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Visite guidate alla Biennale di Venezia 2013 #3

Visite Guidate alla Biennale di Venezia 2013 – ITINERARIO GIARDINI n° 3

55a BIENNALE D’ARTE 2013
(ovvero: un grande futuro dietro le spalle)
#1 PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI o PADIGLIONE CENTRALE

#2 PADIGLIONI NAZIONALI

#3 PADIGLIONI NAZIONALI AI GIARDINI SULL’ISOLA DI SANT’ELENA

 

55a BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA 2013 – GIARDINI
Il Palazzo Enciclopedico
Dove:
Giardini, Castello – 30122 Venezia

Come arrivarci:
Dalla Stazione: Vaporetto Linea 2 diretto (direz. San Marco, Lido), fermata GIARDINI, 34 minuti

Apertura e Orari:
1 giugno – 24 novembre 2013

Orario: 10-18 (chiusura biglietteria: 17,30) chiuso LUNEDI
Biglietti:
intero € 25 (valido anche per l’Arsenale); ridotto (residenti, militari e ultra65enni) € 22/20. Previste altre riduzioni specifiche, singole o per gruppi; bambini sino a 6 anni, accompagnatori di invalidi, studenti di scuole primarie e secondarie coinvolti nei progetti educativi (cd. Educational): gratuito.

PRENOTAZIONI e info
Call center Hellovenezia 041-2424 (tutti i giorni 8,30-18.30), prevendita biglietti nei punti Hellovenezia a P.le Roma, Lido (Santa Maria Elisabetta), Tronchetto.

INFORMAZIONI
www.labiennale.org

Tempo medio di visita secondo Artslife: 5/7 h (di più, in una sola visita, vi sfido)

 

Quest’anno vedrò la Biennale in più riprese, come sempre, e in compagnia, come spesso mi accade, ma la novità è che, affascinata dalle sirene-vernici, riscopro un periodo festoso, anche se – per me – troppo stancante. Devo tornare più e più volte per godere di questa eccellente edizione che m’impone una particolare concentrazione per fornire un giudizio che abbia senso e che non sfiguri con i molti e molto autorevoli già di dominio pubblico.

Ciò che m’irrita di primo acchito è l’incremento di ben 5 euro del costo del biglietto d’ingresso rispetto alla scorsa edizione, un rincaro che francamente non trovo motivato, considerato l’incremento di pubblico e di padiglioni negli ultimi anni, e che rende per molti il tour più proibitivo.

Ma la Biennale di Venezia è sempre cosa gradita e va omaggiata. Io ne sono una fervida sostenitrice e una sincera entusiasta e ritengo sia una opportunità da non perdere per avere un panorama dell’arte del globo in tutte le sue anomalie, peculiarità, identità, omologazioni e disparità espressive, come altrove non si riesce a documentare in maniera così efficace e concentrata, anche se, di necessità, limitata e parziale.

Via, quindi, con la consueta letizia del cuore, nel vialetto delle ormai multiple e stratificate rimembranze…

#3 PADIGLIONI NAZIONALI AI GIARDINI SULL’ISOLA DI SANT’ELENA

Padiglione del Brasile

Biennale-Venezia-2013
Padiglione Brasile – Inside/Outside (Fervenza/Mlászho/Clark/Bill/Munari)
Bruno Munari, Concavo/convesso (1947)
Biennale-Venezia-2013
Padiglione Brasile – Inside/Outside (Fervenza/Mlászho/Clark/Bill/Munari)
Bruno Munari, Concavo/convesso (1947)
Biennale-Venezia-2013

Padiglione Brasile – Inside/Outside (Fervenza/Mlászho/Clark/Bill/Munari)
Hélio Fervenza, Pontuações para dentrofora (acercamentos) (2011)
Biennale-Venezia-2013
Padiglione Brasile – Inside/Outside (Fervenza/Mlászho/Clark/Bill/Munari)
Hélio Fervenza, Sem Título (1991-1995)
Biennale-Venezia-2013
Padiglione Brasile – Inside/Outside (Fervenza/Mlászho/Clark/Bill/Munari)
Odires Mlászho, Bauhausmachine I, II e III (2007)
Biennale-Venezia-2013

Padiglione Brasile – Inside/Outside (Fervenza/Mlászho/Clark/Bill/Munari)
Odires Mlászho, della serie Vozes nas cortinas, particolare (2013)

Tutto si muove da Munari e, prima di lui, da Moebius, straordinari padri di una delle più feconde stagioni dell’arte brasiliana modernista e contemporanea. Secondo questo assunto, la cui indagine proviene dalla 30a Biennale di São Paulo aperta lo scorso settembre e chiusa tre mesi dopo, si delinea l’omaggio coltissimo dello Stato SudAmericano all’Italia e allo straordinario periodo che per noi fu quello dello spazialismo e dei movimenti a questo figli. E’ un tripudio per occhi e mente, questo padiglione dai molti stimoli. E il titolo è esplicitamente collegato al ricordo devoto per i grandi del passato che nuotarono nei flutti del razionalismo geometrico, del positivo/negativo, del dentro/fuori, per l’appunto.

Per cui alle opere di Bruno Munari, Lygia Clark e Max Bill di storica e poderosa memoria si allineeranno quelle di Odires Mlászho nella bellissima serie Skinner (laddove il corpo umano è testimone dell’infinito…) o di Hélio Fervenza con gli omologhi Conjunto Vazio, per esempio.

Le grandi sale si dipanano con ordine sereno e con un abbandono alla sobrietà elegante delle forme che colpisce ancora una volta – dopo decenni – per l’icastica modestia del segno, che scompare attraverso le geniali declinazioni della grande installazione Vozes nas cortinas in cui Mlászho raggiunge il livello forse più alto formale e concettuale, attraverso la teoria dei libri dalle pagine strettamente e plasticamente intrecciate, così solidi e lievi al tempo stesso. Una vera meraviglia. Si perdonerà se il mio gusto, qui, prende il sopravvento nel giudizio.

Voto: 7

Padiglione Venezia 

Padiglione Venezia – Silk Map – Yiqing Yin, In Between
Padiglione Venezia – Silk Map – Marya Kazoun, Of Selves, Pixies and Guns

 

Padiglione Venezia – Silk Map – Maria Luisa Tadei, Il Castello del Sole

 

Padiglione Venezia – Silk Map – Anahita Razmi, Iranian Beauty

 

Padiglione Venezia – Silk Map – AES+F, The Feast of Trimalchio, The Arrival of the Golden Boat

 

Con l’evocativo titolo di Silk Map, il gradevole Padiglione Venezia (main Sponsors le eccellenze della ricerca nel tessile a Venezia: Rubelli, Fortuny Tessuti Artistici, Tessitura Luigi Bevilacqua) propone un circuito di personalità decisamente diverse e dalle qualità altrettanto variegate. I sei artisti invitati rappresentano sei tappe dell’antica Via della Seta e si muovono secondo stimoli provenienti dalla committenza. Il Padiglione Venezia ha questa funzione: illuminare le grandi manifatture storiche veneziane, sottolineando l’importanza della tradizione e della scuola nelle arti applicate, nel tentativo (oggi) di riportare alla giusta visibilità un settore spazzato via dalle multinazionali e dall’invasione del design per bocche buone e stomaci forti.

Mimmo Roselli (1952) analizza il concetto di limite, confine, anche come partitura dello spazio secondo volumi predeterminati e irreggimentati da linee. C’è un po’ di quel Sudamerica di cui si è discusso poc’anzi per la rappresentanza brasiliana, in questo artista che ha vissuto molti anni in Bolivia e ha intessuto proficue relazioni con gli artisti e le culture native del luogo. Nel Padiglione presenta una rete di linee che ripartiscono l’ingresso in sezioni composte e contengono i volumi, come recita il titolo stesso.

La cinese con sede a Parigi, Yiqing Yin ha già vinto innumerevoli premi internazionali nel settore delle arti decorative. Il suo lavoro verte sulla destrutturazione del vestito attraverso la comprensione “ontologica” della qualità del tessuto. Evidenzia gli effetti di tale progetto, come la scomposizione della forma seguendo la naturale pesantezza del materiale, assecondandone le caratteristiche. A Venezia, Yiqing Yin cuce un enorme pannello a fili lanciati (come sono peraltro i lampassi o certi damaschi della nobile tradizione tessile veneziana) che fluiscono sul pavimento per metri a raccogliere ulteriori suggestioni.

Marya Kazoun (1972) viene dal Libano e vive, dopo innumerevoli peripezie, tra New York e Venezia. La sua arte si sostiene attraverso una commistione di generi: quello puramente visivo dell’installatore e performer e quello da homo (o foemina) faber dell’artigiano. E’ davvero singolare il suo DNA di stoffe che si snoda in tutta altezza attraverso la sala passante, ma non mi convince del tutto mentre ricordo prove migliori anche a Venezia in Glasstress di due anni fa.

La riminese Maria Luisa Tadei propone ciò che da sempre è nelle sue corde: una lettura del “tema” dato (la manifattura tessile) attraverso uno stilema amatissimo, il mosaico. Per cui avremo pannelli in stoffa rappresentanti astrazioni policrome che sembrano echeggiare addirittura la mano di Fontana musivo o una cellula/uovo foderata da un pattern geometrico e fulgido e contenente una stanza/culla di specchi.

L’ottima Anahita Razmi (1981), iraniana con base a Stoccarda, è una video maker e performer che enuclea specifiche icone culturali per reinstallarle in altri contesti spesso scioccanti o destabilizzanti. E’ davvero un’interessante artista che già merita un posto di rilievo nell’ambito della storia del suo Paese d’origine, così ricco di testimonianze femminili di caratura. A Venezia porta un video, Iranian Beauty, con l’immagine di una bellezza iraniana, sdraiata sul tessuto Fortuny Irani, su cui piovono centinaia di rial (cartamoneta iraniana) richiamando esplicitamente l’arcinota sequenza di Mena Suvari coperta di rose nel film di Mendes.

Il gruppo moscovita AES+F (Tatiana Arzamasova, Lev Evzovitch, Evgeny Svyatsky + Vladimir Fridkes) è noto al pubblico per i suoi video rutilanti e “felliniani”, in cui la narrazione fantastica indulge in un’estetica di altissimo profilo e perfetta composizione, spesso attraverso richiami al Sacro, all’Antico e agli stilemi più noti della cultura Occidentale. Le tre opere scelte per questo padiglione illustrano la sontuosità del linguaggio che tracima verso un edonismo senza scampo e senza possibilità di penitenza. Comunque l’ironia la fa da padrona…

Voto: non classificabile, perché fuori competizione biennaliera

Padiglione dell’Egitto

 

Padiglione Egitto – Treasures of Knowledge – opere di Mohamed Banawy
Padiglione Egitto – Treasures of Knowledge – opere di Khaled Zaki

 

La rappresentanza egiziana si individua facilmente per un tema ricorrente, tale per cui è semplice delineare una cifra anche stilistica delle correnti contemporanee di quel Paese. Portante è il dialogo fra la cultura del passato (sentita nell’accezione più arcaica) e quella tecnologica del presente.

Già nella 44a edizione, Shafik, premiato per l’occasione, presentò una prova che sembrava aver fatto il punto di questo felice argomento, sviscerato comunque anche nelle edizioni successive. Anche nel 2013 il titolo Treasures of Knowledge (Tesori di Conoscenza) che sottende il gruppo di opere di Mohamed Banawy (mosaicista) e Khaled Zaki (scutore) non sembra dare adito a fraintendimenti.

Sono sempre perplessa di fronte a una lettura sociologica dell’opera e spesso mi trovo in disaccordo con chi sostiene che l’arte debba essere di necessità veicolo di mutamenti epocali nella società civile, ma certo dopo anni di linguaggi tesi solo a rimodulare il medesimo concetto (e considerando la complessa congiuntura che vive oggi quel Paese), oso dire che il racconto potrebbe davvero giungere al termine, accidenti. Soprattutto dopo l’eccellente prova della scorsa edizione con il geniale e sfortunato Ahmed Basiony.

Vero che non si può vivere neppure di “primavere” artistiche, ma quanto stride questo padiglione nella realtà dell’Egitto dell’estate del 2013… neppure la considerazione che alcune opere sono notevoli riesce a convincermi che deve abbandonare una volta per tutte l’immagine che dà di sé, in bilico fra l’oleografia e la spavalda naturalità dell’eccellenza decorativa. E questo perché sono sicura che entrambi gli artisti avrebbero meglio operato con un tema differente e più libero. Zaki in particolare merita un cenno per la sua carriera singolare.

Proveniente da studi economici su pressione del padre, ben presto persegue il sogno di diventare scultore e approda a Massa Carrara dove risiede per lungo tempo e impara le tecniche più raffinate. Questo apprendistato (un poco avulso dalla “mischia” dell’arte contemporanea tout-court) lo forma all’arte statuaria attraverso le modalità più classiche. Nulla di disdicevole, anzi. Ma la freddezza delle sue prove ben costruite indica un distacco di cui forse sarebbe meglio si spogliasse. Laddove la perfezione della tecnica può addirittura costituire un limite.

Voto: 5+

Padiglione della Serbia

 

Padiglione Serbia – Vladimir Peric, 3D Wallpaper for bathroom (2009)
Padiglione Serbia – Vladimir Peric, Photo Safari (2012)
Padiglione Serbia – Miloš Tomic, dalla serie Musical Diary

 

Davvero notevole il Padiglione serbo, con l’arte di Vladimir Peric e Miloš Tomic che trova un’ideale sintesi nel titolo (da un’opera di Peric) Nothing Between Us. Peric presenta una sintesi del proprio lavoro che si configura come un’ossessiva, puntuta analisi del tempo e delle considerazioni su quanto il trascorrere dello stesso modifica irreparabilmente la vita delle persone. Compito dell’artista è mantenere i contatti perduti, non permettere che le guerre e gli eventi luttuosi della vita distruggano ciò che ci ha reso ciò che siamo.

E così la lunga collazione nei mercati delle pulci di mickey mouse del 1968 (una fortunata edizione in gomma prodotta dalla fabbrica Biserka di Zagabria) è emblematica di una generazione che in Serbia è stata spazzata via dalla guerra e che non sarà mai più come prima di essa. Le fondine delle macchine fotografiche acquistate in un periodo di una decina di anni, modificate creativamente, diventano i trofei di caccia e sostituiscono gli animali fotografati nei viaggi che avremmo voluto fare o che, fatti, sono stati cancellati dalla memoria. Il tempo con le sue ferite può essere lenito da efficaci succedanei.

Per conoscere meglio il geniale Miloš Tomic invito senz’altro tutti a entrare nell’eccentrico e notevole sito che porta il suo nome. Qui basti dire che la serie di video Musical Diary, che si propongono come una sorta di compendio dei tentativi di rendere musicale ogni tipo di suppellettile di casa oltre che qualche strumento canonico e di creare così una colonna sonora della vita quotidiana insieme al piccolo figlio di tre anni, è in realtà una summa delle performance più acute e di più intense che si possa osservare in un unico circuito, toccando tutti i registri dell’improvvisazione, dello studio del corpo, del rapporto fra corpo e oggetti e fra naturalità e cultura… una vera meraviglia.

Voto: 6 e ½

Padiglione dell’Austria

Padiglione Austria – Mathias Poledna, Imitations of Life

 

Sarà perché sono ben disposta nei confronti della criança, che non mi incupisco subito per l’impossibilità di comprendere il senso dell’opera presentata (e molto recensita) nel padiglione austriaco. Imitations of Life di Mathias Poledna è un “corto” animato, in stile Looney Tunes (anche se ci si profonde nell’acclamarlo disneyano) che riassume in tre minuti un completo musical, con esperta colonna sonora, animaletti edificanti, bolle di sapone e tappeti volanti nella foresta incantata di grimmiana memoria.

Mi dicono che il merito dell’opera (di cui nelle sale contigue a quella di proiezione è una serie di frames che mostrano passaggi della digitalizzazione, schizzi preparatori, ecc.) risiede nell’altissima qualità tecnica del prodotto, nella bravura somma dell’artista che acquarella gli sfondi di ogni singolo tassello del girato; nella perizia del compulsare favola e prodotto statunitense degli anni ’40 a uso e consumo dell’Europa.

Nel richiamo a quel glorioso modernismo austriaco che non impedì tuttavia l’abbandono del padiglione biennaliero durante il periodo bellico (gli artisti austriaci esposero dal 1938 al 1942 nel padiglione degli anschlussiani cugini tedeschi); nell’aver rielaborato una canzone degli anni ’30 in facies di colonna sonora breve. Insomma, nell’aver costruito un cartone animato con le tecniche filmiche più avanzate e facendo ricorso alla maestria del tempo andato. Il video è ormai parte della prestigiosa Thyssen-Bornemisza Art Contemporary di Vienna; “rischiava” di vincere un Leone d’Oro per le partecipazioni nazionali…

Incomprensibile.

Voto: 5 (perché il filmino è caruccio anzicheno)

Padiglione della Polonia

 

Padiglione Polonia – Konrad Smoleński, Everything was forever, until it was no more

Per gustare appieno i contenuti di questo padiglione è necessario informarsi sugli orari della performance che consiste in un concerto singolarissimo per “campane e rumori”, composto dall’artista e compositore Konrad Smoleński (1977), il quale combina sonorità punk con il minimalismo più elegante, dal curriculum già ricco e con all’attivo la vincita del Deutsch Bank Foundation Award nel 2011. L’opera rimanda alla tradizionale manifattura della fusione di campane il cui suono accompagna da sempre la scansione delle nostre vite e del tempo in generale, qui esaltata dall’amplificazione dei trasmettitori a lato della grande sala e dal fatto che è del tutto inusuale sentire uno scampanìo così potente in un ambiente comunque così limitato (meglio servirsi degli appropriati tappi forniti dall’organizzazione).

Il suono delle campane dal vivo, registrato e poi rielaborato dall’artista sino a renderlo un loop destabilizzante e rapinoso dagli sconnessi riverberi e giustapposizioni, lascia posto in un secondo tempo a una sorta di rumore di fondo di variabile intensità e timbro così intenso da annichilire più di un visitatore. In effetti sembra che la vibrazione in sé sia ciò che le ultime teorie astrofisiche collegano al suono primordiale ovvero a una costante frequentissima vibrazione di bastoncelli (le note superstringhe di Greene), che da qualche tempo affascinano molti artisti.

E’ anche centrale, per Smoleński lo studio di Thomas Barbour sul tempo, considerato come una successione di “ora” infiniti e non come un fluire di eventi cronologicamente e linearmente disposti. Ma in quest’opera si legano anche una serie notevole di citazioni da studi scientifici e opere della letteratura e del teatro del ‘900.

Tutto ciò produce un effetto notevole e assolutamente ben calibrato.

Voto: 6/7 (da premiare anche il fatto che un’opera così non potrà mai entrare nei salotti del collezionismo rampante…)

Padiglione della Romania

 

Padiglione Romania – Alexandra Pirici e Manuel Pelmuş, An Immaterial Retrospective of the Venice Biennale

 

Esplicito omaggio al passato biennaliero è anche la prova offerta dall’attrice (ha lavorato con due Coppola registi: Francis Ford ne “Un’altra giovinezza” e Massimo ne “Hai paura del buio”) e coreografa Alexandra Pirici e dal ballerino e coreografo Manuel Pelmuş (vincitore del Berlin Art Prize per le Arti performative nel 2012), che si avvalgono della collaborazione con Căminul Cultural, il Centro Nazionale di Danza di Bucarest per la partecipazione rumena a questa edizione.

La performance è ambiziosissima: per tutta la durata della Biennale, alcuni ballerini interpreteranno, solo attraverso le movenze dei propri corpi, la storia della Biennale veneziana sin dagli esordi del 1895. Mostreranno luci e ombre di una storia che non ha potuto evitare i rivolgimenti non solo politici e sociali dei tempi ma anche le più varie temperie culturali, la fronda e la reazione, i poteri dell’arte di regime e le rivoluzioni delle avanguardie che comunque qui hanno trovato asilo. Un’idea bellissima realizzata in maniera poetica e avvincente: le opere e il tempo diventano gesti e coordinazione, dialoghi e relazioni.

Vale la pena di fermarsi un poco per acchiappare un pezzo di storia della civiltà occidentale del XX secolo.

Molto buono.

Voto: 6 ++

Padiglione della Grecia

Padiglione Grecia – Stefanos Tsivopoulos, History Zero

 

“In” Grecia ci attende ciò che ci si potrebbe attendere da questa martoriata Nazione. L’epopea del denaro e le malefatte da questo perpetrate a vari livelli della quotidianità. Con l’icastico titolo di History Zero, Stefanos Tsivopoulos illustra una treccani di possibilità alternative al denaro scambiato ed, edificante, narra le vicende di tre emblematici personaggi della modernità: un africano emigrato ad Atene trascina con fatica un carrello di supermercato per le vie spesso sconnesse della capitale ellenica, misurando le periferie e le aree più disagiate della Città per raccogliere lacerti di metallo da rivendere; un video artista si aggira per le strade ateniesi catturando frammenti di varia umanità alla ricerca di un’ispirazione sufficiente utilizzando il suo i-Pad; una mercante d’arte, preda di demenza senile, si avviluppa nelle sue bellezze collazionate mentre procede nel costruire origami con banconote da 50 euro. L’installazione è una denuncia della massificazione del genere umano attraverso un unico sistema di scambio monetale, basato su un valore fisso, decretato da un potere egemonico. Troppo didascalico, anche se i video sono buoni, benché mantengano una disomogeneità eccessiva fra loro laddove forse dovevano far “gruppo”, almeno semantico.

Voto: 5

Padiglione del Portogallo

 

Padiglione Portogallo – Juana Vasconcelos, Trafaria Praia

All’uscita dei Giardini, ci accoglie il rutilante Padiglione del Portogallo collocato su un battello, il progetto davvero veneziano della brava Juana Vasconcelos, anch’esso omaggio al passato intessuto di fruttuose relazioni fra Italia e Portogallo, Venezia e Lisbona. Una storia di mercati, diplomazie ma anche reciproci profondi portati culturali. Il padiglione evidenzia i tre caratteri costitutivi delle due Città che dal XIII al XVI secolo furono i veri e propri “traghetti” della civiltà occidentale verso la modernità: acqua, navigazione e navi.

Il traghettone della Vasconcelos è una crasi felice fra un cacilheiro lisboeta usato sul fiume Tejo, dismesso da due anni e qui portato, e un vaporetto veneziano. Un padiglione fluttuante e senza fissa dimora, quindi. Esternamente piastrellato di azulejos con il panorama di Lisbona, il festoso naviglio conduce i passeggeri per giri nella laguna a orari fissi (da controllare davanti al pontile sul cartello informativo), ma anche senza tour, si può godere di una singolare interpretazione del duchampiano dictat intorno al cambiamento dell’oggetto senza modificarne la funzione.

Sottocoperta ci si inoltra in una selva di morbide forme organiche ispirate al fondo marino, dai colori bianchi e blu illuminate fiocamente da luci a led, costruite in tessuti ricamati a uncinetto e trapuntati di conterie e cristalli. Una sorta di caverna sensoriale in cui ci si perde facilmente ma con enorme piacere. Una gradevole favola disciplinata da forti contenuti intellettuali, con una buona punta d’ironia (prego osservare le vetrine sovracoperta con i gadgets del padiglione…).

Voto: 6

La MSC Divina solca le acque del Bacino di San Marco
indifferente al buon senso comune e alla disperazione dei veneziani
(immagini riprese dal Padiglione del Portogallo)

Mentre sto godendo dell’ultimo padiglione della giornata e già pregusto la cenetta che verrà, spunta all’orizzonte, ovvero dal Canale della Giudecca, una di quelle mostruosità su cui non si fa mai torto a gettar disdoro. Arriva spaventevole come il kraken degli abissi del grande Verne nientepopodimenoche la MSC Divina, con il suo carico di passeggeri franati in laguna senza neppure sfiorare la Città, ma devastandola anche solo con il passaggio.

Intorno alla Divina(de-che?) sciorina, come insetti fastidiosi o pesci pilota servili ma opportunisti, una serie innumerevole di barche e barchette, i rimorchiatori che ormai credo servano più per “scortare” nel vero senso della parola quell’allucinante visione sino alle bocche di porto al Lido, preoccupati che qualche facinoroso possa guastare la circolazione ai speriamo-mai-più-schettino di turno. Tutt’intorno cala il buio, eclissata la vista sulla straordinaria Punta della Dogana e sull’aurato Bacino di San Marco da quella pattumiera natante, annebbiata la sera dolce di un fresco inizio giugno.

Fra qualche fischio e il raccapriccio dei più, scivola il mostro verso quelle che dovrebbero essere, ma ancora non sono, le sue forche caudine.

Ed eccovi quindi, le ultime dal cielo in proposito che risalgono al giugno scorso. Un comitatone di ministri, sindaci, governatori, capitani di lungo corso, politici di vista breve e chi più ne ha più ne metta, ha partorito in Roma l’ultimatum del 25 luglio prossimo per la presentazione di un itinerario alternativo a quello demenziale (unico aggettivo possibile) attualmente in vigore per questi enormi carrozzoni. Tutti contenti e felici, tutti senza responsabilità, come se quell’infausto passaggio fosse un dazio che dobbiamo pagare a un invasor tiranno che ci piaga e ci piega, manco debba arrivare Foscolo a liberare la Patria, da anarchicone qual fu.

Cito dall’ANSA, 13.06.2013 e fra me allibisco per la faccia come il gomito (come si dice da queste parti): Le grandi navi, secondo Orsoni, devono continuare a transitare, ma “nelle forme che saranno ritenute compatibili con la salvaguardia della città e della sua laguna”. All’incontro hanno partecipato anche il presidente dell’autorità portuale di Venezia, Paolo Costa*, il comandante delle Capitanerie di porto ammiraglio Felicio Angrisano e i rappresentanti degli armatori. Occorre “togliere le navi da San Marco – ha affermato Costa – senza che questo metta in crisi la crocieristica veneziana e italiana e il resto dell’attività portuale e possibilmente migliorando la situazione ambientale della laguna”.

Possibilmente? Basta così, per oggi.

*sindaco di Venezia dal 2000 al 2005, uomo politico di area “margheritiana”, ministro in un governo Prodi, ex rettore di Ca’ Foscari, ecc. ecc. Oggi pare inconciliabile con il collega anche di schieramento, attuale sindaco Orsoni il quale medesmo per sua parte afferma non essere del sindaco la responsabilità delle grandi navi in laguna. Dell’ex sindaco, forse, sì? Vien da chiedere: ma chi diavolo mai votiamo noi venexiani come capo del battello?

 

CONSIGLI PER L’ITINERARIO AI GIARDINI

Quest’anno niente più ricette di piatti indigeni, dritte per i bácari più scònti ed esclusivi… L’indigestione venexiana è garantita per chi viene in laguna e si può sempre far conto sui dindòn precedenti a questo. Piuttosto il consiglio per accompagnare la visita s’impunta sulla colonna musicale della giornata, prendendo il sottotitolo come guida e illuminazione. E si enuclea in forma di slogan (come si deve fare oggi per essere ascoltati).

Se visitate i Giardini della Biennale ascoltate in loop ciò che vi farà pensare a un grande futuro appena dietro al lobo dell’orecchio, una colonna sonora che assapora gusti di vecchio stile senza cercare di farlo sembrare contemporaneo, una sonorità che rilascia umori di vecchie glorie ancora leonine, ma morte e contente di esserlo. Sontuosa coreografia a un passaggio lieve per qualcosa che ha da finire, ma che tiene duro con la grinta della passione e soprattutto della tecnica consumata.

Che Dio preservi i Queens of the Stone Age nel loro ultimo sforzo Like Clockwise, tutto bello, dal primo all’ultimo brano, perfetto per questa prima gita d’addio all’antica era.

 

Testo e immagini di Cristiana Curti per ArTslife
Consulenza musicale: Ferdinando Aspesi

 

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