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Arte antica e del XIX secolo da Finarte

lotto 27 a
DIPINTI E DISEGNI ANTICHI E DEL XIX SECOLO
dalle collezioni Camuccini, Romolo Belli di Firenze ed altre provenienze Roma, 13 maggio 2010
L’esposizione dei lotti della prossima vendita di Finarte “DIPINTI E DISEGNI ANTICHI E DEL XIX SECOLO dalle collezioni Camuccini, Romolo Belli di Firenze ed altre provenienze” si terrà da sabato 8 a giovedì 13 maggio 2010, giorno dell’asta. I 158 lotti in catalogo, sono divisi in tre gruppi: il primo, lotti 1 -33 bis, sarà dedicato ai dipinti dal XV al XVIII secolo; il secondo, lotti 34 – 76, sarà dedicato ai disegni dal XVII al XIX dalla collezione Camuccini e altre provenienze; il terzo e ultim gruppo, lotti 77- 158, sarà dedicato ai dipinti del XIX secolo e del primo Novecento.
lotto 29
Di particolare qualità, il lotto 29, un olio su tavola, Battesimo di Cristo (cm. 174×117) di Michele Tosini detto Michele di Ridolfo del Ghirlandaio([attribuito] Firenze 1503 – 1577). E’ stimato 200.000-300.000 euro.

Questa maestosa tavola inedita rappresenta un’affascinante aggiunta al corpus della pittura fiorentina nei decenni centrali del XVI secolo, divisa tra l’aggiornamento al più moderno linguaggio pittorico della maniera – rappresentata al massimo livello da Rosso, Pontormo e dal più giovane Bronzino – e le consolidate ortodossie michelangiolesche e sartesche. È questo un capitolo della storia dell’arte toscana che, sorprendentemente, non è stato dissodato appieno dagli studi, se non forse per quanto concerne i suoi protagonisti principali (in primis Vasari e Salviati): è così che l’opera di pittori notevolissimi come, solo per fare qualche nome, Pierfrancesco di Jacopo Foschi, Carlo Portelli, Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, Francesco Brina, attende ancora di essere posta pienamente in luce. La pala d’altare che qui si presenta si colloca chiaramente in quest’alta congiuntura artistica, intorno alla metà del secolo, esemplificando in primo luogo il significato e la portata della lezione di Michelangelo, ma attestando altresì la multiforme ricezione in ambito fiorentino del relativamente più avvicinabile idioma pittorico di Andrea del Sarto. Le figure sprigionano, in effetti, una possanza ed energia quasi impensabili senza l’esempio degli affreschi della volta della Cappella Sistina e del Giudizio Universale, declinati peraltro in una concezione aliena da qualsiasi esasperazione sperimentale manierista e piuttosto ispirata alla ricerca di un semplificato equilibrio classico, sin quasi algido pur nella monumentalità della scala adottata. I volti dei tre personaggi che fanno da testimoni della scena evangelica costituiscono altrettanti ritratti che permettono di cogliere una stretta contiguità coi modi di Francesco Salviati. La porzione centrale della scena richiama dal punto di vista compositivo il Battesimo di Cristo dipinto da Giorgio Vasari nel 1549 su una faccia dello Stendardo per la Compagnia de’ Peducci di Arezzo e oggi nel locale Museo Diocesano, ma sembra anche memore dell’affresco del medesimo soggetto eseguito nel 1541 da Jacopino del Conte nell’Oratorio di S. Giovanni Decollato a Roma. Il disegno è padroneggiato con spavalda sicurezza, con una profilatura delle sagome nitida ed incisiva, veramente fiorentina e condotta, per dirla con le parole di Vasari, “con fierezza e senza stento”; il colorito è acceso e brillante, ma non privo di ombreggiature profonde e gagliarde. Alla luce di queste caratteristiche il riferimento a Michele Tosini, detto “di Ridolfo del Ghirlandaio” per essere stato a lungo allievo, collaboratore e seguace di quest’ultimo, sembra il più stringente, traendo linfa dal confronto con varie opere del pittore a cominciare dalla Madonna col Bambino in gloria con i SS. Francesco, Giacomo, Lorenzo, Chiara e un donatore, Firenze, Cenacolo di San Salvi, databile verso il 1535-1540, dalla Sacra Famiglia conservata nei depositi di Palazzo Pitti a Firenze, e dalla più tarda Aurora iper-michelangiolesca della Galleria Colonna a Roma*.

 

Tra gli altri lotti di questa prima sessione, si segnalano:

lotto 32
lotto 32, Francesco Albotto(Venezia 1721 – 1757), Capriccio con figure, ruderi classici, corso d’acqua e un villaggio sullo sfondo, olio su tela, cm. 96×150, stima: € 100.000-120.000
lotto 33

 

lotto 33, Francesco Albotto (Venezia 1721 – 1757), Capriccio con figure, rovine classiche, un fiume e un villaggio sullo sfondo, olio su tela, cm. 97×150, stima: € 100.000-120.000

 

La coppia di sontuosi Capricci en pendant che qui si presenta (lotti 32-33) si colloca in modo evidente in quello snodo cruciale nella cultura figurativa veneta del XVIII secolo nel quale si incontrano i generi del paesaggio, della veduta, della veduta fantastica (o ideata) e del capriccio. Tale fase trae energia propulsiva in primis all’arte potentemente inventiva di Marco Ricci e in subordine di Luca Carlevarijs, per riverberarsi poi in Marieschi, Canaletto, Francesco Guardi, Zais, per limitarsi solo ai capiscuola. Anche nelle nostre magnifiche tele di grande formato tali punti di riferimento si rivelano in tutta evidenza, a partire proprio dalla dipendenza liberamente elaborata dalla studiata combinazione di architetture e rovine classiche, figure e scenari rustici che costituirono il “marchio di fabbrica” di Marco Ricci, capace di calibrare con ineguagliata finezza e sottile evocazione d’atmosfera l’impaginazione compositiva delle sue scene di fantasia. Sullo sfondo dei due dipinti qui in oggetto rivive adeguatamente trasfigurata la campagna dell’entroterra veneto, con le sue colline lontane a far da quinta, i suoi corsi d’acqua, la sua quiete armoniosa sovrastata dai ruderi possenti. La sbrigliata fantasia architettonica dell’autore mette insieme, come si conviene, classici elementi di repertorio come il Colosseo (ripreso nella canonica inquadratura “rovinistica” di scorcio), obelischi, monumenti funebri, ruderi di templi romani, che rimandano, oltre che al Ricci,all’arte estrosamente pittorica di Michele Marieschi. Rispetto a quest’ultimo, nondimeno, i nostri dipinti esibiscono una maggiore chiarezza d’impianto e di colori, nonché una nettezza e precisione nella resa dei monumenti che fanno pensare piuttosto al suo migliore allievo e seguace, Francesco Albotto, il quale ne sposò la vedova e presumibilmente ne ereditò la bottega. Questi si dedicò a sua volta alle Vedute di Venezia e ai Capricci, recuperando senz’altro il repertorio del maestro ma altresì dirigendo nel tempo verso la trasparenza e luminosità del Canaletto. A rendere stringente tale ipotesi attributiva si pone l’eloquente confronto con una coppia di tele en pendant in collezione privata bolognese (vedi Marco Ricci e il paesaggio veneto del Settecento, cat. della mostra, Bellluno, 1993, a cura di Dario Succi e Annalia Delneri, Milano 1993, nn. 93-94, pp. 277 e 280-282), la prima delle quali ripropone con piccole varianti d’inquadratura la medesima veduta ideata, che deve di certo la sua ispirazione alla dolce campagna del Brenta. Il dipinto è accompagnato da una comunicazione scritta del Prof. Ferdinando Bologna in cui si colloca l’opera nel contesto della grande tradizione veneziana delle vedute e dei capricci del XVIII secolo, e si sottolinea la sua stretta implicazione con l’opera di Marco Ricci e con gli sviluppi che si determinano nella pittura di Michele Marieschi*.

lotto 27 a

lotto 27 b
lotto 27, Domenico Piola(Genova 1627 – 1703), a) Ratto di Proserpina b) Ratto d’Europa. Coppia di dipinti, olio su tela, cm. 55×43,5, stima: € 45.000-55.000

Le tele che qui s’illustrano rappresentano due tra i più celebri rapimenti delle Metamorfosi di Ovidio: il ratto di Proserpina, figlia di Cerere, da parte di Plutone che la strappa al suo mondo luminoso portandola sul proprio carro verso il regno degli inferi, e quello di Europa perpetrato da Giove trasformatosi in toro. Il pittore si concentra sul momento in cui le belle giovinette vengono allontanate dalle loro compagne e proprio questo frangente cruciale del racconto gli offre l’opportunità, da un lato, di applicare con profitto il proprio raffinato estro narrativo, dall’altro, di esibire una composita cultura figurativa, che sidirebbe consapevole, proprio sul finire del XVII secolo, non solo, com’è naturale, della produzione dei grandi genovesi Valerio Castello e Grechetto, ma anche di artisti più giovani come il veneziano Sebastiano Ricci e il fiorentino Pier Dandini. Per il suo marcato dinamismo, il colorismo vivacemente contrastato, la freschezza compositiva, la leggiadria decorativa, la nostra coppia di scenografiche telette può essere raffrontata con alcune mature opere di soggetto mitologico di Domenico Piola, tra gli assoluti protagonisti, grazie anche alla sua fiorente scuola, della civiltà figurativa genovese di secondo Seicento. Basti qui richiamare, come termini di comparazione stilistica, la versione verticale della Giovinezza insidiata dal tempo (Allegoria della Vanitas) in collezione privata genovese, il Bacco e Arianna della collezione Zerbone di Genova e il Ratto d’Europa di grande formato oggi nelle Collezioni di Banca Carige a Genova. La coppia di dipinti è accompagnata da una comunicazione scritta del Prof. Ferdinando Bologna in cui si sostiene l’attribuzione a Domenico Piola*.

*testi tratti dal catalogo
Seduta d’asta
giovedì 13 maggio 2010 ore 17.30
dal lotto n. 1 al n. 158
Esposizione
da sabato 8 a giovedì 13 maggio 2010
Orario
10.30 – 13.30 / 15.00 – 19.00
giovedì 13 maggio l’esposizione terminerà alle ore 13.00Info: www.finarte.it

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