultorei del Novecento. Nessun altro scultore ha saputo infatti coniugare la ricerca che lui stesso definiva “la poesia del volto del ritrattato, cioè la sua indole, morale e psicologica più profonda” e la ricerca plastica delle forme.
Il tema che più individua l’arte di Marino Marini, come è noto, e quello del cavallo e cavaliere che proseguirà per tutta la sua carriera approfondendo le combinazioni costruttive delle forme. “Accentuando gli stacchi plastici attraverso gesti bloccati e forzati, otteneva nei corpi dei cavalieri sempre più disassati un’inaspettata ricchezza di profili e di torsioni, raggiungendo una sintesi geometrica che venne letta come un aggiornamento sul Cubismo di Picasso” (dalle note alla mostra).
Un grande autore dunque, Marino Marini, dalla possente individualità, con solide basi che affondano nella colta storia dell’arte occidentale, ma capace di aggiornare il suo linguaggio nell’ascolto della ricerca creativa e dei dibattiti intellettuali e artistici che attraversavano l’Europa e l’America del suo tempo.