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LETTERA APERTA A TONELLI DI EXIBART

Un oliodi Giovanni Frangi
Un’opera del pittore milanese Giovanni Frangi – ArtsLife

Volete una banalità? Eccola: l’Italia è un Paese in cui l’autoreferenzialità fa prosperare il caos. Niente male vero? Posso presumere capiti in politica. Settore in cui il confine mentale della “res” tra pubblico e privato si è dissolto. Comprendo accada nel calcio. Per via delle esuberanze giovanili delle curve. Facciamoci generosi e concediamolo persino ai protagonisti dei reality. Ma che la moda dell’autocandidarsi ad esperto sia sbarcata nel mondo dell’arte o del giornalismo è ridicolo. Anzi, inquietante. Perché è il sintomo di una volgarizzazione dei contenuti. E di un progressivo disfacimento del dubbio. Del pensiero. Dell’intelligenza. Della cultura. Dell’arte stessa. Parliamoci chiaro. Che quelli di Exibart non mi amino è evidente. Ovviamente è lecito disporre in libertà delle proprie simpatie e antipatie. Ma è altrettanto chiaro che -nel mondo della cultura- le differenze di opinioni possano e anzi debbano trasformarsi in un campo fertile per l’intelligenza. Sempre che siano fondate sul terreno dell’onestà intellettuale. Nonostante la divergenza di opinioni -ma l’ipotetica convergenza di obiettivi: in fin dei conti siamo tutti italiani e amanti dell’arte- mi ritrovo per l’ennesima volta tirato in causa. E insultato. Nulla di grave. Ho iniziato a scrivere d’arte nel 1980 e dal ‘90 sono giornalista professionista. Figuratevi quanti insulti e querele. Ma questa volta mi ha disturbato il livello di approssimazione nelle citazioni che mi riguardano. Su Exibart-on Paper nella rubrica “ahbbellooo!!! s t r a f a l c i o n i d i g e s t” (un titolo coltissimo) c’è scritto: “La triade è Pignatelli, Frangi e Papetti” [paolo manazza imperversa sulle testate rizzoli continuando a pubblicizzare – pubblicizzare! – i suoi nomi. Questo nella fattispecie è un titolo]. Per carità, saranno pure bravi non mettiamo in dubbio, ma il battage che Manazza continua a fare su di loro nella totale violazione di qualsiasi logica giornalistica ce li sta facendo quasi diventare antipatici. Sarebbe gradita un po’ di imparzialità (e di decoro).

Andiamo con ordine. Ovviamente, da ottimi giornalisti, viene ignorata la descrizione del contesto. Un lungo servizio sulle previsione nel mercato dell’arte per il 2008. Che si conclude con un secondo pezzo (un lungo box) che titola “La triade è Pignatelli, Frangi e Papetti”. Spiegarvi che il sottoscritto non c’entra nulla con il titolo è doveroso per voi. Ma scandaloso per chi presume di fare il giornalista. Senza sapere che in ogni redazione (vera) esistono i capiservizio, il caporedattore o addirittura i titolisti. Ma questo è un vezzo. Pur facendomi immune dalla titolazione, non mi esime dal contenuto del pezzo. Che sottoscrivo e confermo per intero. Nell’ambito del mercato dell’arte e dei consigli sul suo futuro ho scelto di citare questi tre artisti. Come orientamento per i lettori. Chiamatemi fesso, se volete, ma riconoscetemi almeno il coraggio di esserlo. Quando nel 1997 cominciai a parlare di Frangi, Pignatelli e Papetti (tra gli altri anche con un lungo servizio sempre su “Il Mondo” nel 1999) quasi tutti si misero a ridere. Allora le loro opere si acquistavano con cifre tra i 2 e i 5 milioni delle vecchie lire. Oggi valgono più di venti volte tanto. E nessuno si permette di negare questa evidenza. La previsione nel pezzo sotto accusa è che qualora si materializzasse in futuro lo sbarco sul mercato internazionale di questi nomi, le loro quotazioni salirebbero ancora. E di molto. Dunque ho cercato di delineare delle possibili relazioni estetiche tra questi tre nomi e quelli di artisti esteri la cui media dei valori attuali è imparagonabile ai nostri. Certo è una scommessa. Ma chi si occupa d’arte e mercato deve in qualche modo sbilanciarsi. Sin dagli anni Ottanta le mie scelte derivano soltanto da giudizi estetici. Condivisibili o meno. Se leggete per intero quel pezzo scoprirete altri nomi di artisti che pochi conoscono. Come ad esempio quello di Alessandro Verdi. Un pittore informale molto amato da Testori. E che oggi è seguito con attenzione anche da Bonito Oliva. Semplicemente bravissimo. Da riscoprire e valorizzare. Dunque che Exibart-on Paper parli di pubblicità invocando “imparzialità e decoro” è molto volgare. E spudoratamente in cattiva fede. Ovvio che sia Luca che Giovanni e Alessandro sono miei cari amici (mentre Verdi lo conosco appena). Ma la nostra reciproca stima ha un fondamento nella comunanza di opinioni pittoriche e artistiche. Insomma non so come si chiami chi ha scritto queste righe (non ho visto la firma) ma pubblicitario sarà lui! Oltre che ridicolo. Poiché subito dopo scrive: “saranno pure bravi non mettiamo in dubbio…ma…Manazza… ce li sta facendo quasi diventare antipatici”. Come se l’audience di un artista fosse direttamente proporzionale alla quantità di cose scritte su di lui. E non alla qualità del suo lavoro! Forse l’anonimo corsivista è assuefatto a votare le esclusioni dal Grande Fratello. Se è così torni da dove è venuto.

La seconda citazione (mmm, che brivido da star!) è la seguente: Un altro artista da seguire è il milanese Giovanni Frangi. Se a Londra e a New York i quadri di Cecil Brown (simile nella tipologia) costano anche duecentomila sterline, non si capisce come mai una coloratissima e sapiente tela di Frangi oggi valga tra i venti e i quarantamila euro [ancora paolo manazza sul mondo] Nulla di male. Se lo spot su Frangi non durasse, con gli stessi temi, da anni e anni. Il pittore sarà poi forse anche simile a Cecil Brown, ma la grande artista british a cui voleva far riferimento il nostro Manazza si chiama Cecily, ed è una delle ’cocche’ di Mr Saatchi. Ora si capisce come mai.?

Qua, a parte lo strabiliante “scoop” da Pulitzer su un evidente refuso e l’inedita notizia sulla sponsorizzazione di Mr. Saatchi sulla Brown (pazzesco, non lo sapevamo… così come ignoriamo persino che Cecily sia la nipote di…), colpisce la profondità cacofonica o catatonica dell’intervento che due righe dopo ripete più o meno gli stessi concetti di prima. Non era meglio unire i due insulti? O forse il grafico doveva chiudere la pagina con degli a capo? Mah… Qui veramente Exibart-on Paper scade, purtroppo, a livello dei giornaletti oratoriali. Con l’aggravante dei motivi pseudo-polemici. Ed è un peccato. Perché il giornale nel complesso è fatto bene e con stile.

Tornando al cuore del problema. Posso aspettarmi che Exibart mi sfarini dei nomi e cognomi di artisti sui quali puntare? Ipotesi di scelte da suggerire ai lettori? Mi “impegno formalmente” a citarli nei prossimi servizi. Ovviamente evidenziando la “fonte”. Sia chiaro che se poi le previsioni non si avverano, nemmeno lontanamente, allora non ci sarà più nulla su cui parlare. Sarà auto-certificato che chi scrive su Exibart semplicemente non capisce un fico secco d’arte. Altro che i carabinieri e le querele. Dai Tonelli, pensaci su… Aspetto i nomi. Se non li mandate siete di cartapesta. Scherzi a parte (sin da piccolo mi diverte scrivere con ironia, spero non ve la siate presa a male), perchè non iniziamo, seriamente, a lavorare insieme? In fondo due opinioni suonano meglio di una. Con l’unica clausola del reciproco rispetto. Che ne pensi Massimiliano, si può fare?

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