FLASH ARTE EVENT 2013
UN MINUS PER BOLOGNA O UN PLUS PER MILANO?
di Cristiana Curti
Dopo Artefiera (subito dopo Artefiera) c’era bisogno di un altro appuntamento fieristico per l’arte visiva? Molti affermano che lo Stivale è saturo di eventi mercantili in questo comparto; altri sostengono che le lacune di Bologna vanno colmate con manifestazioni che tutelino la qualità delle proposte nel settore del Contemporaneo. L’unica alternativa pare ancora Milano.
Tuttavia, fra le cinquantasei di Flash Art Event, qualche galleria che venne ad Artefiera (Invernizzi, Primo Marella, Jerome Zodo, Santo Ficara, Fama, Contini, Curti/Gambuzzi, Lia Rumma, Continua, In Arco, Bonelli, Ca’ di Fra’, Poleschi, Z20 Sara Zanin, Boccanera, Poggiali e Forconi, Melesi ) è pure qui presente e fa bella figura. E qualcuno ancora insiste con la tesi della poca selezione nell’ambito del contemporaneo operata a Bologna, mentre sarebbe garantita a Milano. Su tutto (ma non su tutti) pesa l’argomento determinante per chi non ha generalmente incassi a cinque né tantomeno sei zeri, ovverossia quasi tutti i contemporaries, che una seduta bolognese “costa” quanto una sontuosa festa promozionale per il proprio selezionato indirizzario.
Sta di fatto che io incontrai due amiche collezioniste (eccellenti collezioniste!) che arrivavano dalla provincia di Modena e che avevano passato i pomeriggi ad Artefiera. Non paghe della kermesse felsinea venivano a verificare lo stato dell’arte presso alcuni grandi che a Bologna non si erano palesati. E i grandi bene si comportarono, per la verità, forse perché anche in piena sintonia di vedute con il paròn de casa, il Politi più amato e odiato della scena contemporanea. Il sito è straordinario, sembra nato per le manifestazioni di questo tipo. Un palazzo che costringeva al doppio tolup sulla superficie ghiacciata rimane fresca e candida metafora per artisti che non raramente sono di primissima nomina (Galleria Pack) o di consolidata realtà speculativa intellettuale ed economica (Frittelli). La parola d’ordine è: segno e disegno, collage e tecniche miste a piccola grafia. E’ la tendenza (stile?) definitiva dell’ultimo lustro. Alcuni nei: mancanza di sedute per il pubblico circolante. Assenza dei consueti magazzini negli stand in cui accatastare le riserve. Enorme difficoltà di parcheggio. Un sito web non all’altezza della manifestazione. Prezzi forse troppo sostenuti per nomi, soprattutto nazionali, che poi solo raramente sono difesi in asta. La pecca – in assoluto – del mercato dell’arte contemporanea in Italia. Ma, certo, quest’ultimo appunto non pertiene l’organizzazione al Palazzo del Ghiaccio… Mi pare, tuttavia, che i galleristi siano abbastanza soddisfatti. Sono rilassati. Ricompare qualche bollino rosso… ma temo non basti ancora. Non mi faccio una ragione del perché non si riescano a unire le forze e invece di due buone non se ne faccia una eccellente. Anche qui, comunque, come a Bologna, latita lo straniero; mentre l’asse è, decisamente, Milano/Roma.
Parto come brava scolaretta e m’infilo subito nel tranquillante stand di Primo Marella (MI), più italico del solito, dove campeggiano alcune belle prove di Domenico Borrelli, fra le quali emerge la colonnona spinale in ferro e gesso che mi piace e mi inquieta. Sembra un giocattolone da bimbi di giganti: l’accenno all’apotropaico naturalismo spinto (grande tema dell’arte contemporanea d’inizio XXI secolo: l’analisi allo stremo delle possibilità stilemiche del corpo umano) non riesce a nascondere l’ansia che incombe per questo enorme trofeo che mitizza un’epoca di eroi e titani d’oro forse solo nelle parole dell’aèdo che la cantò.
A fondo sala, in sorta di alcova rialzata, alcuni buoni stands attendono il visitatore. Da Artra (MI) sembrano costruiti per il gigantone fossile appena visto i paperplanes di Blue and Joy, tutti conficcati nel muro, dopo un volo univocamente puntato e inesorabilmente interrotto. E subito dopo, da Artforkids (CO), interessante e motivato progetto ideato da Emma Gravagnuolo e Roberta Lietti per collezionisti e artisti da coltivare alla visione dell’arte contemporanea sin da piccoli, si articola una storia per inveterati peter pan: Alice Colombo costruisce strani collages medianici come la sua più famosa omonima cercava di raccapezzare il proprio mondo attraverso una visione da bianconiglio. Sono assolutamente ben fatti e possiedono una leggerezza tattile e visiva che si confà non solo all’encomiabile idea, ma anche al collezionista più consumato. Anche il prezzo non “pesa” eccessivamente: per un collage e tecnica mista su tela di dimensione media la spesa è intorno ai 1.700 euro compresa IVA. Interessatevi anche del progetto che mira a far crescere un bimbo con la consuetudine all’arte. Gli artisti che vi prendono parte sono innumerevoli, da Vanni Cuoghi a Marina Giannobi, da Federico Guida a Davide Nido e molti altri di buon livello.
Ritorno sulla terra da Invernizzi (MI) dove si staglia in parete, gustati un paio di eleganti De Marchi fuor di cerchia, inabissati nel candore e feriti dai consueti occhielli, un ottimo Morellet del2009 a dimostrazione che il Nostro sa ancora e sempre stupire, dopo le straordinarie vicende degli anni ’60 dello scorso secolo. Un grammo di realtà (e sana geometria) pur composta nella luce in questo mare di fantastiche proiezioni, che se non calibrate, eccedono nel decorativismo. Quando l’astrazione viene in aiuto…
Diversa è la proposta della Galleria Pack (MI) che, come già anticipai, presenta un esordiente assoluto: per ora in curriculum c’è solo “nato a”; dopo questa fiera, potrà fregiarsi di una prima riga di costruito. Il bel pennello di Pablo Candiloro lascia intuire un buon futuro: il tratto è già sapiente e il soggetto intrigante. Un surrealista di ritorno o solo un buon pittore d’esperimento che rifugge – grazie a Dio – alle classificazioni? Spero quest’ultima opzione. Me ne vo, non dopo aver sospirato per un bell’acrilico su juta di Marco Neri della serie dei giardini, che sovrasta la vallata e il portafoglio alla cifra di 16.000 euro oltre IVA.
Da Christian Stein (MI) apprezzo molto un grande trasparente del sessantenne ma freschissimo Helmut Dorner, scolaro di Gerard Richter all’Accademia di Düsseldorf, che mi riconduce verso lidi tedeschi a me ben noti. L’occhio è sempre attratto da ciò che riconosce al primo sguardo. Questa nello stand è una prova esemplare dell’ultima produzione su plexiglass di cui esperisce sin dagli anni ’90 le potenzialità di trasparenza e ombre attraverso l’uso dei colori acidi che sono la sua firma e quella di molti dopo di lui ancora oggi. E’ una grande scuola che non ha mai avuto cedimenti.
Eccellente anche, nella sua compiuta classicità, Diamante Faraldo da Oredaria (Roma). Una teoria di micro disegni sotto lente fa sfoggio di sé su una parete, straordinario repertorio di fantasie dall’Antico (intorno ai 10.000 euro l’uno), mentre un consueto planisferio su marmo nero del Belgio, qui inciso in una forma piana che sembra accartocciarsi, procede nel solco di ricerca di questo artista ormai affermato e raffinatissimo.
Bellissima anche la coppia di quadroni posti in alto, giacché la “scena” è svolta nel limite inferiore della tela e si deve poter osservare a livello degli occhi e lasciar poi volare via del tedesco cinquantenne Hendrik Krawen da Lia Rumma (MI/NA). E’ una eccellente proposta che indica la potenzialità del monocromo su cui il soggetto figurativo insiste, calligrafico e incisivo, in qualità di paesaggio urbano, di architettura contemporanea immersa nel verde petrolino che rimanda ai miasmi della modernità. Un artista intenso dalla poetica intellettualissima e colta.
Da Continua (San Gimignano/Pechino/Boissy-le-Châtel) tutti guardano con concupiscenza le straordinarie opere di Pascale Marthine Tayou. Le più belle sono le due grandi tavole graffite e istoriate di concrezioni quotidiane e arcaiche e i tamburi “magici” dei Troubadours essi stessi provvisti di anima (per un gruppo di loro bisogna prevedere una spesa di 40.000 euro); ma a me piace molto anche l’opera di Giovanni Ozzola sulle sue lastre di ardesia incise. Un fulmine che squarcia il piano, che entra nella piattità come un taglio di Fontana, ma rimane al limite e vi gira intorno. C’è un po’ una sensazione di “fine di Dio” e il richiamo viene spontaneo. La più grande delle lastre (forse la più bella) costa 16.000 euro. La ricerca sul filo della raffinatezza sembra ripagare l’intelligente galleria toscana.
Massimo De Carlo (MI) mi impressiona favorevolmente con il controverso artista polacco naturalizzato newyorkese Piotr Uklanski (1963) che riserva un’immagine della globalizzazione mitigata dalla bellezza nel suo quadrone lievemente orientaleggiante. Un ambiguo appello che affascina lo spettatore sino a quando non ci si accorge che la composizione è un dripping ordinato e lezioso di sangue…
Massimo Minini (BS) è a Flash Arte Event per omaggiare l’annosa amicizia con Giancarlo Politi. Il suo è uno stand emozionale, che festeggia quarant’anni di carriera con un display da bancarella di marché aux puces d’alto rango. E il gallerista e la sua famiglia si divertono, ridono con gli amici, intrecciano ricordi, una piccola festa, credo, vera. Le “puces”, poi, sono piccole chicche lasciate in regalo da Paolini, Ghada Amer, Stefano Arienti, Gabriele Basilico, Daniel Buren, Garutti, Ghirri, Gioli… e potrebbero essere anche d’altri, perché sono davvero perlopiù trouvailles di una vita. Interessante still di scene da una carriera. Straordinario marchingegno per attirare l’attenzione: il “cumulo” fa sempre presa e scatena la ricerca.
Sostate da Primopiano (NA) e ascoltate i battiti di quattro cuori diversi che parleranno alla vostra anima in molteplici guise (amorose, ingannevoli, spirituali, materiali…), un’opera di Antonella Raio che vale la pena di esperire. Il progetto curatoriale che coinvolge in questo stand tre artisti (la Raio, Roberto Monte e Massimo Pastore), piuttosto buoni tutti, è a cura di Antonio Maiorino che vi parlerà del neorealismo magico, ovvero “una ricomposizione della realtà che è data sempre più scomposta e frammentaria, togliendo terreno all’ottuso automatismo della percezione al quale la civiltà delle immagini ci ha assoggettati, facendoci riscoprire la realtà con occhi nuovi” (dal folder di presentazione della piccola mostra in fiera). Le basi sono buone, c’è da lavorare, ma la passione non manca né agli artisti né al critico.
E restate anche da Pio Monti (Roma) a osservare gli ipnotici glifi di Teresa Iaria dalla mano buonissima. E’ una poetica che torna sul colore come matrice e conduttore della forma, ripetitiva, ossessiva, primitiva, nel solco dei Capogrossi e dei Bemporad, da sviscerare sino alla consunzione. Ma qui più libera e più folle, senza regole. Un automatismo che sembra partire dalla terra, così come Marinella Pirelli procedeva forse nella medesima ricerca ma partendo dalla luce. Mi piace e la comprerei.
Si cambia totalmente registro da Workshop (VE) dove ritrovo un’artista inglese che ormai conosco, presentata durante la Biennale di Venezia due anni fa dalla galleria. La “tassidermica” Polly Morgan che procede nell’impagliatura senza pietà di creature emblemi di libertà e felice selvatichezza. Uccellini morti adagiati su cornici; una piccola volpe preda di un ignoto, ipogeo, polipo voracissimo e cardellini crudeli; un’aerea costruzione verticale di ossicini di pulcino… Niente ferma la macabra fantasia della giovane artista, che titilla la gioia sadica di tutti noi quando possiamo osservare un animale in gabbia, qui addirittura immoto per sempre ma privo della dissoluzione che è data a tutte le cose. L’immortalità del coiffaggio ultimo a cui si ridà vita innestandolo in una scena di vita possibile. Non piacerà a tutti, ma è ormai diventata una maestra del settore.
Interessante mostra monografica alla Galleria Manzoni che presenta una scelta di lavori grafici di Pio Manzù, figlio di Giacomo, mancato trentenne ma fulgido d’inventiva nel design industriale che apprese all’Università di Ulm. Specializzato in prototipi automobilistici, si distinse anche per l’oggettistica d’arredo. Sua e di Castiglioni la nota lampada Parentesi per Flos, ideata nel 1969. E’ un’ottima occasione, questa, per conoscere una storia non così nota ai più, un momento didattico di eccellente costruzione a vantaggio del nostro appeal migliore. Quello della creatività figlia della maestria tecnica.
Da Villa Contemporanea (Monza) la poco più che trentenne Francesca Ferreri innesca un complesso rapporto fra il reale e il surreale. Il cervello si svolge e si dipana per mostrare le sue capacità. La percezione della realtà nasce deformata da una tara congenita che abbandona il certo per l’incerto. Il cervello non è centro della razionalità, ma accoglie anche la nostra memoria arcaica, gli impulsi primordiali che informano e deformano la nostra capacità di osservare il dato fenomenico. Da qui si arriverà a cercare di riportare su carta le “immagini primitive” composte da frammenti di oggetti diversi e commisurati insieme per ritrovare dal molteplice l’uno. Anche se sembra complesso è un procedimento semplice, ben esemplificato dal tratto dell’artista, ancora a prezzi assai contenuti, che riporta a certe allucinazioni di Dalì, del tutto rivisitate, s’intende.
Da Culture Hotel (NA) davvero buona è la pennellata di Simon Keenleyside di cui so solo che vive e lavora a Raleigh nell’Essex (UK) e che si diplomò nel Royal College of Art di Londra nel 2002. Attualmente è in Italia con Blindarte, ma vedo che passò anche dalla Galleria Tega durante un Art Dubai nel 2007 e e lo stesso anno da Cannaviello ad Artefiera. Ma è con Napoli la liaison più forte. E’ buono nelle xilografie (arte difficile e poco studiata), così come nelle tele più canoniche che nascondono un colorismo molto amato dalla scuola scozzese contemporanea. E’ notevole, e poiché è pura maestria con corredo di talento non posso far altro che consigliarlo.
Da In Arco (TO) sono solita trovare l’amato (quando vuole) Daniele Galliano, ma oggi segnalerò anche il torinese classe 1976 Manuele Cerutti con piccole tavole che proseguono la sua ricerca di una verità inconoscibile, se è vero che il dato oggettivo, di fatto, cede alla possibilità di essere un infinitesimo di cosmo e che il suo posto assume importanza solo se è parte di un tutto indistinto e primordiale. Interessante teoria che subisce il tentativo della narrazione attraverso una surreale pennellata, figlia della figurazione italiana migliore, qui già in una generazione più recente.
Aria diversa e divertita si respira da Ca’ di Fra’ (MI) che presenta una piccola mostra di grafiche dai disegnatori di fumetto più interessanti e noti della seconda metà del Noveecnto. L’appassionato si perderà fra le bizzose linee fratte e le scene a risparmio di Hugo Pratt e le sinuose fanciulle di Milo Manara. Un interessante desvìo dal rito collettivo che però pretende attenzione.
Jerome Zodo (MI) porta in fiera colui che gli fece guadagnare un hatù a Bologna, perché scelto da Verzotti e Spadoni con altri sette a far parte di una collezione di arte contemporanea promossa da un Fondo apposito istituito da Artefiera. Peraltro Federico Solmi, il prescelto, è un habitué delle fiere d’arte con alterne vicende. Nel 2009, sempre a Bologna, fu sequestrata una sua opera che presentava una crocefissione dove il crocefisso, nudo, portava un cappello cardinalizio; bagarre che si risolse, come ovvio, con un nulla di fatto. Ma non è artista di primo pelo. E’ stato esposto in sedi come il Reina Sofia di Madrid e il Centre Pompidou di Parigi. La sua novella compulsiva e frenetica prende le mosse da un’irrefrenabile vento di contestazione nei confronti di una pop-art ormai banalizzata ma sempre imperante, addomesticata e formale. Forse Solmi vede nella morte della borghesia quella caduta degli dei che alcuni hanno preannunciato decenni fa ma che ora è davvero compiuta. Interessante esempio di eclettismo e poetica onnivora e vorace.
Forse sulle stesse corde si muove il pennello di Matteo Giagnacovo con i suoi animali fantastici da Interno 18 (CR). Qui però non c’è il controllo narrativo di Solmi, quanto piuttosto un’attività veloce e quasi automatica e la ricerca di una Natura da rivedere in chiave fantastica. E’ singolare il bestiario personale dell’artista, il gesto mobile e la palette di grande impatto e buona resa. Anche qui, la forma si addomestica intorno al colore e non viceversa (un’altra linea guida della figurazione contemporanea italiana). Sono belli, poi, gli interventi grafici del segno sopra le campiture di colore.
Presso Area B (MI) è presentata con rigore una bella personale di Paolo De Biasi, feltrino classe 1966, curata da Ivan Quaroni. Per l’occasione della fiera i prezzi sono stati calmierati e partono da 500 euro oltre IVA per le piccole opere. Attirano i collages tradizionali su carta, digitali e C print su plexiglass che si affermano con linguaggio nuovo rispetto alla consueta pittura. Il titolo della mostra “Stop Making Sense” sembra il manifesto di questa fiera. Come dice lo stesso artista (a propria volta citando una frase di Seldon Kopp, autore di Se incontri il Buddha per strada, uccidilo) in un saggio che si potrà avere nello stand “… L’idea che il nostro sia un universo casuale al quale noi apportiamo un significato mi ha suggerito un parallelo con il mio metodo di lavoro… Il senso non è l’obiettivo finale, ma lo è, piuttosto, il percorso stesso… surrealista per definizione…”. Interessante inevitabile frammentazione del linguaggio, come peraltro appare anche nell’olio solitario in parete.
Infine, ancora pittura dal bravo e pluripremiato malgrado sia appena trentenne Neboyša Despotovic dalla Serbia, proposto fedelmente dalla galleria Boccanera di Trento che lo accolse non ancora diplomato all’Accademia di Venezia. Anch’egli lui parte del coacervo biennaliero di due anni fa, ma “almeno” nel bel settore del Padiglione delle Accademie, l’unico digeribile, con qualche punta d’eccellenza. Il suo tratto cupo rimanda alle voci slave e anche alle angosce di Music (e non a caso), ma il suo tratto è personalissimo e bisogna avvicinarsi alla tela per comprendere come sia sapientemente costruito. Per me è un nome di caratura e va acquistato soprattutto ora, fresco di nomine e di allori. E poi seguìto, naturalmente.
Ci sono punte entusiasmanti a Flash Art Event? Forse no. Gli assegni si sfilano da soli dai porta chéques? Neppure, direi. Ma non è neppur questo il busillis. La crisi impera e forse il problema sta nell’aver diviso ciò che uomo non poteva nell’unità delle arti.
E’ bene aver approntato questa bella fiera (a ingresso gratuito) milanese. Raffinata e con grandi nomi, accorsi in virtù di antiche e solide amicizie. Ma si sente che a Flash Art Event manca la sponda solida dei fianchi di Artefiera (che non sembra abbia deluso gli operatori) così come ad Artefiera mancò un guizzo e una ricerca nell’attualità che Flash Art Event mantiene.
Giancarlo Politi sarà certo pronto a qualsiasi contestazione, dovuta perlopiù al livore di cui è circonfuso il suo decennale potentato, ma è necessario per il bene dell’arte che si produca infine una manifestazione sola che vinca su tutte. In Svizzera c’è una sola Art Basel: perché noi, nel Paese della Biennale (e non dico altro, perché dovrei risalire negli onori sino a Giotto, anzi a qualche altra manciata di secoli ancor prima…) non sappiamo decuplicare i risultati solo focalizzando gli intenti? Forse sarebbe meglio fare quadrato, forse sarebbe meglio compattarsi per presentare anche qualche azzardo e qualche leccornia in più che scuota il parterre dei soliti noti (magari stranieri…).
Forse.
Ma, appena oggi, com’era la tiritera pre-elettorale? Chi ha deciso di allearsi con chi, dopo averne dette di tutte contro il malcapitato ora oggetto di rinnovate brame? Chi sarebbe pronto a stringere imperitura amicizia con chi, qualora i risultati post-voto impedissero le maggioranze necessarie per un governo stabile? Chi farà il salto della quaglia da uno steccato all’altro del pollaio? Chi farebbe di tutto pur di avere un posto (qualsivoglia) al sole?
Impossibile seguire un progetto condiviso, impossibile confidare in un razionale intervento che modifichi finalmente in positivo le nostre vite e la nostra civiltà. Parlavamo d’arte? Non saprei…