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Intervista a Nicolai Lilin

Nicolai Lilin è da sempre considerato un personaggio controverso. Nei suoi libri ha raccontato di omicidi, risse, mafia siberiana, guerra e morte, ma durante questa intervista abbiamo avuto il privilegio di scoprire un lato nascosto di questo individuo che si è invece rivelato essere un ragazzo semplice, educato, gentile e dai sani princìpi. Un uomo intelligente, profondo e sensibile che però, costretto a vivere in un sistema e in un mondo che a volte non lo rappresenta, si ritrova spesso ad essere anche molto arrabbiato..

Scrittore russo di origine siberiana, nato nel 1980 a Bender, in Transnistria, Nicolai Lilin è diventato famoso in tutto il mondo grazie al suo romanzo intitolato “Educazione siberiana” (uscito in Italia nel 2009 per Einaudi) basato su delle esperienze di vita vissuta, presentato e recensito da personaggi del calibro di Roberto Saviano e Irvine Welsch. Nel 2010 Nicolai pubblica il suo secondo libro, “Caduta libera”, vero e proprio seguito di “Educazione Siberiana”, che come da lui accennato durante l’intervista, andrà a comporre una splendida trilogia. A breve uscirà anche la trasposizione cinematografica del suo primo romanzo, la cui regia è stata affidata a Gabriele Salvatores.

Trasferitosi in Italia nel 2004, Nicolai ha ora deciso di intraprendere un altro percorso artistico, parallelo a quello della scrittura: aprire una “Factory” a Milano, un centro culturale dal nome “KOLIMA | CONTEMPORARY CULTURE” (http://www.kolima.it/) che accoglierà giovani talenti provenienti da tutto il mondo con in mente grandi idee e progetti di ogni tipo da realizzare.

Nicolai, la prima domanda che vorrei farti riguarda la tua scelta di vivere in italia e successivamente di creare questo spazio qui a Milano. Dato che hai avuto successo un po’ ovunque in Europa – ho letto anche una bellissima recensione che Irvine Welsh fece del tuo libro “Educazione Siberiana” – mi ha incuriosito sapere che hai deciso di rimanere proprio nel nostro paese.. l’Italia è stata un po’ la tua America?
Sì sono amico di Irvine! Non direi, non cercavo affatto l’America. Sono nato in un paese molto degradato. Quando ero piccolo non avevamo neanche il bagno in casa e dovevamo andare fuori anche a -20. Le persone da noi apprezzavano cose come il gas e la luce, quello era il lusso. Ma non perché la comunità fosse povera, era una decisione degli anziani che influenzava la nostra vita. I nostri vecchi vivevano in un modo scettico, e la povertà veniva portata come una bandiera, una cosa di cui andare fieri. Per esempio ricordo un episodio in cui, a casa della mia famiglia, irruppe la polizia. Iniziarono a rompere tutto e ad un certo punto, spaccando il muro, trovarono dei lingotti d’oro da mezzo chilo, ed erano talmente tanti che mia madre si mise a piangere incredula, perchè nostro papà li aveva messi lì dentro senza dire niente. Probabilmente aveva svaligiato un furgone, ma queste cose non si raccontavano in casa. Insomma, potevamo permetterci di stare meglio ma era una scelta apparire così, una sorta di onestà. Io arrivo da un posto nel quale, all’interno dell’educazione di un giovane, non era compresa la ricerca dell’America, di uno spazio migliore. Mio nonno diceva sempre che “cercando la miglior vita non bisogna andare via, ma bisogna andare dentro se stessi” una cosa mentale e legata alla religione ortodossa siberiana che è una delle più antiche forme di cristianesimo in Russia, quel tipo di persone che si sposano una volta sola, che non comprendono divorzio, aborto, gente che si esprime ed appare in un certo modo, che è stata sempre massacrata da tutti, perseguitati dallo Zar, dai Comunisti e oggi dai Democratici. E’ gente che vuole prosperare facendo figli, difendendo i loro valori, difendendo la natura e senza andare a vivere per forza in città; infatti la nostra era l’unica comunità che mandava i giovani a vivere nei boschi! Io arrivo da lì e quando ho deciso di venire a vivere in Europa, cercavo un luogo dove trovare sinergie.
Comunque non ho davvero scelto l’Italia come posto in cui vivere, in realtà all’inizio avevo scelto l’Irlanda, perchè mi stavo sposando con una ragazza e stavo andando a vivere là. Mia mamma però, quando lo ha saputo, mi ha chiamato e mi ha detto che era malata di cancro, ma per finta, mi ha ingannato! Io sono venuto in Italia per assisterla, sono rimasto qui comunque, ho lasciato perdere il matrimonio, ma sono rimasto anche perchè delle sinergie con l’Italia le ho sempre avute, dato che da piccolo passavo tanto tempo con un anziano, un vecchio medico molto educato che è stato in carcere trent’anni durante la dittatura di Stalin soltanto per aver nascosto una famiglia ebrea. Lui mi ha insegnato ad ascoltare l’opera, a leggere poesie e romanzi, ad ascoltare la lingua italiana. Lui leggeva la Divina Commedia in lingua originale e grazie a lui l’Italia mi è entrata nel cuore, perchè l’ho sempre vista come culla della cultura internazionale.
Tu sei diventato prima di tutto famoso come scrittore. “Educazione Siberiana” infatti è diventato un vero e proprio best seller e poi hai scritto “Caduta libera”, il seguito del tuo primo romanzo. In che momento hai deciso di volerti dedicare all’arte e quindi di aprire questo progetto artistico dal nome KOLIMA | CONTEMPORARY CULTURE?
Tutto quello che faccio nella vita non è programmato, non è frutto di una pianificazione e questo per me a volte è un problema, perchè è una cosa che è diventata un’abitudine. A volte per esempio mi ritrovo con un progetto in mano ma senza soldi in banca. Ho sempre vissuto così, quando sentivo di avere a che fare con un’idea bella e interessante, seguivo questi passi, tanto della morte non ho paura, dato che sono già morto più volte. Queste sono cose che mi fanno un po’ ridere, perchè tanto so cosa c’è di là e quindi vivo davvero tranquillo, senza paura. Ogni tanto provo dispiacere per le bassezze di questo mondo, ma niente più.
Anche il diventare scrittore è successo un po’ per caso. Ho iniziato a scrivere grazie ad una compagnia teatrale che mi ha coinvolto in un loro progetto, perché a loro serviva qualcuno che insegnasse agli attori come muoversi sul palco in situazioni di guerriglia. Dovevano ricreare situazioni di battaglie reali, tridimensionali, e loro hanno chiesto consiglio a me perché io certe situazioni le avevo vissute. Così, come insegnante, ho iniziato ad addestrare questi attori come vere reclute dei reparti speciali russi ed è stato semplice, perché insegnare a distruggere, a sparare, ad uccidere è molto più semplice che insegnare ad ascoltare una buona musica o ad apprezzare un quadro.
Mentre facevamo questo lavoro siamo diventati molto amici con tutti gli attori e anche con i produttori e alla fine mi hanno chiesto di entrare a far parte di questa associazione, perché mi avevano trovato una persona interessante. Mi hanno proposto di lavorare per altri progetti e così questo è diventato un lavoro che alla fine mi ha portato questi odiosi soldi che però ci fanno sopravvivere. Poi alcune di queste persone mi hanno consigliato di iniziare a scrivere, perché raccontando le mie esperienze, i miei interlocutori, rimanevano a bocca aperta. Mi ricordo che una volta ricevetti addirittura una mail da una Signora che faceva parte dell’assessorato alla cultura del Piemonte, la quale mi scrisse che dopo aver ascoltato un mio racconto durante una delle serate che passavamo con la compagnia teatrale, era tornata a casa piangendo e abbracciando i suoi figli. Insomma, dopo questi riscontri mi sono detto che magari il modo in cui racconto le storie o le mie esperienze, portano le persone a commuoversi e a riflettere, conducendole a rivalutare la loro stessa vita. All’inizio non credevo minimamente che “Educazione Siberiana” avrebbe potuto destare interesse nel grande pubblico.  Era un libro anarchico, troppo anarchico anche per dei miei amici anarchici, che parla di criminalità, che è contro il sistema, contro lo stato.
Quando poi è stato pubblicato è uscito davvero con il “botto” soprattutto grazie a Roberto Saviano, che dopo aver letto la bozza inviatagli da Einaudi, rispose subito di voler presentare il mio libro. Qualche giorno dopo, infatti, Roberto scrisse un articolo bellissimo su Repubblica che mi spianò immediatamente la strada, e che fece vendere a Einaudi, nel giro di un paio di giorni, circa trentamila copie. Lì ho capito di avere un piccolo potere mediatico, il che, per un pazzo come me è interessante! Certo, il mio potere mediatico non è come quello che ha Saviano, però anche io nel mio piccolo ho capito di poter fare qualcosa – non a livello politico, perché per me la politica è un cancro umano – bensì in ambito artistico, perché per me l’arte è una sana e giusta espressione di tutto ciò che gli umani possono generare con un pensiero buono. La vera arte non può nascere con cattiveria, è un messaggio di sopravvivenza che porta le persone a creare, anche nelle situazioni più disperate. In questi anni ho conosciuto tante persone del mondo dell’arte, del cinema, della letteratura, del teatro, della musica e quindi mi è venuto in mente di creare uno spazio alternativo a tutto quello che il mondo moderno ci propina, dove tutto sembra ormai diventato un brand.
Ho cercato di creare un progetto indipendente, dove unire l’arte, la musica, la poesia, la letteratura, il cinema, il teatro e tutto quello che può essere generato dalla collaborazione umana. E’ una sorta di “factory” dove arrivano persone piene di talento con idee e progetti sui quali confrontarci e che successivamente cerchiamo di aiutare usando i contatti che possediamo in ambito artistico. Queste due gallerie sono soltanto spazi fisici, per concerti acustici, mostre, presentazioni letterarie, ma oltre a questo c’è un grandissimo lavoro di collaborazione con altre agenzie, con persone creative e artisti a livello internazionale. Lavoriamo con gente che sta in America, in Inghilterra e in Germania, abbiamo contatti con curatori, galleristi, con persone che ci vogliono aiutare o viceversa e non ci interessa uscire come un marchio o di fare pubblicità. Noi vogliamo sviluppare un progetto e aiutare gli artisti validi ad emergere, senza promuovere il nostro nome.
La scelta del nome “Kolima” deriva dal soprannome che ti avevano dato in Siberia quando eri piccolo, vero? Lo spieghi in Educazione Siberiana..
Sì vero, l’idea però è stata più dei miei collaboratori. Kolima era il mio soprannome da ragazzo perché la variante corta del nome Nicolai in Russia è Kolia, che somiglia anche al nome del fiume che scorre nelle nostre zone. Kolima oltretutto non è il soprannome di una persona forte, anzi, è una cosa un po’ ironica, anche perché è femminile e non è proprio come essere soprannominati “Tigre” o “Leone”. In quel fiume sono morte un sacco di persone e nelle vicinanze c’erano tante prigioni. Io ero chiamato con il nome di questo fiume proprio perché portavo sempre disgrazia! Da giovane finivo spesso nei guai e mi picchiavo sempre con chiunque, ero davvero uno spirito inquieto. Dio però mi ha sempre aiutato, perché nonostante tutto i denti sono miei e non mi hanno mai rotto il naso!
La prima mostra in programma, che inaugurerà lo spazio KOLIMA | CONTEMPORARY CULTURE, sarà “Il tatuaggio siberiano | Ritorno alle origini”.. Come è nata l’idea di questa mostra?
L’idea di fare un vero e proprio evento di apertura è nata successivamente, perché questi spazi all’inizio volevamo usarli solo per gli uffici e per eventi privati, ma alcuni miei amici mi hanno consigliato di sfruttarli anche per incontri, mostre, concerti. Così, una volta contattati i nostri curatori e comunicata la notizia, ne sono rimasti entusiasti. Come primo evento hanno voluto usare proprio la mia arte, i miei disegni e devo dire che mi hanno un po’ preso alla sprovvista. Io stavo  lavorando e sto ancora lavorando alla realizzazione di tatuaggi che andranno applicati agli attori che  faranno parte del film “Educazione Siberiana”, il cui regista è Gabriele Salvatores, un film molto importante per Universal Pictures che avrà una distribuzione internazionale. A quel punto mi è venuto in mente di fare una mostra legata sia al film sia a questi disegni della tradizione siberiana, ma anche legata alla ricerca, perché ogni cosa che faccio adesso in occidente, quando tatuo, quando mi confronto con la gente, quando cerco di rimpiazzare la mia tradizione siberiana, è la ricerca dei simboli.
La mia tradizione era molto chiusa, considerata una cosa esoterica che ho cercato di  far diventare più accessibile, in modo da poterla condividere con la cultura occidentale. Oggi io tatuo tutti, dal cinese allo svedese, basta che loro siano consapevoli di questa tradizione, che sappiano di cosa si tratta e che accettino di portare questo disegno con dignità. Quando ho iniziato a creare tatuaggi per persone che non c’entravano niente con la Siberia, con la società criminale e con la resistenza, ho visto che tanti simboli andavano rivisti e riadattati e così sono dovuto tornare all’origine di tutti i simboli che si sono sviluppati all’interno di una società chiusa, ripartendo dall’inizio, per poi raccontarli di nuovo ad un pubblico più vasto e diverso. Questo ritorno alle origini è il tema della mostra, dove racconto attraverso i disegni un processo che porta indietro nel tempo, nella storia, con tatuaggi che raccontano diverse situazioni, che appartengono ad una società diversa, ma che sono comunque composti secondo la tradizione siberiana. Ci sarà il Rinascimento italiano, la seconda guerra mondiale, storie diverse ma raccolte all’interno di questa società. Io mi sono divertito molto e spero che ciò possa piacere anche alla gente perché è stata una ricerca davvero pazzesca!
 

Dove hai imparato a tatuare e perchè per te i tatuaggi sono una forma d’arte così importante e così densa di significato?
Sono nato in un posto dove c’erano tantissime persone tatuate, ma da piccolo non capivo questa importanza, anche perché la tradizione del tatuaggio siberiano esclude la parola, è una cosa che esiste ma non si spiega il perché e che cosa voglia dire. Da piccolo andavo a sbattere contro mio padre, mio nonno, i miei zii che erano tutti tatuati, ma se chiedevi spiegazioni prendevi le sberle, perché per loro era un’offesa chiedere. Poi ho tentato di entrare in questo mondo chiedendo spiegazioni ai vecchi ai quali facevo piccoli favori.
Pensa che ad oggi, quando torno al mio paese, vengo deriso, perché sono tatuato e perché è tutto cambiato. Per loro, oramai, sono un pagliaccio, uno stupido che vive in occidente ma che fa finta di essere ancora legato al passato dei nostri vecchi, coloro che, secondo i giovani d’oggi, ci hanno fatto vivere e vedere la povertà come valore. Insomma, sta arrivando la globalizzazione anche da noi ed è una cosa brutta. Io da piccolo invece ho iniziato a studiare questa tradizione dei tatuaggi ed ho capito che era una cosa molto importante.
Passavo molto tempo con i vecchi e una volta capito il significato dei tatuaggi ne sono rimasto conquistato, perché era una cultura, un’arte, una via di comunicazione, un mondo all’interno di un mondo. In base ai tatuaggi che le persone portano sul proprio corpo, si riescie a conoscere la loro storia, le loro esperienze, i loro crimini ecc., soltanto leggendo la loro pelle! Nessuno dei miei amici capiva e si interessava a queste cose, per loro esisteva solo la droga, la discoteca, l’alcool, le ragazze e quando poi è arrivata la play station io mi sono ritrovato tutti i pomeriggi a fare il bagno al fiume da solo, quando invece prima era il divertimento preferito da tutti.
Per questi motivi mi sono sempre trovato meglio con i vecchi. Anche nel mio libro ho cercato di ripristinare molto questo mondo e anche l’attività di tatuatore è un tentativo di rimpiazzare questa cultura in un’altra dimensione ma con gli stessi valori, e per ora devo dire che sta funzionando molto bene, soprattutto in Italia, dove ho trovato molte cose in comune con la tradizione siberiana e persone già tradite dal consumismo, pronte ad abbracciare una nuova tradizione. In Russia invece il consumismo è arrivato tardi, in modo molto violento ed è già diventato un cancro. Tempo fa sono tornato al mio paese per il funerale di mio nonno ed ho incontrato dei miei vecchi amici. Ho chiesto loro come stavano, ho raccontato del mio libro del mio successo qui in Italia e ad un certo punto a Mel, che era uno dei migliori amici, ho detto che era diventato famoso anche lui. Così gli ho chiesto se anche lui era felice e qual era la cosa che più desiderava nella vita in quel momento e l’unica cosa che ha saputo rispondermi è stata: “Una Mercedes!”.. Qui in Italia invece c’è una voglia tutta nuova di recuperare i valori.

Questo spazio sarà un’attività parallela a quella della scrittura, oppure per un po’ hai intenzione di dedicarti soltanto all’arte? So anche che è in preparazione il film tratto da “Educazione Siberiana” il cui regista è Gabriele Salvatores? Insomma, che progetti hai per il futuro?
Adesso la mia attività principale è la scrittura. Sto già lavorando al mio terzo libro che sarà sempre legato ai due precedenti, perché questi tre libri andranno a far parte di una trilogia e quest’ultimo chiuderà il capitolo. Questi tre libri sono stati autobiografici ma non so se chiamarli proprio così perché molti infatti mi hanno criticato dicendo che parte delle cose da me descritte non erano vere, che mi ero inventato tutto. La questione di credere oppure no è una cosa personale basata sull’educazione e basata sulla capacità di interpretare e decodificare messaggi letterari. Chi legge la letteratura come un quotidiano fa danno a se stesso e poi arriva a fare conclusioni del genere, perché non fa domande e legge solo quello che c’è scritto nel libro. Io nei miei romanzi ho raccontato le mie esperienze vissute, e anche nella premessa c’è scritto che è basata sulle mie esperienze e a me è andato bene, anche perché queste note diciamo che fanno vendere più copie alla casa editrice.
Questi tre libri sono divisi in diversi periodi che rappresentano tre vite diverse, io li sento così. Nel mio secondo libro ho raccontato la guerra, un’esperienza che ho vissuto per due anni e tre mesi. In “Caduta Libera” infatti, ho narrato la storia di molti ragazzi che sono stati uccisi in guerra e che sono morti giovanissimi. Loro non hanno potuto raccontare nulla e non hanno potuto vivere la loro vita, ma credo che loro abbiano diritto, attraverso di me, di far conoscere la loro storia. Mi hanno criticato anche in questo caso, dicendo che ho raccontato la guerra senza etica. Devo dire però che questi erano critici di alto livello, con i quali non ho nulla in comune, perché io sono una persona concreta e parlo di cose che capisco.
E’ stato molto difficile per me scrivere questo secondo libro, perché ricordare alcune cose me le ha fatte un po’ rivivere e infatti certe sere me ne stavo a casa a scrivere con la mia bottiglia di Vodka e anche per questo motivo ho deciso di non andare in televisione e di non fare troppa pubblicità in giro per questo libro e gli editori hanno accettato senza problemi la mia decisione.
Quando finirò questo terzo libro scriverò dei racconti, alcuni dei quali ho già pubblicato con Repubblica e L’Espresso e ad Aprile inizierò a scrivere una rubrica fissa su XL, l’inserto di Repubblica. Con loro mi sono trovato molto bene, mi hanno sempre sostenuto, mentre altri giornali hanno come avuto paura di me e questa cosa non me la sono saputa spiegare. Pensa che quando sono stato presentato al grande pubblico da Saviano, mi hanno addirittura paragonato a lui credendo che anche io fossi da proteggere! Ero dispiaciuto perché non mi sentivo minimamente nella stessa condizione di Roberto, che sta facendo così tanto per questo paese, continuando a dire le cose giuste. Lui non si gode la vita e la libertà, io sì!
Quando sono stato male interpretato ho sempre detto che Saviano ha scritto un bel libro di denuncia, io invece non ho denunciato nessuno. Dopo l’uscita del mio libro nessuno è andato in carcere, perché il sistema che io ho accusato non può mettersi in carcere da solo. Ho parlato male del sistema, del consumismo, della Russia, dell’occidente che investe nella corruzione del mio paese e che cerca di dividerlo creando piccole guerre, per poi arrivare a domini di energia locale come nel caso del Mar Caspio. A me la politica non interessa, davvero, però non posso sopportare le persone che diventano cattive e che vogliono il potere a tutti i costi, perché solo Dio ha il potere del mondo, un Dio che ognuno può interpretare come vuole, invece noi umani dobbiamo stare al nostro posto, non rompere le palle agli altri e controllare bene quello che abbiamo sotto i piedi. Questa più o meno è la mia idea politica o esistenziale.


Com’è cambiata la tua vita da quando sei diventato un personaggio famoso? So che anche tu però hai  ricevuto delle minacce in passato per quello che hai scritto nei tuoi libri..
Sai, sempre parlando di persone che vogliono arrivare al potere in modo ingiusto, queste persone non si rendono conto di essere ridicole, pur avendo tanti soldi comunque non si può mai arrivare a comprare la coscienza della gente e tanto meno Dio, neanche minacciando. Se trovi delle persone che magari hanno paura – e gli individui che hanno paura sono quelli educati dal consumismo, perché sentono di avere qualcosa da perdere, anche se si tratta di cose materiali –  allora ti va bene.
Per me per esempio la cosa più importante è la dignità. Da dove vengo io questo mi hanno insegnato, rimanere sempre degno di me stesso e coerente. Si può anche cambiare idea, magari perchè ci si è informati meglio, allora si può cambiare opinione. Anche ammettere i propri sbagli è una questione di dignità. Molte persone invece la dignità non ce l’hanno, oppure è stata levata loro dal consumismo e sostituita con telefoni, auto, cellulari, con beni che li portano a considerare la cosa più importante non tanto la propria vita, quanto la possibilità di consumare all’interno della propria vita. La gente non teme di morire, ma di non poter andare più al cinema!
Con me non funziona questa cosa, perchè io non ho paura di morire. Potrei morire anche adesso e non mi importerebbe perchè credo di aver già vissuto parecchio – anzi, a volte mi sento anche abbastanza appesantito – chiederei soltanto di poter fare una telefonata a mia madre e a mia figlia per salutarle, niente più.
Tornando al discorso della sicurezza però, pubblicando questo libro mi è capitato di incontrare persone a cui non è piaciuto quello che ho scritto, forse perchè ho dato loro fastidio, non so perchè. Ho ricevuto anche dei proiettili, delle minacce, mi hanno messo una bomba in auto e per un po’ due poliziotti mi hanno fatto da “scorta”. Poi con questi due ragazzi della polizia siamo anche diventati amici, cosa che in Russia per esempio sarebbe impossibile.
Io però non ho certo bisogno di essere difeso, bisogna dirlo, perchè se mi dai fastidio io prima vado dai carabinieri, poi se loro non fanno nulla mi faccio giustizia da solo.
Comunque alla fine mi pare che abbiano scoperto chi fossero quelli che mi minacciavano ed erano soltanto dei fanatici che volevano diventar famosi compiendo certe azioni..

Bene Nicolai, per come ti avevano descritto pensavo che mi sarei ritrovata di fronte una persona spaventosa e cattivissima invece..
Anche io potevo pensarlo di te! No, non è vero, non so perchè si crede questa cosa. E’ una stupidata. Anche in televisione, per esempio, ho notato che volevano proprio creare questo personaggio. Io nella vita, e lo dico onestamente, ho ucciso della gente, ho sparato purtroppo, ma questa cosa mi ha reso più umano. Durante la guerra, ma anche durante le risse, ho sempre capito che uccidere era un gesto di sopravvivenza, non ero mica Jack lo squartatore, anzi, ho potuto constatare che le persone come me che hanno vissuto la guerra, non sono in grado di fare male a una mosca! E poi anche io mi sono preso delle pallottole in guerra, sono stato in fin di vita per ben due volte.
Una volta mi hanno sparato dritto al cuore – ho ancora una cicatrice orribile anche se avevo il giubbotto antiproiettile – con un fucile AK-47. Mi è andata bene perchè il ragazzo che mi ha sparato aveva finito le cartucce, se mi avesse scaricato addosso il caricatore non sarei qui ora. Lì ho visto la fine, sicuro che sarei morto, i miei ultimi pensieri prima di svenire sono stati: “Ok è andata, è finita, pazienza” e mi sono steso contro il muro. Poi però mi sono risvegliato e una volta sveglio mi sono sentito davvero rinato, è stato come nascere per la seconda volta.
Un’altra volta invece, sempre durante la guerra in Cecenia, ci hanno colpito con un lanciagranate ed hanno fatto rovesciare il convoglio in cui mi trovavo. In quel momento stavo dormendo e il colpo è stato talmente violento che due dei nostri autisti sono subito morti. Io invece sono solo diventato sordo dall’orecchio sinistro. Ricordo che quando c’è stata l’esplosione ero in uno stato di dormiveglia in cui ho pensato di nuovo: “Ok, stavolta è finita davvero” e invece no, sono svenuto e sono rinato di nuovo!
Anche un mio amico una volta aveva ricevuto ben sette ferite da arma da fuoco sul collo, eppure non si era fatto niente. Invece magari ad un povero ragazzo, che stava andando in bagno una sera in una zona tranquilla, gli arrivava un pezzo di metallo da un’area in cui era stata fatta esplodere una bomba a 3 Km di distanza che gli sfondava il cranio e la mattina dopo lo trovavi così. La guerra è questa. Tanti ragazzi sono morti anche giocando con le bombe a mano o caricando le armi, soltanto perchè erano ignoranti, o perchè non avevamo la radio. A volte addirittura si finiva sotto il fuoco “amico”.
La guerra è proprio una cosa tremenda, bruttissima, è una cosa che bisogna conoscere sì, per riuscire però ad evitarla, per capire che cosa si rischia ogni giorno con una politica sbagliata, con il menefreghismo. Bisogna impegnarsi anche con i ragazzi, perchè non dico che i giovani debbano fare politica, però devono essere coscienti e capire che cosa accade intorno a loro. C’è una frase di Gramsci che secondo me spiega bene questo concetto ed è: “Istruitevi perché una volta avrete bisogno di tutta la vostra intelligenza”. Così bisognerebbe fare, usufruire della propria intelligenza per non finire ad ammazzarsi come dei cani ignoranti.
Foto: Andrea Chisesi
Opere: Nicolai Lilin
– La via della benedizione
– La sorte e la promessa

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