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Intervista a Mauro Staccioli

Mauro Staccioli nasce nel 1937 a Volterra e si diploma all’Istituto d’Arte nel 1954. Nel 1960 si trasferisce in Sardegna dove intraprende l’attività di insegnamento nella provincia di Cagliari e fonda, insieme a giovani artisti e intellettuali sardi, il Gruppo di Iniziativa. Nel 1963 si trasferisce prima a Lodi e successivamente a Milano; assumerà l’incarico di direttore del Liceo Artistico di Brera nel 1974/75 e 1978/79 e successivamente del Liceo Artistico Statale di Lovere (BG). Gli inizi della sua attività artistica sono saldamente intrecciati all’esperienza didattica e a quella di intellettuale e politico militante…>>

Mauro Staccioli, protagonista fin dagli anni Settanta dell’arte ambientale, è l’artista a cui è dedicata la sesta edizione della rassegna “Intersezioni” con la mostra “Il cerchio imperfetto”, a cura di Alberto Fiz, anche direttore artistico del Marca (Museo delle Arti di Catanzaro). La mostra si svolge contemporaneamente al Parco Archeologico di Scolacium e al Museo Marca fino al 9 ottobre (Catanzaro, Calabria).
Scolacium raccoglie grandi installazioni che s’inseriscono perfettamente con l’archeologia del Parco, come la scultura “Cerchio Imperfetto”, che dà il nome alla mostra, un immenso quadrato rosso dai lati curvi, alto dieci metri, o l’ “Anello Catanzaro ‘11”, in acciaio COR-TEN, di otto metri e peso di 12 tonnellate, che accoglie i visitatori subito all’ingresso del Parco, o ancora come la “Diagonale rossa”, un plinto di oltre 25 metri di lunghezza in legno multistrato e che attraversa tutta la Basilica normanna in diagonale.
Il Marca ospita una mostra storica di Staccioli, con una serie di rare sculture in cemento, modelli e disegni soprattutto degli anni Settanta, che permettono di capire appieno la poetica dell’artista, il suo sviluppo e la sua evoluzione, dagli esordi fino agli ultimi lavori, esposti poi al Parco Archeologico di Scolacium. Accompagna “Intersezioni 6” il catalogo monografico in italiano e inglese edito da Electa (25x28cm, 248 pp, 230 illustrazioni a colori, a cura di Alberto Fiz, 45 euro).

Perché ha voluto chiamare la mostra “Il cerchio imperfetto”?
Il lavoro artistico porta a realizzare l’intuibile, non il perfetto. E questo vale per tutto: non c’è forma reale che si può realizzare in modo prevedibile. All’ esecuzione di questa mostra hanno lavorato, qui a Scolacium, anche due falegnami in equipe con me. Durante le varie fasi ci siamo continuamente confrontati con l’imprevedibilità. L’imperfezione è un valore: l’instabilità e l’imperfezione sono sempre alla base del lavoro artistico.

Nonostante la consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere una perfezione, la sua è un’arte “del fare”…
Siamo in Italia, dove c’è un’importantissima cultura dell’artigianato, della sartoria, del “fare” appunto. Io riorganizzo il “segno” con qualità ed efficienza. In questo il mio lavoro è molto italiano. Sono attento al dettaglio.

Le sue opere si inseriscono in un ambiente esterno, naturale: in che rapporto si pongono con il luogo in cui sono? come nasce quell’opera in un dato luogo?
Una situazione ambientale mi suggerisce un’ispirazione.  C’è un “prima” e un “dopo”: arrivo nel luogo prescelto senza ancora un’idea precisa, ed è il posto stesso ad ispirarmi il lavoro.

E per quanto riguarda invece il visitatore? come si deve avvicinare ad una sua installazione? si abolisce completamente il rapporto contemplativo in virtù di un coinvolgimento più totale, che include tutti i sensi?
Diciamo che il lavoro va accolto nella sua totalità, non esiste per me la contemplazione dell’opera d’arte: in questo senso si può dire che il mio lavoro è democratico.

Qual è la differenza tra una scultura e un’installazione per lei?
La scultura si ottiene attraverso il lavoro su un corpo. L’installazione invece è pensata per un ambiente: non esiste al di fuor della relazione con ciò che la circonda, il senso finale dell’opera è dato dal rapporto con l’ambiente in cui s’inserisce.

Perché lavora solo su committenza?
Per me la differenza fondamentale tra un lavoro su committenza e non, è la motivazione: se c’è una committenza, la motivazione è molto forte, e questo porta ad una maggiore etica nella realizzazione dell’opera. Gli artisti che non lavorano su committenza e che si danno magari degli obbiettivi di costanza e regolarità nei guadagni sono inconsapevolmente degli artigiani.

Quindi, non dovendo cercare di vendere opere già realizzate, ma operando su commissione, questo le darebbe maggiore indipendenza. Giusto?
Posso impegnarmi con più precisione, attenzione, dedicarmi completamente ad un progetto. Torniamo alla mia “cultura del fare”: voglio poter operare con cura ad un opera.

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