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Prima personale a Venezia di Letizia Battaglia

La Galleeria Workshop presenta ʻFotografie 1974 – 2013ʼ una retrospettiva di Letizia Battaglia, la sua prima personale a Venezia. La mostra sarà aperta al pubblico dal 20 di Aprile al 18 Maggio 2013.
La mostra è divisa in tre parti ben distinte, Cronaca, Rielaborazioni e Gli Invincibili. La mostra consiste in un viaggio attraverso un spaccato sociale della storia Italiana visto dallʼobbiettivo della macchina fotografica di LetiziaBattaglia che in tutti questi anni è stata testimone di una serie di eventi di cronaca nera di cui mafia e corruzione politica ne fanno da protagoniste.
Quarantʼanni di cui 18 in trincea, senza teleobiettivo. Un grandangolo e basta, un corpo a corpo con la morte e il degrado sociale.
Cronaca ‘Sono trascorsi tanti anni . Eppure nonostante gli anni quelle immagini sono ancora qui a turbarmi.
Preparo questa esposizione e tiro fuori i negativi, li porto dallo stampatore, dico qui più scuro, qui più chiaro, dico ancora: bisogna leggerci dentro i neri.
Mi astraggo dal soggetto della foto, ignoro la nausea, la bocca aperta, il rivolo denso di sangue Non ci fu la rivoluzione, ecco il punto. Ci furono solo foto e improbabili funerali con politici corrotti, misteri e tradimenti, ridondanze, parole che risuonano come parole malvagie. Seleziono le fotografie per questa esposizione. Avevo dimenticato di scegliere quella con Giovanni Falcone. Lui ci deve essere sempre nei libri, nelle mostre. Voglio sempre che venga ricordato anche al di fuori dellʼanniversario del 23 maggio. Ogni volta che seleziono è il solito estenuante rito, indebolito dalla solita nausea. Questa sì, certo. Il giudice Terranova, sì, ci deve essere. E il boss Bagarella con lo sguardo truce che mi diede un calcio a foto già scattata, questa non deve mancare.
Quel 23 Maggio, era un bel pomeriggio di primavera, Giovanni Falcone stava tornando da Roma con la moglie Francesca e gli agenti di scorta Vito Schifani, Antonino Montinaro e Rocco Dicillo, mentre io tenevo, tra le mie, la bianca e morbida mano della mia mamma, guardando un documentario in TV. In genere andavo a trovarla la domenica pomeriggio, ma quella volta non avrei potuto. Ad un certo punto si interruppe il programma per comunicare che era successo qualcosa a Falcone in autostrada. Rimanemmo immobili
per qualche secondo, il panico mi prese, non capii veramente più niente.
Lʼunica cosa che seppi fare fu di telefonare in studio e di avvertire Franco e Shobha. Io no, io non sarei andata in autostrada, mai più sarei andata a fotografare i morti e tutto il resto.
Ripenso ai lunghi 18 anni in cui fotografai tutto il fotografabile di Palermo, per il mio quotidiano LʼOra. Tutto. Pure le partite di calcio. Ma soprattutto la miseria, i morti ammazzati, gli arrestati, le bombe, i processi, la spazzatura, i feriti, i fascisti, le bambine, le donne, le manifestazioni, gli umiliati. Fotografavo, incamerando dentro tutto il dolore civile possibile, tutta la rabbia accumulati in testa, nel cuore e non so dove ancora. Sino a quel pomeriggio quando, mentre tenevo fra le mie la bianca e morbida mano di mia madre,
qualcosa mi morì dentro e decisi che non avrei più fotografato né morti ammazzati, né dolore, né tantomeno mafiosi.
Oggi, dopo venti anni esatti, non posso che deplorare la debolezza, lʼignavia, come chiamarla? Che bloccò il mio coraggio. Era un mio preciso dovere di fotografa resistere, fotografare e consegnare a futura memoria. Le foto che non ho fatto, oggi mi fanno male, molto più male di quelle altre. Perché sono tutte qua, dentro la mia testa e non le posso dividere con nessuno.ʼ
Rielaborazioni
‘Ho sognato spesso di bruciare i miei negativi della cronaca degli anni 70, 80 e un poʼ di novanta. Per disgusto, forse per disperazione. Per annullare dalla mia vista lo schifo che aveva vissuto Palermo.
Un giorno del 2004 mentre stavo guardando con rabbia e tristezza una grande foto di una madre e tre figli poveri, coricati a letto perennemente per il freddo e per la fame, mi venne come un guizzo. Io queste foto, quelle che girano per il mondo, potevo distruggerle. Cioè potevo farle diventare altro: una vita, un corpo nudo, un sorriso mescolato alla foto di cronaca. Così dal 2004
sono nate le Rielaborazioni. Rielaborando le mie foto di cronaca nera in modo diverso. Ancora oggi le uso come fondali di altre foto, non più protagoniste.
Davanti al morto ammazzato, alla violenza inserisco una figura positiva che reagisce, che esprime vita e non sopraffazione. Una donna, per esempio.ʼ

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