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L’Italietta del Premio Cairo

Loredana di Lillo. Double Eye
Loredana di Lillo. Double Eye

Non so voi ma la sensazione che si ha in questi giorni coniuga perplessità e indifferenza. Come tutti gli anni, da 13 anni a questa parte, si è svolto il Premio Cairo. Alla Permanente di Milano la serata di gala organizzata dal Presidente del Torino ha offerto molti bicchieri di ottimo bianco e diversi spunti di riflessione. La pugliese Loredana Di Lillo, classe 1979, ha vinto con l’opera “Double Eye”, 2012 (stampa montata su alluminio cm 150×100). Chiacchierando con i giurati che l’hanno votata l’impressione è che fosse, tra tutti, il meno peggio. Mi scuso anticipatamente con l’artista e con gli organizzatori tutti per queste parole, che tuttavia mi sembrano doverose e inevitabili. Passeggiare tra le opere dei finalisti non dava, insomma, la sensazione di avere di fronte uno spaccato della migliore arte italiana del momento. Questo forse non è mai accaduto, in ogni caso ricordo che quando vinsero Federico Guida o Valentina D’Amaro l’aria era diversa. Intanto lo stile in circolazione era abbastanza definito: da Galliano in avanti, per qualche anno, il figurativo dal sapore un po’ “grunge” (passatemela) l’ha fatta da padrona. I vari Colombo, Cannaviello e Bonelli spingevano con forza i loro ragazzi con una discreta risposta di pubblico. Oggi è differente, le opere sono tutte slegate, gli artisti non fanno gruppo né sistema e corrono da soli, senza per altro proporre idee straordinarie. Il problema mi pare tutto italiano, perché ci basta fare un salto all’Hangar Bicocca proprio in questi giorni per godere di una delle più entusiasmanti installazioni di Thomas Saraceno e renderci conto che, volendo, è possibile fare cose belle e “nuove” anche nel 2012. La giuria del Premio Cairo, per onor di cronaca, ha motivato la sua votazione così: “Vince il 13° Premio Cairo Loredana Di Lillo, con l’opera Double Eye, perché riflette il senso dell’identità femminile legando il tema all’attualità, pur mantenendo un forte risvolto poetico”. Mi volete spiegare “Attualità” di che cosa? Si tratta di un primo piano realizzato a New York che poteva essere tranquillamente scattato altrove. Io non credo rifletta il senso dell’identità femminile, piuttosto mi pare rifletta pesantemente l’assenza di idee dell’attuale momento storico, ripeto, in Italia. Non sto dicendo che sia brutto, ma che lo trovo anonimo (per un’opera d’arte è pure peggio). Non bisogna essere esterofili a tutti i costi per ammettere che, non la Di Lillo, ma tutti i finalisti, abbiano offerto una selezione di lavori francamente mediocre. Un insospettabile personaggio di alto livello, che col Premio ha a che fare ma di cui non rivelerò l’identità, alla domanda “Che ne pensi di questa edizione 2012?” mi ha risposto così: “Ci vorrebbe una moratoria di cinque anni per non produrre più opere, così da fare un po’ di piazza pulita e ripartire consapevolmente. Oggi, siamo al capolinea”.

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5 Commenti

  • il Premio Cairo esprime un Paese che è solo consorterie, e in cui i curatori asserviti alla gallerie e la maniera in cui lavorano sono il primo scandalo. Iniziate a buttarli fuori della giurie e avrete fatto il primo passo per bonificare il sistema

  • Cari tutti,

    vorrei davvero tanto dirvi di è, il personaggio, ma poi il buon Direttor Manazza dovrebbe mettere mano al portafogli e sguinzagliare gli avvocati. Che li faccia Report gli scoop, noi s’ha da sopravvivere. Comunque, altro indizio, è persona molto vicina al Premio.

    Giacomo

    • Caro Giacomo, se sapessi come non ci si sconvolge davvero mai per il proprio nome speso in un’occasione del genere (neppure per le inchieste di Report, che uno si crede “chissà che succede adesso”… invece niente, l’indifferenza più totale, l’impunità più impunita).
      L’unica possibilità è che il personaggio molto vicino al Premio – e si potrebbe anche intuire chi sia fra una ristrettissima rosa di possibilità – perda il proprio pass di partecipazione al banchetto che con tanta dedizione il Signor Cairo appronta ogni anno.
      Già consigliai il patròn calcistico (proprio qui sull’allora Arslife) di deviare dalla gara e indire un’estrema festa in onore dell’Artista dell’Anno (alé!) a suo insidnacabile giudizio perché operazione più acconcia e forse anche meno discutibile. Questo in occasione dell’edizione chiacchieratissima (e non certo per la qualità delle opere) di un paio d’anni fa, mi pare.
      Ma è proprio il premio qualsivoglia che attira tanto chi lo fa e chi lo riceve. Se almeno servisse a qualcosa: a vendere in asta (l’unica transazione ufficiale dell’arte) e magari anche solo in galleria, ad attirare i consensi della critica o dei collezionisti (mai saputo che la Rebaudengo comprasse un premiato del Cairo, ma magari mi sbaglio).
      Nulla, non serve a nulla un premio a meno di diventare davvero internazionale (pur mantenendo l’italianità dei partecipanti), cosa che il Cairo, con tutta la buona fede dei partecipanti non è e – fino a che è impostato in questo modo – non potrà essere.
      Però, se qualcuno dei “coinvolti” lo ammettesse, sarebbe assai meglio, anche nell’interesse del Signor Cairo medesmo oltre che del nostro.

  • Sarebbe invece salutare, caro Giacomo, fare il nome del “personaggio di alto livello” che – con rara saggezza – si espresse così causticamente in merito, io credo, in particolare ai premi e premietti italioti.
    Da sempre non molto favorevole alla “gara” (tranne che a quelle di grande caratura, come la Biennale di Venezia, ad esempio, di cui ci si scorda spesso sia un premio questo sì internazionale), noto ancora una volta che laddove una giuria che si dichiara qualificata, a fronte di un coacervo di opere di cui non è dato sapere se esista un filo conduttore o una funzione (illustrare lo stato dell’ “arte” italiana nel 2012?) e priva di quella spinta ad almeno giudicare secondo genere, come avveniva in passato per il Premio Cairo, non sa davvero che pesci pigliare.
    Se il Cairo si distingueva un tempo per assolvere allo scopo di promotore della “nuova figurazione italiana”, con il supporto pubblicistico della rivista cartacea di riferimento, nel bene e nel male, ora che ha adottato un allure più “intellettualistica”, forse impaurito da un sistema che predilige una “vague” ormai, peraltro, passata (e da quel dì), davvero sembra non avere idea di che fare, che dire, che proporre.
    E se un Premio non sa che farsene dei suoi premi, a che scopo premiare per inerzia?
    Mi chiedo ancora una volta: a che servono i premi d’arte in Italia se non a far gustare (a volte) qualche buona ombra ai presenti e far marcare visita ai dirigenti?

  • Gentile Maschietti, condivido la vostra analisi precisa e molto educata, secondo me siete stato troppo buono. Stefano Armellin

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