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ANDREA DEL CASTAGNO E LA LINEA FUNZIONALE

ANDREA DEL CASTAGNO
E LA CREAZIONE DELLA LINEA FUNZIONALE

 di Roberto Longhi

Andrea del Castagno (1390-1457 circa) par dire: il chiaroscuro di Masaccio mi sembra esagerato e troppo violento: la linea mi piace di più, ma basta però di questi strascichi di esilità e minuzie floreali! La linea sì, ma robusta e nervosa: linea che lasci l’uomo essere tale e non lo riduca a stelo pieghevole: linea, infine, che pur lasciandolo vivere energicamente non si riduca a un compito realistico ma trovi una possibilità di stile nuovissimo esaltando, appunto, accentuando, trasfigurando egualmente in ogni corpo e in ogni forma questo senso rinnovellato di diffusa e invincibile vitalità. Così egli crea la linea funzionale.

Vedete, per esempio, Pippo Spano, il capitano di ventura.
Un’energia umana balza da questa creazione ma non già espressa con una sensazione quasi negativa di pondo irreversibile come in Masaccio, al contrario, – e appunto perciò ho detto ‘balza’- tutto è vibrazione profilata di contorno sommamente energetico: Con quale vitalità il corpo riesce a gonfiare il bordo della corazza; quale scatto; quale curvatura ronzante! Si direbbe che il principio di tensione forzosa impressa allo spadone sia il simbolo di tutta l’inflessa archeggiatura del corpo teso. Come talora, infine, la luce invece di squadrare come in Masaccio, mira a rialzare semplicemente il profilo della forma con un rabesco luminoso marginale! (Vedete ad esempio nella gamba destra). Lo stesso stile si imprime nel viso: bioccoli incatricchiati di capelli, curva digrignante della mandibola, spazzo sinuoso di bocca, rughe uncinate!

Pur di esprimere questa energia inesausta Andrea del Castagno non rifugge da una sinuosità quasi brutale di contorni umani.

Così avviene ad esempio nel Cenacolo di Sant’Apollonia a Firenze.
 
Nei tipi di tutti gli apostoli e persino del Cristo v’è la stessa brutalità popolana di scelta che in Masaccio, ma non espressa per via di chiaroscuro plasticamente avvallato nelle fattezze, sebbene con una incisione acre di profili, di rughe profonde, di scorci ripugnanti – come vita e come umanità che voglian fare appello alla nostra simpatia; come arte invece sempre profondamente convincenti.

Vedete ancora, di lui, il Niccolò da Tolentino (in alto a sinistra) – pendant al Giovanni Acuto di Paolo Uccello (in alto a destra) – sulla parete interna del Duomo di Firenze. Un confronto fra le due opere vi può condurre a comprendere la differenza essenziale fra la linea funzionale e il sintetismo prospettico di cui Paolo Uccello fu, per l’appunto, iniziatore. Nel cavaliere di Andrea del Castagno la fonte di luce è meno risoluta e serve pià che altro ad affondarsi in guisa nell’intrico del modellato da far risaltare la muscolosità del destriero con una specie di rabesco superficiale d’anatomia (la zampa posteriore soprattutto). L’animale torce il viso verso di noi, nitrendo, così da formare altre cordonate sottocutanee espresse con altre linee: e per maggiore istantaneità di moto è immaginato sollevando già uno degli zoccoli posteriori; perfino un particolare infimo, la coda, si ritorce nervosamente come cerando di liberarsi dal nodo robusto e vincoloso. Il Tolentinate irrigidisce vibrando le gambe a calcar le staffe: mentre schioccano nell’aria il martelletto e il nastro del collarino; ma non per formare uno svolazzo calligrafico poiché – voi vedete – conservano peso e vita e già stanno per cadere.

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