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POLITI CONTRO SGARBI

Questa volta l’obiettivo è la mostra “Arte italana, 1968-2007. Pittura” in corso a Milano. Politi come al solito non le manda a dire. “Caro Vittorio” scrive “la pittura è un’altra cosa. Ma anche l’arte in genere. E tu a quasi sessant’anni non lo hai ancora capito. E ormai, come dimostra questa mostra, è troppo tardi. Ma continui a fare sfracelli”. E sul contenuto dell’esposizione aggiunge che è “un vero divertentisssimo anche se orrido bestiario della figurazione di ieri e di oggi”. “Dovrebbero vederla anche gli ‘incliti’, cioè gli addetti ai lavori, coloro che apprezzano e conoscono l’arte e la pittura contemporanea ma sanno anche cosa vuol dire allestire una mostra. Perchè la mostra di Sgarbi non è solo una aberrazione per la scelta degli artisti e delle opere (e di ogni artista è stata scelta l’opera più tarda, meno significativa, più discutibile); l’aberrazione suprema è l’allestimento (…)”. E via di questo passo. Arrivando persino a non escludere una “responsabilità diretta dello stress di questa mostra per scelte sofferte da lui invano osteggiate” nella morte del caro Sciaccaluga pochi giorni or sono. E aggiungendo che “a questo punto dovrei cinicamente dire che Alessandro Riva dovrebbe ringraziare la sua assenza forzata per non aver firmato una tale aberrazione”, in riferimento alla vicenda giudiziaria che ha allontanato Riva da questi eventi. Ora io dico che il lavoro svolto da Politi in questi anni è stato per molti versi encomiabile e interessante. Personalmente condivido alcune sue scelte e non ne condivido altre. Così come mi accade per il lavoro critico di Sgarbi. Certo, a ben guardare la parte strutturalmente organizzativa di questa mostra ha molte pecche. Credo sia il frutto anche degli eventi accaduti proprio negli ultimi giorni. Anche sul fronte delle scelte artistiche questa esposizione puo’ essere tacciata di confusionismo, pressapochismo, ultra-figurativismo. Nonchè di evidenti pressioni di alcune gallerie (le stesse per altro con cui lavorano tanti editori). Insomma di carne da portare al macello non ne manca. Ma il punto è un altro. Sgarbi offre la sensazione -almeno la sensazione sperando non sia vero- di muoversi di operare di scegliere di attraversare il comparto dell’arte solo e soltanto in nome e per conto della propria esasperata ed esasperante icona. Insomma sembra che il suo scopo sia quello soltanto di occupare più pagine possibili dei giornali. E preferibilemente quelle di cronaca. Non dico sia così. Dico che appare così. E non a me soltanto. Mentre in realtà la sua preparazione, principalmente di carattere storiografico e storicistico, è eccellente. E se è vero che esistono specializzazioni singole su periodi non è altrettanto verosimile limitare l’intelligenza estetica a un periodo storico. Chiunque, con intelligenza e raffinatezza, puo’ offrire i suoi giudizi. Ascoltare non ha mai fatto male a nessuno. Tra quelli che amano crescere. Medesime opportunità valgono per Politi, che ha molta esperienza sul campo dell’arte contemporanea ed eccellente conoscenza del suo circuito (le due cose ovviamente non convergono). Ma se l’apparenza di Sgarbi è quella di agire principalmente dietro la molla mediatica (e oltretutto con una somma eloquenza aggressiva) è assolutamente logico pensare che i toni e i modi usati da Politi altro non fanno che incendiare proprio quei motori. E dunque porsi esattamente al medesimo livello. Ripeto non desidero entrare nel merito delle singole ragioni. Tante cose scritte da Politi sono condivisibili. Come, a mio avviso, alcune scelte in questa mostra di Sgarbi sono interessanti. E comunque sia è da vedere non per prendere posizione ‘pro’ o ‘contro’ ma semplicemente per “imparare a vedere” come diceva il grande e umile Marangoni. Una cosa ricordo di Maurizio Sciaccaluga, con il quale ho condiviso molte ore di riflessioni e lavoro. Negli ultimi tempi continuava incessantemente a ripetermi (credo non solo a me) “Paolo bisogna fare squadra, è giunto il momento. Dobbiamo finirla di scontrarci gli uni con gli altri. Uniamoci, anche se divisi da posizioni”. Non è buonismo il mio. E’ semplicemente il ricordo di un amico. Perciò auguro a tutti quanti di finirla con le invettive, gli insulti, le reciproce umiliazioni. Cerchiamo di scontrarci ma con un po’ più di umiltà e un minimo di rispetto. Non è solo una questione di buon gusto ma forse anche di talento. Altrimenti a guadagnarci, credetemi, saranno soltanto le pagine trash in cronaca dei giornali. Non l’arte, concettuale o figurativa che sia.

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