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SULLE FIERE ALL’ITALIANA

Mentre a New York si celebra- sotto i riflettori dei media di tutto il mondo l’attesissima pièce sulla “Crisi dell’Arte”, da noi -tra Parma e Torino sono andate in scena due piacevoli commedie all’italiana. Di “Artissima” la stampa nazionale si è sperticata in funanbolici entusiasmi e sperticati elogi. In effetti il programma della fiera si è sciolto tra mille sedi e vie cittadine, coinvolgendo masse di giovani e meno giovani travestiti d’artisti e/o collezionisti. Il comunicato finale, ufficiale, allega pure straordinari incassi sia per i biglietti d’entrata che per le vendite. Tutti contenti, insomma. Noi che la fiera torinese l’abbiamo visitata per bene possiamo ammettere che (oltre che caldissima) fosse ben trafficata. Una montagna di gallerie sparse tra new entries e storiche (a dire il vero ne abbiamo contate di queste meno di 10) con un ammasso confuso di opere composte di neon, stracci, pupazzi, video, sculture metalliche o montagne di sassolini e (meno male) anche molti quadri e fotografie. Il tutto ammassato e cosparso di confusione creatrice. Ora sebben che siamo con un passato decisamente “gauche” (si veda www.rossoenero.com) la nostra impressione è che un po’ di ordine non avrebbe fatto certamente male. Anzi. In casi come questi poteva riuscire più stimolante, da un punto di vista didattico ma anche del divertimento, a tutti i visitatori. Perché, ad esempio, non separare gli stand delle gallerie in sezioni tematicamente geografiche? Così da avere in un solo colpo d’occhio la scena di quel che accade dalle parti della Germania o della Svezia piuttosto che della Franchia o del Regno Unito. Oltre che ovviamente da noi. Lo spazio poi è decisamente limitato. Dunque molto meglio sarebbe limitare il numero delle galleria o scegliersi una location più ampia. Per farla breve “Altissima” più che una mostra (mercato) sembra un enorme vernissage, una manifestazione più politica che squisitamente culturale dei muscoli esibiti dalle istituzioni torinesi. Una sorta di mercatino degli “o bej o bej” del centrosinistra piemontese, “falso e cortese”. Una specie di versione artistica di qualche festival del cinema o di musica jazz. Se qualcuno desidera dare sfogo agli istinti creativi e giovanili forse sarebbe meglio fare un festival della musica rock. L’arte, anche se esposta per essere venduta, è una questione un pochino meno sfarfallona di quel che mi è apparso in quel di Torino. Mentre ad “Artissima” andava in scena una sorta di “Art-Reality Rave” a Parma si tagliava il nastro del “Gotha”, una fiera per molti versi esattamente agli antipodi non solo per la merceologia esposta (alto antiquariato) ma pure per l’aria che tirava. Dal popolo torinese ai ricchi parmensi un po’ altezzosi e certamente pieni di soldi. Nella serata inaugurale ho potuto vedere di persona un allestimento fastoso, un parterre ricco di personaggi famosi (da Guido Barilla a Matteo Marzotto e molti altri ancora). Insomma una vera vetrina e un autentico sfoggio del lusso. La serata è stata organizzata bene. Il pubblico era attento, non solo ricco ma ben disposto. Il vero problema è che tra gli stand non si è visto un granché di capolavori. Molto poche, ancora troppo poche, le opere veramente interessanti e degne di una simile vetrina. Qui i colpevoli maggiori sono i galleristi. Ma credo che la vera colpa di questa penuria di capolavori sia lo Stato italiano, che impedisce la circolazione libera alle opere d’arte antiche. Obbligando con lacci e laccioli mercanti e collezionisti italiani. Insomma a Torino l’arte contemporanea sbarazzina e un po’ troppo leggera (dov’era lo spirito di ricerca verso nuovi sentieri “estetici”?). A Parma un po’ di penuria sui capolavori storici. Due facce di una stessa medaglia. Quella italiana. La cultura è ancora molto lontana dal nostro Paese. Più avvezzo al campionato di calcio e all’isola dei famosi.

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