Voice Gallery, MARRAKECH, 8 dicembre 2012 – 10 febraio 2013
Pose statuarie, corpi proiettati in ambienti eterotopici, figure percorse da aloni di sacralità, unguenti cromatici che alleggeriscono volti, atteggiamenti e luoghi fino a mostrare una leggerezza preziosa, una morbidezza tesa ad ovattare i dolori del mondo per esibirli attraverso argute allegorie. Il lavoro di Julia Krahn buca, con disinvoltura, alcune grandi tematiche attuali – l’importanza dell’alterità, la convivenza, la convivialità, il multiculturalismo, la carità e la tolleranza ne sono alcune – per porre luce sulla crudeltà di un mondo vuoto d’amore che non ammette compassione o indulgenza. Ma anche per rieducare lo spettatore, mediante frizioni estetiche eroiche e pungenti, alla partecipazione e alla condivisione della vita nell’epoca del policentrismo planetario.
A tratti onirico e surreale, il suo universo estetico (un universo che si nutre, a volte, di alcuni prefissi barocchi) offre atmosfere cariche di tenerezza, habitat sovratemporali e malinconici, climi caldi e sospesi che disegnano una vera e propria rivincita delle emozioni sulle aridità del quotidiano.
Mutter (2009), Reinheit (2009), Colpa e Benedizione (2010), Herz Dein e Herz Mein(2010), le varie Evolution (2010), Vanitas (2011), la meravigliosa Ultima Cena e le varie Melancholie (wachsend, bluehend e ganz aufgeblueht) del 2011. Sono soltanto alcuni progetti e lavori che evidenziano questa sua attitudine. Questa sua inclinazione a ritrovare, attraverso il silenzio e la purezza compositiva, una galassia caritatevole, un bello ideale necessario a ristabilire incontri, incanti, contatti con la natura umana e con il proprio cuore – il cuore dell’artista – messo a nudo (Baudelaire). E con una idea femminile che ritorna, in molti casi, per affrontare una riflessione dedicata all’accoglienza, all’importanza della diversità e dell’alterità, ad un cosmo in cui l’umanità è figlia di un unico destino.
Con Mother Loves You, la figura della madre – una madre che è corpo, terra, spirito, luce – è, ora, centro di un nuovo discorso che l’artista affronta per esplorare una fonte generatrice rintracciabile in tutte le cose. Una donna che rappresenta non solo la femminilità in tutte le sue varie declinazioni ma anche il luogo fulgente della creatività umana. Di una estensione estetica ed etica che, tramite fotografie, video e installazioni realizzate appositamente per gli spazi della Voice Gallery di Marrakech, pone lo sguardo dello spettatore sull’infinita ricerca di qualcosa che è, ancora una volta, nucleo fragile e irrequieto, spazio luminoso legato alla vita.
Grazie ad una spiccata teatralizzazione compositiva e ad alcune indispensabili metafore atmosferiche che dividono lo spazio espositivo in due note cromatiche dominanti (il blu e il rosso utilizzati nella stesura del progetto sono, da una parte, metafora di protezione, precisa indicazione volta a disegnare l’abito di Maria, dall’altra rappresentazione del peccato, del dolore, del sangue, dell’umanità), Julia Krahn accende una riflessione ironica e disincantata sulle storie delle religioni per mostrare l’espressione iconografica della Vergine, ma anche quella di una donna (l’utilizzo del jeans e le unghie smaltate ne sono segnali indicativi), di un personaggio regio in cui amor sacro e amor profano, sguardo spirituale e sguardo materiale si incontrano per destabilizzare le fissità e le divergenze in seno ai vari credi religiosi.
Applaus (titolo di un doppio video che evidenzia la duplice natura della donna e di alcune foto che metamorfosano e cortocircuitano il dolore in applauso), Velo (un tessuto blu sul quale è impresso un viso), Voci (installazione a parete con frasi tratte dal video) e Mater Multipla (un grande wallpaper che unisce tutti i vari lavori). Questi i brani del suo nuovo progetto. Di un racconto pungente teso a ricontestualizzare la figura di Maria/Maryam. Ad indicare una indispensabile via di fuga dai conflitti e dalle ipocrisie, con una delicata vena d’irriverenza che serve a Krahn per far saltare ogni perbenismo (ogni conservatorismo) e mostrare lo splendore di una pulsante, pungente umanità.
Antonello Tolve