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Il Circo Birnbaum di Venezia

Riflessione al vetriolo
La festa appena cominciata è già finita

il cielo non è più con noi…

… per questo canto e canto te…

Ecco, si è aperto il sipario sulla 53ma Biennale e, al di là del clima festoso e vitalistico dei vernissage, un sentimento di annoiata melanconia mi invade.

Il “Circo Birnbaum” dispiega il suo pletorico spettacolo e ci restituisce l’ennesimo luna-park “culturale” di linguaggi e discipline, dai video alle installazioni, fino alla pittura, naturalmente “nel suo significato più vasto di linguaggio astratto interpretato anche da chi non si definisce propriamente pittore…” mah! Se è vero che “un’opera d’arte è una visione del mondo e se, presa seriamente, deve essere vista come un modo di costruire un mondo”, da cui il titolo della mostra Fare Mondi, è indubbio che la vision che inconsapevolmente -altrimenti sarebbe un capolavoro- ci trasmette è quella di un inglorioso naufragio di quel che resta del nostro povero o(a)ccidente.

La cacofonica e biblica Babele messa in piedi è lo specchio, accidenti a MichelangeloPistoletto, della destrutturante dissolvenza individualista della moderna cultura di massa che sottrae l’individuo ad ogni appartenenza culturale, per proiettarlo nel postmoderno vuoto siderale in cui ognuno si può sincretisticamente costruire un proprio pantheon di riferimento il cui unico collante è l’ideologia dei buoni sentimenti, naturalmente ecologicamente compatibili. Così lo smarrito moderno navigatore culturale si aggira per i Giardini come un pensionato ai giardinetti scambiando commenti dagli svariati toni, non ultimo: è cambiato tutto, com’era bello prima!

Naturalmente nella ricca messa in scena non mancano fior di attori, uno per tutti lo spagnolo Miguel Barcelò, che al padiglione nazionale da prova di “saper tenere il pennello” come pochi oggi.

Non si può poi ignorare il coté delle nostrane “Baruffe chiozzotte” che hanno visto il troppo ormonico e reattivo LucaBeatrice duellare con l’italica stampa che, a mostra aperta, ha dimostrato tutta la sua malevola prevenzione politica nei riguardi dell’italico padiglione ed i suoi protagonisti che non meritavano tutti quegli insulti, non tanto per il riverbero della propria luce, quanto per l’altrui debole emissione. A corollario di tutto ciò ben 44 Eventi collaterali di svariata qualità dislocati per tutta Venezia, isole comprese. Un vero estenuante tour de force. Tra gli altri mi piace ricordare “Venezia Salva. Omaggio a Simone Weil”, organizzato dalle edizioni Eidos, che ha riunito 26 artiste dai prestigiosi curriculum per realizzare un “libro d’artista” in occasione del centenario dalla nascita della grande scrittrice-filosofa Simone Weil. Un esempio di come amore e passione possano, con pochi mezzi e molta tenacia, dar vita ad intelligenti e garbate iniziative.

Last but not least l’Eventone degli Eventoni, l’inaugurazione di Punta della Dogana il museo di François Pinault, d’ora in avanti Pinot di Pinot, fortemente voluto dal magnate francese ed appoggiato dall’amministrazione cittadina e dal sindaco Massimo Cacciari. Il museo raccoglie la collezione di, confidenzialmente, P. di P., sotto la sapiente regia di quello che si può considerare l’evoluzione del critico-curatore in vetrinista-impresario, vale a dire Francesco Bonami che assolve alla perfezione il nuovo ruolo in commedia. Un vero tempio del lusso, sapientemente restaurato da Tadao Ando che non ha troppo snaturato il seicentesco edificio, che accoglie il “meglio” al “meglio” del più trendy contemporary in circolazione. L’effetto è un po’ quello di entrare in una stralussuosa boutique, accolti da perfetti buttafuori/buttadentro microfonati in black-tie, e di sfogliare le soi-disant eleganti pagine di una rivista patinata. Il tutto si consuma piuttosto velocemente e l’impressione che se ne ricava, ma è solo un’impressione, e che il complesso sia un poco estraneo al tessuto cittadino. Vedremo, il tempo ci dirà se il museo dialogherà con la Serenissima o se resterà un magnifico giocattolo per la promozione sociale del suo ricco proprietario. Certo, proprio lì accanto da più di cinque secoli c’è La Salute, magnifica chiesa a presidiare il Bello attraverso il tempo con il suo straordinario corredo di opere su cui sovrasta in splendore l’inarrivabile Discesa dello Spirito Santo del Tiziano Vecellio… sarà curioso vedere come l’attualità saprà, se saprà, reggere il confronto.

Rubo ancora un poco del vostro prezioso tempo per un’ultima considerazione circa la mostra Non voltarti adesso/Don’t look now, artisti italiani a Ca’ Pesaro “curata” da Milovan Farronato. Circa le paternità dell’evento e dei suoi “incestuosi” intrecci istituzionali vi ho già riferito in Miasmi dalla laguna, quello che qui mi preme sottolineare, al di là dei palesi intenti politici e polemici dichiarati dal presidente SandroParenzo nel suo scritto introduttivo al cataloghino, è l’incredibile ed irritante sciatteria del “progetto” e della sua realizzazione che non prevede la men che minima grammatica selezionatrice ed espositiva degli artisti e delle opere. E’ incredibile che gli artisti abbiano aderito ad un simile delirante proposito ed è ancor più incredibile che istituzioni prestigiose abbiano avvallato un’“idea” di tal fatta, un bell’esempio di quel che l’accanimento politico produce.

Vabbe’, sulle note dello strepitoso “An der schonen blauen Donau” eseguito dai Berliner diretti dal grande von Karajan, con quel prolungato attacco wagneriano che in poche note racconta tutto il successivo immenso dolce e struggente languore, vi saluto e mi accingo ad un prosaico cambio di biancheria in valigia, pronto alla partenza per Basel a veder quel che resta del giorno…

in punta di pennino il Vostro LdR

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