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Il peso della storia

di Elena Croci  

E’ certo che dal deserto, dal nulla si riescano a creare, ad inventare cose più adeguate al tempo in cui si vive. Si, ma con quali emozioni? Emozioni virtuali ma altamente redditizie, studiate appositamente, emozioni importate, forse niente di veramente spontaneo. Affermazione molto provocatoria. Allora prendiamo in esame una località piena di storia stratificata nel tempo, dove la gente del posto è abituata a vivere quel panorama da sempre. Talmente abituata che oramai quello che vede fa parte della propria esistenza, e non sa cosa questo significhi se non quando si allontana da questi luoghi per poi ritornarci spinto da una strana nostalgia. Cosa significa tutto ciò e come lo possiamo calare oggi in un modello necessario per due bisogni diametralmente opposti ovvero l’economia e le emozioni? Il nostro giovane paese andrebbe innanzitutto sensibilizzato, educato attraverso una facile politica di didattica dove in primis, fatta una mappa storica, si prenda coscienza non di quello che cambia ma di quello che non può cambiare: una costante diversità regionale, di modi, di lingua, di costumi e tradizioni. E qui un semplice esempio che ci porta alla realtà economica. I grandi gruppi Bancari, spinti da necessarie unioni per le dinamiche vicine alla globalizzazione, un abbattimento dei costi e una massimizzazione di gestione hanno comunque dovuto mantenere un modello territoriale. Perché? Se il mondo avanza e tutti vogliamo avere un benessere, questo va ben definito. Il benessere, in Italia, è certo sinonimo di potere d’acquisto di beni vari, status symbol, ma una cosa non cambia. La percezione di benessere rimane individuale e si confronta necessariamente con la propria realtà territoriale. Se io sono cittadino ligure, il mio benessere lo misuro anche con una serie di proprietà nei luoghi a me più familiari e che io individualmente, emozionalmente, classifico come realtà di lusso e benessere. L’estetica è un altro argomento su cui gli italiani hanno un’innata paternità ma di cui non sono ancora perfettamente consci. Ora, tornando ai bisogni territoriali, individuali, va specificato che sicuramente ci sono e ci saranno sempre contaminazioni del mondo esterno di modelli globali – vedi i grandi centri commerciali, outlet o insiemi di “traduttori del tempo” che rispondono ad un’esigenza di riempire un tempo libero ad una necessità di gruppo, di sentimento di appartenenza. Ritornando alle banche, alla raccolta di un’economia del singolo, queste hanno ben capito che nonostante le dinamiche mondiali, andando dal generale al particolare, ciò non può avvenire attraverso una semplice definizione macro di quella che può essere una risposta formattata, ma va necessariamente calata in contesti capillari gli uni molto diversi dagli altri. La grande forza e il grande strumento che oggi abbiamo è quello della comunicazione e dei mezzi per veicolarla. Un patrimonio storico culturale stratificato, ricco e impregnato di emozioni statiche, inespresse perché non adeguatamente tradotte e rese ben percepibili se non ai pochi che ne conoscono l’anima. L’Italia ha un peso specifico storico enorme. Il suo insieme oggi si lascia intuire, ma ora questo non basta più. Rischia di essere superato dal deserto, da un’esportazione di creazioni senza anima ma capaci di trasmettere emozioni ed attrarre flussi d’investimento giustificati. Penso che, sia per una questione etica, di appartenenza, ma soprattutto per un dovere di memoria storica, l’Italia abbia tutti gli strumenti per confrontarsi con questi nuovi modelli e debba farlo anche per riposizionarsi in quella dimensione, che dal Settecento, attraverso il Grand Tour, ha dato vita, ispirato sotto varie forme, a quel concetto di cultura o meglio quel sottile legame tra la natura e lo spirito che la vive e che forse prescinde anche dall’uomo.

Elena Croci

Docente di Turismo Culturale presso la facoltà di Economia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

 

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