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LA GRANDE CRISI E IL NEO RINASCIMENTO ITALIANO

L’economia Usa sembra un equilibrista sulla corda in un circo del 1901. L’Herald Tribune evoca un neo Rinascimento italiano. Dal post-capitalismo selvaggio al “neo capitalismo dell’arte”. Che succede? I grandi media internazionali riportano in questi giorni, con enfasi, lo spettro del 1929. L’economia americana sembra un equilibrista sulla corda in un circo del 1901. Bear Stearns, la banca d’affari che nei giorni scorsi è svanita nel nulla, è stata per 85 anni uno dei bastioni di Wall Street. Come ha scritto Massimo Gaggi sul Corriere della Sera “ Il mondo della finanza è allibito: una fabbrica di profitti il cui titolo un anno fa valeva 170 dollari, è precipitata in una crisi che, alla fine, ha spinto la Federal Reserve a irrompere nel mercato per evitare un suo crollo generalizzato. Ciò che rimane di Bear Stearns passa a JP Morgan che ha pagato 2 dollari per azione ciò che, solo una settimana fa, veniva scambiato a 70”. E’ una crisi annunciata da tempo. E sostanzialmente causata dal liberalismo selvaggio e deregolamentato messo in opera dall’ultima amministrazione americana. Ma anche, come teoria negletta, da molti esponenti politici mondiali europei e asiatici. Contemporaneamente, come esempio di una totale discrasia epocale, il 18 marzo l’Herald Tribune pubblica un servizio in cui parla del neo Rinascimento italiano nel campo dell’arte moderna e contemporanea. Eccolo qua: leggetevelo! Vi si dice che lo sviluppo dell’amore per l’arte, degli spazi e delle mostre è principalmente dovuto al settore privato. Mentre quello pubblico continua la sua pervicace latitanza. Alla situazione di conflitto e caos nel mondo vi si oppone la sensazione che il nostro Paese stia per uscire dal coma farmacologico che ha subito per svariati decenni. Può essere inutile? E’ una rinascita tardiva? Potrebbe configurarsi come una sorta di costruzione della proverbiale “cattedrale nel deserto”? Insomma qualcuno può legittimamente porsi la domanda: ma che gli frega alla gente dell’arte in un periodo storico di crisi acutissima non solo dei consumi ma persino della sopravvivenza? Noi abbiamo da sempre sostenuto che nell’epoca contemporanea l’arte ha ampliato lo spettro delle sue funzioni aggiungendo alla gamma estetica quella sociale per non dire politica. L’idea dell’arte funziona come una sorta di piantagione per nuovi valori. Di convivenza, sia nella crescita che nei periodi di crisi. Per la nascita di un nuovo orizzonte di pacificazione e di sviluppo della specie umana sia sotto il profilo del benessere esteriore che interiore. Chi non ha mai provato e compreso che un dolore, un distacco, una mancanza ha poi permesso lo sviluppo e la crescita, il rafforzamento del proprio carattere? Con il successivo delineamento di nuovi obiettivi. Per queste ragioni noi pensiamo che la nascita di un neo Rinascimento italiano possa prefigurare un radicale cambiamento di rotta persino planetario. Dal post-capitalismo selvaggio al “neo capitalismo dell’arte”. Una specie di transizione verso una società completamente nuova. Scriveva de Kooning negli anni Quaranta del secolo scorso: “E’ stata senza dubbio la parola a introdurre l’arte nella pittura. L’unica certezza riguardo all’arte è che si tratta di una parola. Tutta l’arte è così diventata letteraria. Non viviamo ancora in un mondo in cui le cose sono chiare ed evidenti in se stesse. E’ interessante notare come tutti coloro che si propongono di liberare la pittura dai discorsi sulla pittura, ad esempio, non fanno altro che parlarne. Non ci troviamo tuttavia di fronte a una contraddizione: l’arte in sé è la parte muta in eterno, di cui si può in eterno parlare “. Ora però, in Italia, dobbiamo fertilizzare quest’idea dell’arte come valore sociale. E per fare ciò è necessario che le pubbliche strutture si sveglino. Qualcosa è già nell’aria. Sia a Milano che a Roma. Dunque trasversalmente rispetto alle vecchie correnti della politica ottusa. Speriamo che accada. Per bene che facciano i privati sarebbe un grande rischio lasciare questo fertilissimo e italiano territorio di idee e nuove esperienze sull’arte nelle sole mani di pur illuminati imprenditori. Il più delle volte stilisti o banchieri. Che amano il sogno forse perché hanno le mani troppo sporche di denaro per riuscire a sperimentarlo di persona.

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