31 ottobre 2010. L’intervista del nostro direttore Paolo Manazza. Il commento della nostra inviata Cristiana Curti e l’opinione di Vittorio Sgarbi
Ma ecco che -mentre nelle vesti dell’anonimo cronista mi appresto ad entrare nelle sale- chi ti incontro? L’Angiola in persona. La tentazione di intervistarla è nel mio dna. Non riesco a trattenermi. “Buona sera ma lei non è l’artista? La sorella del ministro…”. Approccio sbagliato (fin da giovane mi riuscivamo malissimo queste cose). “E lei chi è?” mi chiede incuriosita. “Paolo Manazza”. “Ahh…eccolo dunque il direttore di ArsLife..!” e sorride. Iniziamo a parlare e mi spiega che suo fratello quasi non sa chi sia. “L’ho visto pochissimo negli ultimi quindici anni! E non solo non è mai intervenuto per sponsorizzarmi. Ma addirittura mi sento costretta a muovermi di nascosto per non metterlo in imbarazzo…”. Più che incazzata e sponsorizzata l’Angiola sembra una sana scultrice donna d’altri tempi con l’idea fissa di esplorare il mondo femminile. Continua. “Ma le pare che ho bisogno di lui per fare una mostra?! E aggiunge sorniona “Io non sono la sorella di Tremonti. E’ lui che è mio fratello perdinci!”. Non c’è che dire. Donna dolce ma battagliera l’Angiola. Continuo e le chiedo “Riguardo le polemiche sulla location che ha da dirmi?”. E lei: “Guardi Manazza, la domanda per questa esposizione risale a quattro anni or sono. Che c’entrano le questioni politiche? Casomai la scelta è dipesa dal mio curriculum, dalla storia personale del mio lavoro, dai supporti critici, dai cataloghi che ho pubblicato, dalle tante mostre che ho già fatto…”. Un po’ ha ragione. Qualsiasi artista si sente rappresentato da ciò che crea piuttosto che dal nome che porta. Ho la tentazione di continuare per lo meno sulla questione della polemica intorno alla commissione del Comune in cui lei è presente. Lei mi sorride e spiega pacatamente alcune cose che sono state a suo dire solo malintesi. “Prima di tutto ribadisco che la proposta di questa mostra fu fatta quattro anni or sono, mentre sono stata chiamata nella commissione arredo e decoro urbano soltanto nell’aprile del 2010. A tale commissione ho partecipato di persona una sola volta. Mentre a una riunione nella quale si doveva decidere sull’acquisto di una scultura di Pomodoro non ero presente ma ho solo inviato una lettera nella quale esprimevo l’opinione che fosse più opportuno che il maestro, e solo nel momento e al punto in cui si sarebbe entrati nell’argomento che lo riguardava, si allontanasse (in queste commissioni non si ha alcun potere se non di esprimere liberamente le proprie opinioni). Non le sembra logico?”. Si ferma un attimo per salutare un amico arrivato poi torna verso di me e continua: “Per dirla tutta credo che il Comune farebbe meglio a investire una bella cifretta per sovvenzionare opere di giovani artisti italiani, magari scultori e con l’obbligo di utilizzare fonderie italiane piuttosto che quelle di Honk Kong o cinesi. Non crede? Per ultimo scriva pure che per questa mostra io ho deciso di rifiutare 5 mila euro di contributo Regionale, accettando solo la location e un contributo per il catalogo”. Detta così la cosa sembra stare in piedi un po’ meglio. Finalmente abbiamo sgombrato il campo dalle polemiche. Condizione ineludibile e necessaria per parlare d’arte. Decido di iniziare il colloquio sugli aspetti della ricerca estetica di questa artista combattiva e costretta malgré soi al cognome che porta. “Va bene Angiola, ho capito, mi dica adesso cosa le è piaciuto di più di questa sua esposizione?”. “Ma come? Lei dovrebbe dirmelo! Non io”. “E invece glielo chiedo io, guarda un pò”. “Lei è un tipo strano ma le confesso che mi ha fatto sorridere e meditare soprattutto la spontaneità della gente che si è fatta fotografare davanti e intorno alle mie sculture di donne con le braccia alzate al cielo. Nella cultura celtica l’uomo è uguale all’albero”. La interrompo. “E anche per le lei è così?”. “Direi di no. Nel mondo di oggi gli uomini parlano e scrivono. Gli alberi invece si limitano a fremere e suonare per l’anima”. Iniziamo a camminare per i giardini e le stanze. Visti dal vivo alcuni lavori scultorei della Tremonti sembrano funzionare in modo eccellente. “Mi dica -chiedo- che cosa le è più congeniale la scultura o la pittura?”. L’Angiola scoppia a ridere e mi risponde “In autunno e in primavera la scultura. In estate e inverno la pittura. Sa perché? Per motivi metereologici più che poetici. Provi lei caro Manazza ad andare in fonderia a gennaio o in agosto!”. “Quali sono gli artisti che ama di più?”. “Rodin, Tiepolo e Segantini” risponde di botto. Continuo. “E tra i contemporanei?”. “Nessuno. Preferisco cercare la mia ispirazione dalla natura piuttosto che dalla reinterpretazione della natura compiuta da altri spiriti”. Torno di botto sulla scultura: “Qual è il materiale e il supporto che predilige per le sue opere scultoree?”. “Senza dubbio la cera persa e il bronzo. La cera arriva prima ed è rossa come il sangue, voglio dire che è passionale e modificabile in corso d’opera. Il bronzo è altezzoso e fermo. E’ una sorta di punto di non ritorno”. Decido di cambiare registro e mi sposto sulla tavolozza “Secondo lei qual è la differenza tra l’oro e il giallo? Se esiste…”. Riesco a farla sorridere ancora. Ci pensa poco e risponde “Semplicissimo. L’oro vibra. Il giallo è un colore di superficie”. Continuiamo a passeggiare mentre parliamo. Mi racconta che ha deciso di regalare una scultura al parco della Villa Reale, aggiunge, sempre se la gradiscono. Le confermo che è una buona scelta e che a mio giudizio entrambi (parco e scultura) sembrano piacersi. Noi ancora ci stiamo annusando ma in fondo un po’ ci siamo piaciuti dopo l’incontro che inizialmente mi vedeva titubante e perplesso. E’ proprio vero. Le polemiche fanno bene al mondo dell’arte. Come la dialettica garbata è utile alle persone. Non ci volevo andare a vedere questa mostra. E avrei fatto male. Del ministro me ne infischio. Dell’Angiola no. E’ una cara persona da rispettare. Come tutti gli artisti del mondo.
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17.09.2010
ANGIOLA TREMONTI A VILLA REALE, MILANO
«Ti va di venire con me a vedere l’Angiola Tremonti? … Come: “chi è”. E’ la sorella del Ministro. No, nessuna conferenza. Che fa? Fa politica, è in una commissione civica sull’Arredo Urbano e… No, ti giuro, non è un comizio, no… adesso ti dico: è anche artista. Sì, un’artista: pittrice, scultrice e tutta questa specie di cose, … no, non so dirti se è brava (San Gino – De Dominicis n.d.a. – patrono dei pinocchi, salvami tu!)… del resto è una mostra che dobbiamo andare a vedere, ed è a Villa Reale… Villa Reale, la GAM, la Galleria d’Arte Moderna. Come? Sì è vero che a Milano non c’è nessun Museo d’Arte Moderna, questo è dell’800. Ma, sto dicendo: la Galleria, quella dirimpetto al PAC. Il PAC, Padiglione d’Arte Contempo… in che senso: non c’è nessun museo d’arte contemporanea a Milano… vabbé, ho capito, lasciamo perdere. »
Di telefonate come queste ne feci due o tre, obbligandomi a non dire la verità, ovvero che sono fortemente prevenuta nei confronti della scultrice Angiola Tremonti che espone dal 16 settembre alla GAM di Milano. Non è che, in genere, anche per altri più noti nomi del jet-setartistico contemporaneo mi vada molto meglio; per cui, all’ennesimo rifiuto, decisi di scoprire le carte e raccontare il casus della mostra, il curriculum dell’artista (che ampiamente troverete descritto nel sito della medesima insieme a una vera e propria messe di informazioni sulla sua attività principale e financo sulle secondarie…) e la polemica nata in seguito alla conferenza stampa di presentazione dell’evento. Qualcosa intorno ai conflitti d’interesse? No, questo riguarda l’Arnaldo Pomodoro che propose una sua cancellata a Largo Mahler e la Tremonti, strenua paladina della correttezza deontologica nonché membro della già citata Commissione, ritenne fosse questione incompatibile con il fatto che l’artista vive e opera in Milano. Qualcosa intorno all’opportunità di esporre un’emerita sconosciuta e neanche granché brava in una sede storica e importante della Città? Neanche, temo che quest’argomento sia già stato speso per altre occasioni sprecate dall’ineffabile Assessorato alla Cultura della giunta Moratti.
Insomma: non ricordo quasi neanche più perché sia nata una polemica.
Eppure, la mia amica più sensibile alle questioni civili e raffinata intenditrice d’arte antica e moderna acconsente, non senza prima aver domandato: “si paga?” Non mi pare: alla GAM l’ingresso è libero. Per cui, dopo aver giurato che non avremmo sborsato un euro per presenziare alla presunta offesa all’onore del capoluogo lombardo, ma non essendone affatto sicura, ci incamminiamo alla volta della GAM a Palestro. E che San Giorgio (De Chirico n.d.a.) protettore di chi la fa, affabilmente, un po’ sotto gamba a qualcun altro me la mandi buona.
Nell’ariosa corte del Pollack altri gruppi scultorei (Il bosco delle Mabille, Mabille varie…) sono disseminati un po’ dovunque, antipasto a ciò che troveremo all’interno delle sale del Museo e nel giardino retrostante l’ingresso nonché lungo la facciata aperta su di esso, la quale – sempre in osservanza del canone conforme alle “preziosità nascoste” milanesi -, di fatto, è ben più sontuosa e importante di quella visibile.
Entriamo nella GAM e…
Gentile lettore,
Potrei, come dissi, ma non voglio.
In secondo luogo perché dovrei dimenticare i motivi di rabbia e indignazione civile che mi condussero già a esprimere un parere più che negativo sulla sventurata, improvvida, pressapochista idea di ospitare una servitrice della Città (perché tale è la Tremonti, membro di una Commissione stipendiata dal Comune di Milano) e una sorella di un Ministro, che dire influente è minimizzare, in un luogo pubblico con l’intento non troppo occultabile di compiacere detto Ministro (forse il Sindaco avrà un hatù per l’Expo 2015? Almeno questo… ma poi, se così fosse, prima e dopo l’Expo, Mabilie anche a colazione? Vade retro!), perché l’arte – davvero – non può compiacersi.
Ma, mentre varco le porte delle polverose e desolate sale della GAM, ricca di tesori ma ignota ai più (a tutti, direi), mi sovrasta un senso di enorme, sconsolata tristezza per le sorti, fradice e logore, di una Milano inarrestata in questa sdrucciolevole deriva.
E allora sospendo lo scritto, facendo un piacere a me e a Lei, gentile lettore. Perché sono inutili i piagnistei in un momento in cui ciò che c’è da fare è rimboccarsi le maniche, individuare presto un progetto, che si riuscirà a attuare anche con pochi soldi (quanti ne aveva la Milano – e l’Italia – del dopoguerra per le attività culturali?), ma soprattutto, qui a Milano, immediatamente cambiare i referenti pubblici, e a vari livelli operativi, e installare un pool che attiri l’attenzione del mondo dell’intelletto (nomi a caso: Fo, Dorfles, per le prime azioni di rappresentanza…). Se soldi non ce ne sono, saranno le idee a vincere e dietro le idee (e la qualità inattaccabile delle persone che le promuovono) arriveranno i sostenitori e non saranno necessariamente i grandi nomi delle aziende interessate principalmente a un ritorno in termini pubblicitari.
E intorno alla Tremonti, che, malgré soi, diede spunto per questo mio ennesimo pistolotto, dirò solo che è senz’altro, per me, un’artista implausibile (quanto meno), ma che – per tutti – ha perso definitivamente la possibilità di una corretta lettura del suo operato, di un sincero apprezzamento delle sue fatiche, di un’oggettiva valutazione del suo lavoro. Talché chiunque in questi giorni e nei prossimi si periti di imbastire un pezzo, un saggio, anche solo un occhiello sulla sua arte, che non sia un copia-incolla di qualche comunicato stampa, sarà sempre e per sempre tacciato di “untuoso servo del potere” se la plaudirà o “malfidato servo dell’opposizione” se l’aborrirà. Nessuno, in questi giorni, riuscirà mai più a osservare con occhio limpido l’arte di Angiola Tremonti, sino a quando essa non tornerà nell’ombra dove lei e milioni di altri artisti del suo calibro tranquillamente sonnecchiano indisturbati e onestamente si dilettano delle proprie capacità.
Gentile lettore, mi perdonerà quindi se depongo la penna, per una volta. Confido non me ne voglia.
E che San Lucio (Fontana n.d.a.), protettore di chi vede sempre un futuro dietro gli ostacoli, ci stia accanto e ci consigli tutti per il meglio.
A sinistra, Letizia Moratti sindaco del il Comune di Milano, insieme ad Angiola Tremonti , a destra l’assessore alla Cultura per il Comune di Milano, Massimiliano Finazzer Flory
01.09.2010
Già il sommarietto francamente sembra un pochino comico: “dalla parentela con Giulio più svantaggi che vantaggi”. Ma come? Sarà possibile? Poverina, che grosso guaio! Eppure, con uno sforzo non da poco avviamoci a crederle. Andiamo avanti. Vorremmo le fosse molto chiara una cosa. Nessuno di noi ha mai pensato per un solo secondo di mancare di rispetto al suo lavoro. Il lavoro di qualsiasi artista coincide sempre e comunque con uno sforzo creativo, una ricerca più o meno riuscita nell’universo estetico. Però vorremmo anche che lei, con un minimo di umiltà, si rendesse consapevole di non appartenere (ancora) alla storia dell’arte contemporanea. Quella che considera artisti (sia moderni che contemporanei) storicizzati, conosciuti, amati e celebrati a Milano come a Londra, Parigi o New York. E’ inutile che lei citi l’elenco delle persone che hanno avuto il “piacere” di scriverle addosso. Non è questo il curriculum vero e internazionale di un grande artista. Lo sa benissimo. Non scantoni il problema vero. Perchè il Comune di Milano ha scelto per lei una sede così prestigiosa? Vuole farci intendere che suo fratello non conta e non è contato niente in questa scelta? Ce lo dica chiaramente. Ci dica che non vi è stato nessun interesse da parte sua. E anzi, che magari ha osteggiato questo progetto che risale all’aprile del 2009 (lo sapevamo bene). Se lei lo scrive noi ci crederemo (salvo avere prove documentali del contrario). Ma scusi Angiola veramente lei non ha alcun imbarazzo nell’avere a sua disposizione una sede espositiva di tal fatta? No perchè, se questo è il criterio adottato dal Comune di Milano (per il quale tra l’altro lei lavora pure), allora una mostra celebrativa di Piero Manzoni dove dovrebbe essere tenuta? Che sò magari traslocando tutto il palazzo della Regione Lombardia, Formigoni compreso. E per Lucio Fontana? Varrebbe quasi l’idea di proporre lo sfratto per un mese al Presidente del Consiglio da villa Macherio. Suvvia un po’ di serietà. Ma non le sembra di concorrere (malgré soi…) a rendere ridicola la politica culturale di una città come Milano? Anche tra noi ci sono diversi artisti ma le assicuro sarebbero fortemente imbarazzati se qualcuno proponesse loro una mostra a Villa Reale. Perché lei non lo é? Ce lo spieghi, per cortesia. Senza mezze parole. L’arte (come la sincerità) non è mai stata e non sarà mai ne’ di destra ne’ di sinistra. Giustissimo. Dunque?
SULLA MOSTRA DELLA ANGIOLA TREMONTI A VILLA REALE DI MILANO
Ma ecco l’ultima magnifica novità nel cartellone meneghino. Una nuova stagione alle porte e l’autunno delle mostre sotto la Madonnina inaugura niente meno che con una personale alla Galleria d’Arte Moderna della signora Angiola Tremonti. Guardate bene come dà la notizia il quotidiano on line “Affari Italiani”…!! E ha ragione!!! Roba da non credere che la cultura in Italia valga in questo modo (clicca qui). La sorella del ministro all’Economia, come risulta dal comunicato stampa, fa la scultrice ma si occupa pure di politica e fa parte della commissione al Decoro urbano dell’assessore Cadeo nel governo della signora Letizia Moratti. Per la cronaca, la stessa commissione in cui quest’estate hanno visto l’Angiola stessa ergersi contro il “conflitto d’interessi” del collega Arnaldo Pomodoro, reo di aver proposto una sua opera nel progetto di riqualificazione di Largo Mahler. La Tremonti ne chiese le dimissioni parlando appunto di “evidente conflitto di interessi”.
Un’altra vergogna del nostro Paese è che nessuno sino ad ora si è sognato di andare a fondo in questa faccenda o quanto meno segnalare le stranezze museali in corso. Destra e sinistra, con relativi giornali e giornalacci, tutti zitti. Sino a qualche giorno fa l’unico quotidiano che ha dato la notizia della mostra milanese della sorella di Tremonti è stato il “Corriere della sera”, per altro con un occhiello nelle pagine milanesi e un’annotazione quasi di colore. Poco, ma meglio di niente.
Che vogliamo fare? Continuare a tacere?