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Skira & Ammira

Riflessione al vetriolo 
Si potrebbe dire “Skira e Ammira”. Beccato in flagranza di reato di copia-incolla di un testo usato per l’introduzione di un volume Skira su BotticelliVittorio Sgarbi, nel disperato tentativo di salvare se stesso, tira dentro tutti, ma proprio tutti, in uno sputtanamento generale. Nell’articolo apparso sul Il Giornale a sua firma, il nostro eroe innanzi tutto ci ricorda (signorilmente) un altro nobile e famoso copione, Umberto Galimberti, e, nel goffo tentativo di giustificarlo, invoca indirettamente clemenza per sé. Quindi, in un narcisistico delirio, paragona la sua redazione alle botteghe gotico-rinascimentali. Ritraendosi poeticamente, come le gru, con nonchalanche su una gamba sola, a dettare il verbo a oscuri e inadeguati, ma incolpevoli scribi. Ergo Lui dall’eloquio fluens, il Giotto della penna, mai e poi mai mortificherebbe il suo adorato ego con l’ignobile pratica della copiatura. La bottega, appunto, inadeguata e fragile in questo frangente, stressata dagli editor, prende il primo testo buono alla bisogna e manda in stampa, gulp! La sorpresa, vero coup de théâtre, VS ce la riserva rivelandoci l’identità del ghost-writer, il vero colpevole del pasticcio: la mamma! L’onnipresente mamma che, per troppo amore ed eccesso protettivo, combina la frittata. Il nostro si rivela, più che un critico, un vero artista: un “bambocciante”!
Il colpo più subdolo è riservato all’ incolpevole storica dell’arte Mina Bacci, autrice del testo plagiato, pubblicato nel 1964 per “I Maestri del colore”, rea di non avere un’originale pensiero su Botticelli, ma bensì di rifarsi ai maestri Berenson e Lightbown, insinuando anche per lei se non una vera e propria scopiazzatura, una parafrasi d’altrui e più nobile pensiero. In fondo, non essendoci un originale non può esistere la copia. Coerentemente con l’estetica postmoderna che vede la copia prevalere su l’originale non servendo più quest’ultima da memoria. Se non ci fosse Sgarbi, dopo tutto, chi conoscerebbe la Bacci? Che caduta di stile per il nostro Julien Sorel, altro che ribaldo impavido. Meglio sarebbe stato uno sfrontato cinismo, che tanto nessuno è così ingenuo da non sapere che, quando uno scrive molto -facendo anche tanto altro- c’è sempre un po’ di -diciamo- “mestiere”. Ma al nostro eroe, che ha un bel sorriso, si perdona poi tutto… Va peggio per gli editori che strapagano alla cacchio uno strafottente narciso che gli rifila quel che vuole, tanto quelli quando se ne accorgono, cucu! E poi dicono che l’editoria è in crisi…Mah!
in punta di pennino
il Vostro LdR

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