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SULLA RIFONDAZIONE DELL’ARTE

“Lo spirito libero si identifica con il viandante, cioè con colui che riesce ad emanciparsi dalle tenebre del passato. Inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento. Senza certezze precostituite”. La fase che la critica filosofica considera “neo-illuministica” del pensiero di Friedrick Nietzsche –ossia dal 1878 al 1882 con gli scritti Umano, troppo umano, 1878-80; Aurora, 1881 e La gaia scienza, 1882- è di grande attualità per l’attuale dibattito intorno al percorso delle arti. Ogni epoca ha l’arte che si merita. E quella che ci stiamo lasciando alle spalle ha il proprio marchio nel concetto di “tossicità”. Noi abbiamo vissuto gli ultimi vent’anni in un mondo caratterizzato dallo sviluppo impazzito (tossico, appunto) dell’ego. Al punto che ciascuno, in mancanza di valori comuni, si è creato un mondo a suo uso e consumo. Ma distruggere la relazione con gli altri significa annientare progressivamente se stessi. Infatti, il principio secondo il quale se nessuno mi nomina io non esisto è la base dell’estrema vulnerabilità dell’io. Che imputa tutto a sé ma dipende sempre e comunque dal mondo esterno al proprio sé. E’ questa la matrice della follia contemporanea che ha intossicato la parola, il gesto, la relazione, la comunicazione, la politica, la morale. E -ovviamente- l’arte. Ma l’avvelenamento dell’arte è in assoluto quello meno pericoloso perché contiene in sé i principi della guarigione. La riflessione artistica fonda i suoi valori nella misura in cui riflette il mondo alcuni chilometri più avanti del presente. E con ciò partecipa sì alla determinazione dei valori o disvalori, ma in senso fenomenologico, come l’immagine catturata dallo sguardo determina le scelte per orientare il cammino. L’arte non giudica. Riflette soltanto. I maggiori maestri della contemporaneità estetica hanno sviluppato negli ultimi decenni il tema della morte, del dissolvimento, della putrefazione, del nichilismo. Non potevano fare altrimenti. Se è vero che lo sguardo dell’arte lancia il sasso in avanti senza preoccuparsi di nascondere la mano allora è venuto il tempo di una retro-trasmutazione dei valori, per dirla con Nietzsche allo specchio. L’uomo solo, il super-uomo, ha sciolto nel suo sé persino il superamento dell’orrore. Dopo la morte e il disfacimento, al termine del processo di putrefazione non rimangono che due cose soltanto. Oltre alla polvere resta un residuo solo: ciò che è poetico. Il suono millenario della poesia, nei vicoli tortuosi dell’anima di questa -tutto sommato ridicola- specie, vibra nell’aria. Interpretate Euripide, Eschilo o Sofocle, Shakespeare o Pasolini come vi pare. Portateli a destra o a sinistra. In alto o in basso. Sopra o sotto. Dalla vostra o contro tutti. Continueranno a incantare. Questo luogo dell’incanto, comune nelle arti visive dagli affreschi di Pompei al Beato Angelico sino ad Hals, Rubens, Tiepolo, Turner, Monet o Picasso arriva lungo e diritto ai nostri giorni. I poeti della tossicità -da Boccioni a Morandi, da Fontana a Manzoni sino a Bacon o Freud per arrivare a Koons e Hirst- hanno poeticizzato il nulla, l’elettricità del nulla, la spazialità del nulla e finanche la polverizzazione del nulla. Oggi è arrivato il tempo di una rivoluzione. Siamo nell’anticamera che precede la morte del nichilismo. Scriveva alla fine dell’800 il grande filosofo tedesco: “Ciò che io racconto e’ la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l’avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa e’ qui all’opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove in una torturante tensione che cresce da decenni in decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più ed ha paura di riflettere. Chi prende qui la parola sinora non ha fatto altro che riflettere: come filosofo ed eremita d’istinto, che ha trovato vantaggio nell’appartarsi, nel restar fuori, nel ritardare, come uno spirito audace, indagatore e tentatore che già si e’ smarrito in ogni labirinto dell’avvenire; che guarda indietro mentre narra ciò che avverrà, come il primo nichilista compiuto d’Europa, che ha già vissuto in sé sino il nichilismo sino alla fine, e ha il nichilismo dietro di sé, sotto di se, fuori di se”. Sono trascorsi quasi un secolo e mezzo da queste parole luccicanti. E ora, all’arte, spetta il compito di oltrepassare la storia prefigurata. Di allungare lo sguardo per vedere oltre. Compito difficilissimo ma connaturato alla sua essenza. Oggi le voci accattivanti che promettono verità millantando la luce in arrivo per accrescere soltanto il proprio orticello sono gli epigoni più stupidi di un mondo che sta definitivamente crollando. Valga ad esempio il proliferare di giornali, siti e pseudo-intellettuali. Tutti pronti a confezionare prodotti (con relativa merchandising) innovativi, iconici e apparentemente aperti. Ma subito pronti allo scatto d’orgoglio non appena il fiuto spinge a capitalizzare. Chi ha vissuto gli anni settanta e le spinte rivoluzionarie finite nel bicarbonato non si presta all’inganno. La straordinaria potenza nichilista del post-capitalismo nasconde le rivoluzioni sotto il tappeto. Come le briciole. Qualsiasi idea contraria viene immediatamente trasformata nella sua stessa icona. E con ciò mercificata. Tutte le aspirazioni al cambiamento finiscono sugli scaffali del mass-market. Il vero nocciolo della questione non è più la via ma l’intenzione. Non ci provino lorsignori a fregarci. Non ci riusciranno. Leggeremo nei loro occhi l’avidità che li spinge. Cattureremo dalle vibrazioni di un sopracciglio l’infigardia dei propositi meschini che nascondono. Non è mai e non solo più il denaro a guidarci. Che con esso e per esso già tutti siamo vittime sacrificali. Ma le rose. Non solo il pane. Nemmeno i cracker dipinti di rosa. E’ il tempo di catturare i fiori. La catastrofe si sta consumando. Volge al termine. E i colori del cielo sono simili a quelli sullo sfondo della “Tempesta” di Giorgione. Urlava dal palco del Frieze tre anni fa Dave Hickey: “il mondo dell’arte che oggi conosciamo scomparirà. Immaginandomi come questo momento sia esaltante ora, non mi immagino come sarà esaltante, un giorno. Il collasso. E’ veramente qualcosa da non vedere l’ora che avvenga. Booooom! Migliaia di Icaro che si schiantano al suolo”. E infine. “Naturalmente le stanze dove vendete la vostra anima saranno chiuse”. Mettetevelo bene in testa. Finitela di millantare. Non rubateci la fiducia. Fuck-off. Click.

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