Riflessione al vetriolo
Proprio così, è passato un anno ed è finito l’amor tra il magnate François Pinault, per noi già Pinot di Pinot, ed il comune di Venezia e la Regione Veneto.
Sono le dimissioni di Monique Veaute, amministratore delegato e direttore di Punta della Dogana e Palazzo Grassi che non accetta il congelamento dell’attività espositiva fino alla prossima Biennale, a far esplodere il caso ed evidenziare i contrasti fra monsieur Pinot e le istituzioni venete che lamentano l’arroganza del magnate bretone il quale userebbe la favolosa location unicamente come propria lussuosa foresteria di rappresentanza, disattentendo così gli impegni e le aspettative che vedevano nell’apertura del museo un’occasione di rilancio del contemporary nella laguna.
E fin qui, tutto sommato, la sorpresa è poca. Nel nostro “piccolo” che l’andazzo potesse essere questo lo avevamo già subodorato e scritto (Il circo Birnbaum…) ma lo stupore, che si tramuta in sarcastico sbigottimento, nasce dalla lettura della dichiarazione di Franco Miracco, il portavoce del Presidente Giancarlo Galan: “… dunque, Pinault con Punta della Dogana e Palazzo Grassi appare come l’intermediario delle opere che colleziona o vende tramite Christies’s (per chi non lo sapesse di sua proprietà), anzi Pinault effettua un doppio controllo sul mercato dell’arte. E’ di questo che aveva bisogno Venezia? …”
Benvenuti a terra Signori, vi siete accorti di aver “regalato” per un piatto di baccalà e polenta la più bella postazione della laguna.
Punta della Dogana ed il suo restauro, prezzo dell’assegnazione, non richiedeva necessariamente la mano di un grande e costoso architetto, bastava un “semplice” intervento conservativo, senza per forza trasformarlo in una boutique di lusso e poteva quindi benissimo essere riportato agli onori del mondo ed a una funzione pubblica più vicina agli interessi della comunità. Ma la febbre del contemporary fa salire la temperatura nei cervelli degli amministratori pubblici obnubilati dalla necessità di facile consenso.
Da veri provinciali e parvenus, abbagliati dal miraggio di veder sculettare per le calli quattro attrici e due mannequins in compagnia di qualche trendy-artista, avete pensato di far cultura… bravi, proprio come nel terzo mondo, si vendono materie prime che non si sanno trasformare e si comprano manufatti a caro prezzo, un bel salto nella scala evolutiva: l’orecchino dal lobo è ritornato al naso!
Naturalmente la polemica infuria e la risposta di Francesco Bonami, che giustamente difende il pane, non si è fatta attendere e dalle pagine del Riformista ribatte colpo su colpo alle accuse rivendicando, con un certo sprezzo del pericolo, l’assoluta generosità e passione collezionistica (di figurine) del magnate disposto a pagare ben oltre il loro valore le opere d’arte oggetto del suo sfrenato amore (sic)!
Inoltre Bonami lamenta il bluff di Franco Miracco il quale rivendica l’esistenza di una cordata di imprenditori che avrebbe sostenuto la fondazione Guggenheim se questa avesse vinto la gara per Punta della Dogana.
In tutto questo putiferio non poteva mancare l’Achille nostro, ABO che, forte della sua posizione nel comitato scientifico di Palazzo Grassi, incarico derivatogli dal precedente ruolo di arbitro nella contesa per l’assegnazione da parte del comune di Venezia del prestigioso spazio, insulta tutti, Pinot di Pinot, Bonami e Alison Gingeras, co-curatore dell’attuale mostra della collezione, rei appunto di disattendere impegni e promesse contratti.
Non si può del tutto escludere che l’infuocato clima da “Baruffe chiozzotte” sia in parte provocato, o perlomeno amplificato, dal complesso sommovimento politico in atto determinato dal clima da riposizionamento pre-elettorale in corso nel veneto in vista delle scadenze delle più importanti cariche istituzionali. Comunque sia, tutto ciò conferma tristemente l’antico adagio: Franza o Spagna basta che se magna e del resto chi se ne fotte!
La storia si ripete. È dal ‘600 che il Bel Paese è oggetto delle scorribande e degli appetiti di potenti reami stranieri che trovano sempre arguti ed astuti fiorentini complici nell’intrigo ai danni di un altro italico signorotto al servizio di un’altra avversa foresta potenza. Del resto come biasimare i piccoli Machiavelli che non potendo trovare riparo sotto un ombrello nazionale che non esiste, sono costretti a cercare protezione ed onori sotto gli stranieri stendardi. E la storia si ripete, appunto.
Come è triste Venezia soltanto un anno dopo…
in punta di pennino
il Vostro LdR