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LE VITE DEGLI ALTRI

Ci siamo. Apre i battenti la 35° edizione di Arte Fiera. Senza cadere nella tentazione di esercitare l’arte della divinazione, proveremo a trarre alcune considerazioni generali circa le mutate condizioni del mercato dell’arte alla luce delle severe disposizioni di legge vigenti in materia fiscale, conseguenza del perdurare ed inasprirsi della crisi economica, a sua volta causata non da una situazione transitoria ma bensì da un profondo rivolgimento strutturale.
Forse -e sottolineo forse- il mercato dell’arte e non solo quello, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora, si estinguerà come un dinosauro ad un mutamento geologico. Sì, perché il ciclone che si è levato, risucchiato dalle macerie della finanza internazionale, ha portato in dote un indebitamento generale degli stati appartenenti al G 20 generato dalla necessità di iniettare una dose industriale di liquidità nel sistema finanziario nel disperato tentativo di evitarne l’implosione. Vedremo, il tempo ci dirà se la cura era peggio del male e qualcuno solidamente informato lo sostiene.
Ma non è questo l’argomento del nostro contendere, piuttosto ci interessano le conseguenze ingenerate da questa impostazione. E’ iniziata infatti una vera e propria caccia all’uomo, anzi ad ogni copeco che si trova nelle sue tasche chiedendo conto della fonte di maturazione di quel copeco, estendendo la ricerca a qualsiasi forziere nascosto nei così detti “paradisi fiscali”. Bon, che c’entra tutto questo con il mercato dell’arte? C’entra, eccome se c’entra. Sì, perché il mercato dell’arte, quello vero costituito da opere che valgono centinaia di migliaia di euro o dollari, non è un fatto romantico e di “anime belle”, ma principalmente un affare per avveduti speculatori e mercanti nel senso più nobile del temine, gente capace di “annusare” i flussi culturali ed intercettare i cicli finanziari del momento, gente che ama il rischio e l’azzardo e che sa navigare in questi perigliosi mari. E dato che viviamo in democrazie egualitarie di massa, l’istinto speculativo non è appannaggio unicamente di élite, ma un atteggiamento democraticamente spalmato che ha prodotto un così significativo allargamento della platea interessata al mondo dell’arte, al quale si è avvicinata mossa non solo od unicamente da genuino amore culturale ma anche da una certa “avidità” speculativa, alimentata dal desiderio di partecipare al banchetto apprestato. Insomma un atteggiamento non molto dissimile da quello di un normale privato investitore di prodotti finanziari, per i quali vale peraltro l’aliquota impositiva del 12,50%. Con quale animo dunque un normale investitore si avvicinerà ad un’opera d’arte sapendo che potrà essere messo nelle condizioni di giustificarne l’acquisto e la sua eventuale vendita, condizionato dalla tracciabilità del danaro e degli assegni, con il rischio di vedere gli importi impiegati parametrati al suo 740? Questo per quel che concerne il compratore, ma il povero venditore, il disgraziato gallerista, già vessato dalla crisi, come pensate possa sfangarla stretto nelle maglie del diritto di seguito, una sorta di SIAE che pesa il 4% del valore dell’opera, da aggiungere al 20% di Iva, il tutto a costituire un reddito imponibile determinato dai folli studi di settore? E dato che le opere d’arte sono per definizione beni mobili e quindi possono passare per più mani in un arco di tempo relativamente breve, pensate seriamente che ad ogni passaggio possa sopportare tali folli oneri?
Ora c’è qualcuno che può sostenere ragionevolmente che una qualsivoglia attività umana finalizzata al guadagno possa sostenere gli oneri imposti da governi spreconi e spendaccioni che non si accontentano solo dei vostri ricavi ma, di fatto, vi intralciano nel costituirli erigendovi intorno una tale gabbia che vi inibisce qualsiasi libero movimento?
Qualcuno obbietterà che si vogliono difendere gli evasori. Al contrario, qui si sostiene che “a brigante, brigante e mezzo” perché tassazioni insostenibili inducono inevitabilmente a comportamenti difensivi.
Guardate che non sono i cittadini a dover aumentare i loro contributi, sono gli Stati che devono, come si dice in gergo, affamare la Bestia, diminuire le loro spese e per quel che concerne l’Italia l’elenco è lungo e non si è visto ancora nessuno che vi abbia messo drasticamente mano. Sappiate che ogni euro che verrà estratto dalle vostre tasche non servirà, come vi raccontano, per sanare i debiti, che detta così parrebbe anche sensato. No, quei soldi serviranno solo a dilatare ulteriormente la spesa, senza alcun beneficio sulla vita di tutti noi, anzi, alla lunga si risolverà in un impoverimento generalizzato, come nelle più fedeli tradizione social-comuniste. Si, si avete letto bene, ho scritto social-comuniste, perché la deriva del globalizzato pensiero liberal postmoderno impressa dall’Eliogabalo seduto sul trono della Casa Bianca ha realizzato quello che nemmeno l’Impero del Male era riuscito a fare, vale a dire il socialismo in terra.
Perché, attenzione, non è solo questione di vile danaro e di bieco egoismo, di grezzo interesse da padroncini, no è in ballo la libertà di tutti noi, dell’individuo, della sua possibilità di creare e di intraprendere, della possibilità di inventare la propria esistenza. La natura dell’uomo è libera ed il “diritto positivo” non deve e non può prevaricare il “diritto naturale”, il contratto sociale è stipulato da due contraenti: l’individuo e lo Stato e lo Stato non ha alcun diritto di prevaricare e gestire la vita degli individui.
Già ogni forma statale è una sorta di coercizione che può essere accettata per alcuni aspetti, pochi, che rendano praticabile la vita comune. Qui non si vogliono difendere privilegi, ma sottolineare il diritto alla sopravvivenza del nucleo del nostro DNA ovvero l’essenza dell’uomo e della persona intesa come nella nostra migliore tradizione occidentale che vede appunto i suoi diritti, alla vita, alla libertà ed alla proprietà come principi inalienabili ed incoercibili.
Le mirabolanti avventure galanti del nostro Barone di Munchhausen, con relativo sputtanamento mediatico planetario, sono la manifestazione evidente della nemesi che ha colpito il Cavaliere che, avendo fallito -a dire il vero forse manco iniziato- l’obiettivo e la promessa di rivoluzione tatcheriana-reaganiana, si ritrova ora sotto lo sguardo invadente, arcigno e moralizzatore di un pezzo di stato, esattamente come ci ritroviamo noi, poveri mortali, “spiati” e monitorati, nei nostri più svariati comportamenti, dal suo superministro dell’economia, prima liberista poi colbertista ed ora pauperista berlingueriano.
L.d.R.

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