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Luigi Ghirri: il viaggio nelle immagini, a Lugano

Luigi Ghirri, Scandiano, presso la Rocca di Boiardo, 1985. C-print, vintage print Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano. Collezione Città di Lugano Crediti fotografici: Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano. Collezione Città di Lugano
Luigi Ghirri, Rimini, 1977. Lambda print, new print (2022). Eredi di Luigi Ghirri, Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri
A Lugano, il MASI, con la mostra personale “Luigi Ghirri. Viaggi Fotografie 1970-1991”, a cura di James Lingwood e il coordinamento di Ludovica Introini, inaugura l’attività espositiva autunnale del Museo d’Arte della Svizzera Italiana, dove il rapporto tra architettura e paesaggio è costante.

Dello sguardo di Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 – Reggio Emilia, 1992), dentro e fuori l’obiettivo fotografico, non ci stanchiamo mai. In particolare, questa mostra incentrata sul tema del viaggio fisico e mentale nei dintorni della sua Emilia e in Europa è tra le migliori degli ultimi anni (fino al 26 gennaio 2024). Al MASI si viaggia intorno a quelle che Ghirri definiva “avventure minime”, dove, grazie a un allestimento fluido di fotografie, mappe, cartoline e manifesti pubblicitari capaci di ricomporre uno spazio e tempo soggettivo e collettivo insieme, si vive un’esperienza immersiva.

Il viaggio di Ghirri è scandito da oltre 140 fotografie a colori, con stampe vintage degli anni Settanta e Ottanta dell’Archivio Eredi di Luigi Ghirri e provenienti dalla collezione dello CSAC di Parma, e qualche ristampa. La mostra è l’occasione per scoprire scatti più “intimisti”, meno conosciuti di un autore che già nel 1979 aveva previsto che la realtà si stava trasformando in una “colossale fotografia” e che il fotomontaggio era già nel mondo reale, anticipando lo svuotamento di significato delle immagini a causa di un eccesso di riproduzione con l’avvento dei social media. Duplicazione, moltiplicazione, inquadratura e taglio sono le caratteristiche del suo modo di mostrare, che sottendono relazioni della fotografia con la realtà in micro e macro scala, in cui il fruitore diventa un operatore attivo, che può autonomamente decidere il percorso espositivo, e il fotografo un frequentatore della cultura dell’immagine, che apre riflessioni sulla funzione della fotografia nell’arte contemporanea.

Veduta dell’allestimento “Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991” Foto © MASI Lugano, fotografo Gabriele Spalluto

Scrive Ghirri, ex geometra, artista e colto intellettuale: «Quando viaggio, faccio due tipi di fotografie: quelle solite, che fanno tutti e che in fin dei conti mi interessano poco e niente, e poi le altre, quelle a cui veramente tengo, le “sole che considero mie” davvero». Il curatore della mostra ha scelto le ‘sue’ fotografie, aperte a infinite interpretazioni, di luoghi modellati dalle immagini. Ghirri fotografa cartoline, mappe, pubblicità e atlanti delle mete turistiche più frequentate, in cui i luoghi e poche persone, per lo più riprese di spalle e da lontano mentre si godono il panorama in vacanza, ci fanno riflettere su come e perché il modo di inquadrare un panorama, il taglio e la composizione possano condizionare la nostra percezione della realtà. La mostra è concepita come un diario visivo dei suoi viaggi in Europa tra gli anni Settanta e Ottanta, tra Svizzera, Francia, Paesi Bassi e la sua amata Emilia-Romagna.

Nel 1973, Ghirri smette di fare il geometra e si dedica alla fotografia, iniziata a 27 anni da autodidatta. È un ragazzo curioso che è sempre andato in vacanza con la macchina fotografica e la pellicola Kodachrome, come esploratore dell’inedito, per osservare luoghi antropizzati rimodellati dalle immagini, all’alba del turismo di massa della costa adriatica, riflettendo su come fruiamo e ricordiamo un luogo a seconda di come lo vediamo rappresentato.

Ghirri non è un fotografo ingenuo, capace di trasformare l’ordinario in straordinario. Il suo sguardo è concettuale ma non freddo, affascinato dalle immagini trovate nel quotidiano. Muovendosi all’interno di una serie di regole prestabilite, concepisce la propria fotografia in gruppi e serie. Alcuni gruppi di fotografie li chiama “lavori”, e questi non avevano un riferimento preciso; altri invece sono incentrati su un tema specifico o un luogo.

Tutto per Ghirri è “un viaggio attraverso immagini”, e poco importa se raccolte in libri o se appese alle pareti di una galleria o museo. Per lui, la fotografia è: «un continuo viaggio nel grande e nel piccolo e nelle variazioni, attraverso il regno delle illusioni e delle apparenze, luogo labirintico e speculare della moltitudine e della simulazione».

Veduta dell’allestimento “Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991” Foto © MASI Lugano, fotografo Gabriele Spalluto

Il percorso espositivo è un “finizio” intorno alla cultura dell’immagine. La mostra è scandita da sezioni tematiche e si apre con una serie di Ghirri nominata Paesaggi di cartone (successivamente annessa al progetto più ampio chiamato Kodachrome), del 1973, con immagini stampate e incorporate nel paesaggio urbano. La moltiplicazione e la simulazione ci fanno comprendere la differenza, come scrive l’autore: «tra quello che siamo e l’immagine di quello che dobbiamo essere».

L’autore è affascinato da souvenir, mappamondi, cartoline e oggetti di merchandising del viaggio, soprattutto dall’ubi-cità dell’immagine fotografica, evidente nella sezione Montagne, laghi, sole e mare, in particolare nella serie degli anni Settanta Diaframma 11,1/125, luce naturale, dove il nostro sguardo inciampa in dettagli ludici di persone in vacanza o immortalati nel tempo libero mentre giocano sulla spiaggia, camminano in montagna, oppure guardano mappe per orientarsi o si rilassano nei caffè. E qui tutto è svago, relax e analisi di come soggetto e veduta, attraverso la fotografia, cambiano il nostro modo di percepire la realtà.

Nella sezione Viaggi in casa si espongono opere sempre scattate durante i suoi viaggi, una serie nominata Atlante (1973) con dettagli ravvicinati di mappe che Ghirri ha tratto dal suo atlante, e Identikit (1976-1979), di taglio concettuale, realizzate in casa; un autoritratto privato del fotografo composto da fotografie degli scaffali della sua libreria che mostrano copertine di libri, dischi, mappe, cartoline, ninnoli e souvenir. Tutti elementi fotografati che, come scrive l’autore, ci permettono: «di compiere un viaggio nel luogo che cancella il viaggio stesso, proprio perché tutti i viaggi possibili sono già descritti e gli itinerari sono tracciati». E ancora, suggerisce l’autore: «Il solo viaggio possibile sembra essere ormai all’interno dei segni, delle immagini: nella distruzione dell’esperienza diretta. Il viaggio è così dentro all’immagine, dentro al libro».

Luigi Ghirri, Capri, 1981. C-print, new print (2008). Eredi di Luigi Ghirri, Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri

La penultima sezione, Un atlante tridimensionale, mostra il suo viaggio nell’Italia in Miniatura, fotografie nel parco a tema a Rimini scattate nel 1977-1978 e riviste nel 1985, con la serie di fotografie intitolata “In scala”, in cui osserviamo turisti che si aggirano tra modelli in miniatura delle Dolomiti, del Monte Bianco, del Grattacielo Pirelli e altri monumenti iconici del Bel Paese. Chiude la mostra Viaggi in Italia degli anni Ottanta, quando Ghirri percorre l’Italia da nord a sud, scattando fotografie nei musei di Napoli e sull’isola di Capri su invito dell’Ente del Turismo. Il Touring Club Italiano gli commissionò un gruppo di fotografie per la guida dell’Emilia-Romagna e il Ministro della Cultura francese gli chiese di immortalare Versailles. Poi si interessò ai paesi dell’entroterra pugliese. Da questo archivio di immagini prende forma la mostra collettiva sul paesaggio italiano Viaggio in Italia, nel 1984, che presenta il lavoro di venti fotografi, compreso il suo.

Terminato l’excursus espositivo, capirete perché per Ghirri la fotografia è: «un linguaggio per vedere e non per trasformare, occultare, modificare la realtà». Ne uscirete con un’idea vaga di una “cartografia imprecisa”, in cui fotografia e fotomontaggio sono inclusi nella realtà stessa, contro qualsiasi catalogazione o descrizione, definendo una “geografia emozionale”, dove troverete orizzonti aperti su paesaggi in un ordine non cronologico, destinati a essere ricomposti all’infinito da chi guarda, per invitarci a riflettere su come relazionarci con l’esterno e sulla cultura fotografica nell’arte contemporanea.

www.masilugano.ch

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