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Il mondo in uno scatto. A Roma le foto vincitrici del World Press Photo 2018

Manal - Ritratti di guerra (particolare) Alessio Mamo Fonte foto World Press Photo 2018 Manal - Ritratti di guerra (particolare) Alessio Mamo Fonte foto World Press Photo
Manal - Ritratti di guerra (particolare) Alessio Mamo Fonte foto World Press Photo 2018
Manal – Ritratti di guerra
(particolare)
Alessio Mamo
Fonte foto World Press Photo

Il mondo in uno scatto. A Roma gli scatti vincenti delle varie categorie del World Press Photo 2018. I fotoreporter italiani sorprendono pubblico e critica con i loro reportage delicati e sconvolgenti al tempo stesso.

C’è tempo fino al 27 maggio per visitare una delle mostre più belle della primavera 2018 nella Capitale. In prima assoluta italiana, presso il Palazzo delle Esposizioni, World Press Photo 2018 è un’immersione totale nei fatti cruciali dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle. Non si tratta solo di lavori di qualità straordinaria. Gli scatti vincenti del più famoso premio internazionale nell’ambito del foto-giornalismo sono innanzitutto narrazioni. Immagini che non mostrano, raccontano. Il valore estetico è solo una delle componenti : indispensabile ma non sufficiente. Spesso sono storie di disperazione, di crudeltà senza confine, di paura e violenza, ma non mancano anche gli scatti che riflettono usanze poco conosciute in giro per il mondo o le trasformazioni in senso positivo della nostra società come le nuove frontiere nella difesa dell’ambiente.

Venezuela Crisis’ Ronaldo Schemidt fonte Worl Press Photo
Venezuela Crisis’
Ronaldo Schemidt
fonte Worl Press Photo

Siamo sovraesposti ogni giorno da immagini del genere, anche di ottima qualità e ad alta definizione. Si potrebbe dunque pensare di assistere, durante il percorso espositivo, a frequenti déjà vu. Non è così. Innanzitutto, il concorso è aperto a tutti i fotografi del mondo, non solo ai soliti nomi del foto-giornalismo e questo porta alla scoperta di nuovi e interessanti talenti in grado di raccontare storie meno conosciute e proprio per questo più interessanti. Alcuni partecipano per conto di testate giornalistiche, altri per organizzazioni umanitarie ma non mancano i fotografi indipendenti che hanno autofinanziato il proprio progetto. Poi c’è quel senso di isolamento dal caos urbano e mediatico che solo una mostra (di qualità) può offrire. Nelle grandi sale del Palazzo delle Esposizioni, le immagini prendono vita. Emozionano, a volte spaventano, sicuramente fanno riflettere. Prendersi il tempo di osservare, magari di cambiare punto di vista su un argomento è un lusso di  questi tempi caratterizzati dal bombardamento mediatico dei social media e dalle cosiddette fake news. Per questo motivo, un team affianca la giuria del concorso con il compito di verificare le informazioni fornite nelle descrizioni delle storie mentre altri esperti eseguono controlli volti a individuare eventuali manipolazioni : sono le storie il fulcro di ogni progetto. Schegge impazzite che in molti casi la nostra società vuole nascondere, rimuovere, dimenticare. Storie di immigrazione, guerra, terrorismo, prevaricazione. Il vero talento di questi fotoreporter non è tanto il taglio della luce o la giusta inquadratura ma la capacità di condensare in uno scatto il racconto di una vita intera. Anche se non manca la novità della sezione dei lavori ‘a lungo termine’, progetti divisi in più mesi o anni e di altissimo livello tecnico.

Toby Melville, Witnessing the immediate aftermath | Reuters. World Press Photo of the Year nominee, Spot News second prize stories
Toby Melville, Witnessing the immediate aftermath | Reuters. World Press Photo of the Year nominee, Spot News second prize stories

Della foto dell’anno, vincitrice assoluta del World Press Photo, ne abbiamo già parlato nel nostro precedente articolo che anticipava la mostra di Roma. Ci soffermeremo invece, su tre dei cinque italiani premiati nelle varie categorie  che abbiamo conosciuto durante la presentazione alla stampa della mostra e che hanno colpito non poco i giornalisti ( e i colleghi fotografi) presenti all’anteprima. Sono proprio i professionisti italiani quelli che sembrano aver portato qualcosa di nuovo, che non ti aspetti, che non hai mai visto prima. Un foto-giornalismo ‘di nicchia’, travolgente e delicato al tempo stesso. Durante le interviste con la stampa, la principale preoccupazione dei tre fotografi sembrava proprio quella di dare visibilità a quei volti destinati a essere altrimenti invisibili, ignorati, dimenticati. Hanno riservato poche parole ai dettagli tecnici del loro progetto ( e del loro talento ) e molte ai veri protagonisti degli scatti, con un velo di malinconia che svela un coinvolgimento che va al di là di quello che resta comunque un eccezionale documento storico.

Lives in Limbo è il progetto di Francesco Pistilli – terzo nel podio nella categoria General News – che tratta il tema drammaticamente attuale dell’immigrazione ma da un’angolazione inedita:

” Con l’inasprimento dei controlli sulla rotta balcanica e la chiusura delle frontiere di Ungheria e Croazia, più di mille migranti di origine afghana e pakistana sono rimasti bloccati per mesi del rigido inverno 2017 nei vagoni e nei magazzini abbandonati dietro la stazione ferroviaria di Belgrado. Senza elettricità, senza riscaldamento, acqua e servizi igienici. L’aria all’interno dei magazzini era irrespirabile perché per combattere la temperatura sotto zero, l’unica soluzione era accendere ovunque piccoli fuochi da bivacco. Il cibo, pochissimo, era distribuito una volta al giorno dalle ONG locali e volontariato. Lives in Limbo è un reportage che racconta la vita dei migranti bloccati in Serbia, alle porte dell’Europa nel gelo e nel silenzio di un limbo senza fine

Francesco Pistilli Lives in Limbo Un giovane rifugiato afgano dorm in un vagone di un treno abbandonato a Belgrado
Francesco Pistilli
Lives in Limbo
Un giovane rifugiato afgano dorme in un vagone di un treno abbandonato a Belgrado

Nella sezione Ambiente, Storie, per la National Geographic, Luca Locate si è piazzato secondo con ‘Hunger Solutions‘, descrivendo le virtuose pratiche agricole dei Paesi Bassi  che consentono di ridurre notevolmente il consumo di acqua e l’uso di pesticidi.

Sempre un secondo premio – ma nella sezione delle ‘Questioni contemporanee’ – per Giulio di Sturco con ‘ More than a Woman‘ dove una giovane paziente attraverso uno specchio vede il suo nuovo organo e forse la sua nuova vita dopo l’intervento di riassegnazione di genere in un ospedale di Chonburi (Thailandia).

Omo Change del romano Fausto Podavini si è aggiudicato il secondo premio della sezione sui ‘lunghi progetti’. Un lavoro durato molti anni e di grande qualità,  interamente autofinanziato. Un progetto nato nel 2011 sulle rive del fiume Omo ( Etiopia) che racconta gli effetti dei notevoli investimenti finanziari che, in nome dello sviluppo, sconvolgono  il precario equilibrio tra uomo e ambiente :

“Nel 2010 fu annunciato il più grande investimento di tutta l’Africa, la costruzione della diga di Gibe III sul fiume Omo. L’entrata in funzione della diga e le nuove piantagioni hanno portato una riduzione del livello del fiume, una riduzione della foresta pluviale ed una perdita di biodiversità, con il rischio di una grave crisi umanitaria. La valle dell’Omo, resterà paradossalmente un bacino di risorse per il resto del mondo ma non per la propria popolazione”.

A colpire l’attenzione del pubblico è anche una foto che descrive un altro aspetto collaterale di simili contaminazioni : due ragazze del luogo, nella loro classica posizione di riposo, mostrano due reggiseni tipicamente occidentali. Una fotografia che evidenzia il contrasto tra il  pizzo malizioso e la purezza di quei volti malinconici.

Fausto Podavini Omo Change I bambini del luogo giocano I bambini nostrani Karo giocano  sulle rive del fiume Omo in Etiopia. Fonte foto World Press Photo 2018
Fausto Podavini
Omo Change
I bambini del luogo giocano I bambini nostrani Karo giocano sulle rive del fiume Omo in Etiopia.
Fonte foto World Press Photo

Infine, una delle foto più intense della mostra, secondo premio nella categoria People (singoli). Il volto con la maschera di Manal, una ragazzina di 11 anni sfigurata nel viso e nel corpo a causa  dell’esplosione di un missile a Kirkuk, in Iraq. Come spiega l’autore dello scatto  Alessio Mamo :

Questa foto l’ho scattata a Luglio del 2017 per un progetto sull’Ospedale di Chirurgia Ricostruttiva di Medici Senza Frontiere ad Amman, in Giordania. Manal è stata fotografata nella sua stanza. Purtroppo la bimba è costretta ad indossare una maschera che la protegge dalla luce per diverse ore al giorno. Lei è una ragazza piena di vita e i suoi hobby sono la chitarra e soprattutto i suoi disegni. Dietro di lei, sono proprio i suoi disegni che arredano la stanza dell’ospedale.

Il fotoreporter siciliano spera di incontrare di nuovo la bambina che con quella maschera sembra un’eroina di qualche fumetto, anche se, spiega con velo di malinconia,  ” lei per me lo è pure nella realtà”.

Manal - Ritratti di guerra
Manal – Ritratti di guerra
Alessio Mamo
Fonte foto World Press Photo 2018

Informazioni

World Press Photo 2018

Palazzo delle Esposizioni – Via Nazionale, 194

QUI tutte le informazioni per l’acquisto dei biglietti

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