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Intervista a Francesco Bonami

“CELANT E BONITO OLIVA HANNO PARALIZZATO L’ITALIA DELL’ARTE”

 

Il curatore: “Italics è un’occasione per sollevare più domande che risposte”

Una mostra che ha provocato tante polemiche ancora prima dell’apertura. “Italics. Arte Italiana tra tradizione e rivoluzione, 1968-2008”, fino al 22 marzo 2009 a Palazzo Grassi a Venezia, ha riportato a galla temi scomodi come le contestazioni studentesche, le BR, la Mafia, evidenti nelle foto di Tano D’Amico e Letizia Battaglia. In opere come “Ambiente spaziale” di Lucio Fontana o “The Cubic Meter of Infinity in a Mirroring Cube” di Michelangelo Pistoletto, l’esposizione si trasforma in una vera e propria esperienza sensoriale oltre che visiva e mette sul lettino dell’analista l’arte made in Italy nel tentativo di capire meglio la sua storia fatta di traumi rimossi o nascosti dalla sindrome politica. Come nei “Funerali di Togliatti” di Renato Guttuso, artista beatificato dalla chiesa-ombra del Partito Comunista Italiano. O  il trauma di una micro-boheme locale che ha impedito a Carol Rama di diventare la Louise Bourgeois italiana. O il ricatto della bellezza messa sempre in pericolo dall’ossessione per il cibo, espresso intensamente, più che nelle fotografie di Oliviero Toscani, da Vanessa Beecroft. N elle intenzioni del curatore, l’ideale prosecuzione della mostra “Italian metamorphosis” curata da Germano Celant al Guggenheim di New York nel 1995, chiusa appunto con l’affacciarsi sulla scena italiana dell’indimenticabile ’68. Ed anche Italics volerà negli States, al museo di Chicago, tappa internazionale dopo Venezia. Per le scelte fatte Francesco Bonami, che ha escluso grossi nomi (Melotti, Turcato, Paladino) e ha esposto “minori” come Pietro Annigoni, è stato molto criticato. Contro di lui Jannis Kounellis ha addirittura mosso un’azione legale. In un’intervista ad Arslife il critico si difende e chiarisce le sue posizioni. Perchè Italics vuole essere un viaggio aperto, un’occasione per sollevare più domande che risposte”.

All’inaugurazione di “Italics” si è mostrato dispiaciuto per aver lasciato fuor qualche artista rappresentativo del periodo preso in considerazione. Come mai?
Non ho lasciato fuori nessuno per esigenze di percorso. La mostra è però un percorso di opere e non di nomi , quindi se non ho trovato le opere che avessero un loro senso nel percorso certi artisti non ho potuto includerli.

In che senso questa mostra può dirsi un’operazione “archeologica ed antropologica”?
Italics è un’operazione archeologica ed antropologica perché ho scavato sotto strati di ideologia e questo è quello che ho trovato.

Ha posizionato, per evidenziarne il contrasto, il «Nero cretto» di Burri di fronte i morti di mafia fotografati da Letizia Battaglia.
I grandi fotografi italiani, Battaglia come Tano D’Amico, sono l’esempio lampante di come l’arte, privata di spazi di ricerca, resti confinata.

Secondo lei, negli ultimi 40 anni l’arte italiana è stata soffocata da “famiglie” politiche, di casta, di appartenenza. A quali gruppi in particolare si riferisce?
L’unico bipolarismo che ha funzionato in Italia e’ stato quello nell’arte fra il partito di Celant e quello di Bonito Oliva che hanno paralizzato l’Italia dell’arte.

E’ stato accusato, ad esempio da Enrico Tantucci (La Nuova di Venezia e Mestre) di aver dato più spazio ai grattacieli colorati di Patrick Tuttofuoco pittosto che a Burri o ad Uncini di cui espone “Sedia con ombra”. Come spiega questa sua scelta?
Un’accusa idiota. L’opera di Tuttofuoco richiedeva uno spazio fisico più’ ampio. Il valore di un artista non si misura in metri quadri.

Il sottotitolo dell’esposizione è “Arte italiana tra tradizione rivoluzione”. Tutti i giovani presenti, da Tuttofuoco a Cattaneo, da Grimaldi a Cuoghi, rappresentano anche loro in qualche modo una rivoluzione?
Non so se rappresentano una rivoluzione, sono solo una parte dell’oggi che m’interessa . In mostra ci sono artisti rivoluzionari come Baruchello ad esempio che non sono necessariamente parte di questo immediato presente. Tradizione e rivoluzione sono due forze che a volte si uniscono: la rivoluzione a volte utilizza la tradizione, ma questa può essere un magnete che àncora al passato.

C’è tra i giovani un artista più tradizionale degli altri? E quello più rivoluzionario?
Mah, non saprei…. Cattelan più rivoluzionario ? Roccasalva più tradizionale ? Ma potrebbe anche essere vero il contrario.

Germano Celant aveva coniato nel 1968 la definizione di “arte povera”. Come definirebbe lei il gruppo di artisti giovani che ha selezionato per Italics?
Il punto e’ proprio questo! Non ci sono più gruppi o famiglie.

L’operazione di mettere tutti gli artisti sullo stesso piano, senza alcuna scansione cronologica, è stata definita “sessantottina”. Si sente un sessantottino?
L’arte ha una sua democraticità interiore ed io non sono mai stato sessantottino. Il valore e la qualità delle opere sono ciò che crea una gerarchia e non il valore storico o generazionale. Esistono in mostra forse artisti più importanti o più famosi di altri ma non artisti migliori o peggiori. Questo è un giudizio che appartiene ad ogni spettatore individualmente.

Kounellis che ha ritenuto di essere danneggiato dalla presenza della sua opera in mostra ed è stato co stretto a sostituirlo con un’opera di Giovanni Anselmo.Cosa l’aveva spinta a scegliere le Scarpette d’oro?
Scarpette d’oro era l’unica opera interessante prodotta da Kounellis dopo il 1967.

Come mai invece ha tagliato fuori un big della Transavanguardia come Mimmo Paladino?
Di Paladino non ho trovato come nel caso di Clemente, Cucchi e Chia un lavoro che rappresentasse questo momento di passaggio da una stagione collettiva ad una più individualista.

Tutte le scelte che ha fatto per Italics, oggi le rifarebbe?
Al 99.50% , lascerei fuori Kounellis fin dall’inizio …….che credo valga solo lo 0.50% della mostra.

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