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London journal, arrivo – 19 giugno 2012

Ogni volta che atterro a Londra mi sorprendo a pensare quanto questa città sia bella. Questa impressione è ogni volta destinata a subire, nei giorni che seguono il mio arrivo, numerosi up and down, come dicono qui, ma il primo pensiero è sempre lo stesso. Quando a Londra ci arrivi in aereo un avanspettacolo si ripete sempre uguale: per qualche ragione metrologica che ignoro, le nuvole che spesso coprono il nord della Francia e la Bretagna, tendono a diradarsi proprio sopra la Manica per lasciare intravedere il mare blu che non sembra nemmeno di essere sulle fredde acque tra Dover e Calais. A Heathrow c’è sempre traffico, quindi l’aereo è obbligato a una serie di volteggi panoramici sopra la città: il Millennium Dome, la London Eye, il Tower Bridge. Se avessi guardato con più attenzione avrei probabilmente scovato anche la nuovissima torre rossa firmata da Anish Kapoor che attende solo l’inizio dei Giochi Olimpici tra poco più di un mese. Londra è bella dall’alto, con queste nuvolette che la colorano come fosse la pelle di un leopardo, mi trovo a dire tra me e me con il naso incollato al finestrino della fila 6. Welcome to London, annuncia il pilota della British che, quasi compiaciuto, proclama 19 tiepidi gradi centigradi ad accoglierci. Poteva andare peggio. La metropolitana che mi porta in città è un treno nella campagna, almeno per i primi 20 minuti o giù di lì quando fuori dai finestrini corrono i verdi campi inglesi punteggiati qua e là dai bunker dei numerosi campi da golf. Magnifica beltà che poi t’assenti. All’altezza di Hammersmith l’underground rende onore al proprio nome e si infila sottoterra. Non mi resta che dare un’occhiata ai miei occasionali compagni di viaggio: dieci posti occupati nei paraggi e almeno cinque lingue diverse. Mi ero quasi dimenticata di quanto Londra sia multietnica: la donna cinese dai capelli perfetti e un profumo penetrante, la giovane coppia di turisti con lo zaino sulle ginocchia, un duetto poco rassicurante che condivide una qualche lingua dell’est Europa, una ragazza di colore che sembra uscita da un videoclip R&B. Sotto terra Londra è la fotocopia di quello che c’è in superficie. Pannelli informativi ci raccontano cosa c’è sulle nostre teste: “Piccadilly line above ground”, un serpentone blu che corre sotto i quartieri benestanti del West London, sotto i grandi magazzini Harrows, si infila in mezzo agli attigui Hyde Park e Green Park, sotto l’hotel Ritz, sotto Piccadilly Circus e i suoi schermi luminosi, sotto i cinema e i teatri di Leicester Square, sotto il mercato di Covent Garden, sotto la stazione di King Cross, per poi prendere verso i quartieri nel nord est. Ancora qualche fermata e sono finalmente arrivata. I dieci giorni a Londra sono iniziati. Saranno giorni intensi, fatti di giri a piedi per la città, di mostre da vedere e di aste da seguire. Stasera già la prima, da Sotheby’s, di Impressionist and Modern art. Appuntamento alle 7 in Bond Street. Star della serata un Mirò blu. Appena il tempo di mettere giù la valigia che sarà già l’ora per ributtarsi nel caos post ufficio della Tube.

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