“Nessun allestimento migliore di quello di Pier Luigi Pizzi si può immaginare per la Biennale di Palazzo Corsini”. Ne è convinto il presidente Giovanni Pratesi e si lusinga il maestro, che lasciò lì suo segno nel 2001, e anche in questa ventottesima edizione ha visto alzarsi quelle sue stesse strutture neo barocche che si adattano perfettamente agli spazi eloquenti del palazzo affacciato sull’Arno.
Eppure, a parte questo rispettoso omaggio alla tradizione passata e recente, dai 74 salotti di antiquari e galleristi trapela una volontà di svecchiare quel settore, l’antico, che nel mercato dell’arte è certamente il più in sofferenza. Anche quando c’è la qualità, come nel caso di questa raffinata selezione supervisionata da un vetting di rispetto (da Cristina Acidini a Mina Gregory, da Charles Havery a Nicola Spinosa, da Fernando Mazzocca e Enrico Colle, da Giancarlo Gentilini Angelo Tartuferi).
In molti sentono l’urgenza di un tocco più moderno, vuoi nella scelta del colore delle pareti – quest’anno dominano i grigi -, vuoi nel modo di disporre gli oggetti in allestimenti spettacolari, come accade ormai da tempo a Maastricht che resta il riferimento d’obbligo per ogni fiera d’arte.
Si cerca di attrarre un pubblico più giovane, e a giudicare da chi ha sfilato nel giorno della preview su invito e al vernissage, venerdì, gli under 50 sono stati certamente più del solito. Molto merito va riconosciuto anche ai giovani galleristi che con sempre più competenza e sicurezza affiancano i “grandi”: Marco Longari col padre Ruggero e lo zio Mario, Tommaso Piva affianco al padre Domenico, Tommaso Megna con il padre Fabio Massimo, Alessandro Montanaro vicino a Carlo, Edoardo con la madre Tiziana Sassoli, e così via. E poi Matteo Lampertico, i fratelli Cribiori dello Studiolo, Matteo Salamon,Fabrizio Moretti, Pietro Cantore.
Tutti tra i quaranta e i cinquanta, stanno dettando il trend più giovanile della stessa abbottonatissima Biennale fiorentina. Allo stand dello Studiolo hanno scelto una grafica bizzarra per le didascalie, ad esempio; Roberto Caiati con Gallo senior e junior propongono accostamenti tra oggetti antichi con gusto attuale; Matteo Lampertico spara i suoi Fontana accanto alle tele del Seicento. A proposito di novità, va segnalata la presenza di tanti stranieri. Non tanto tra gli espositori, che anzi sono solo 11 con qualche defezione rispetto a due anni fa. Si sente ad esempio la mancanza del parigino Maurizio Canesso che ha preferito prepararsi a Paris Tableau, in scena dal 13 al 17 novembre. Presenti molti stranieri tra i visitatori.
E non solo appassionati, collezionisti e intenditori. “ E’ la prima volta che ricevo così tante richieste di materiale da conservatori di musei stranieri”, afferma Matteo Salamon, che merita queste attenzioni, visto che ha portato una raffinata selezione che anticipa la mostra di disegni antichi che aprirà in galleria a Milano il 16 ottobre. “Abbiamo venduto a clienti russi, ben due opere”, dichiara appena due ore dopo l’aperura soddisfatto il suo ex socio Roberto Caiati. E poi si sente di continuo parlare inglese, spesso con accento americano, russo soprattutto, e poi francese, belga o olandese.
Forse se il presidente Pratesi avesse fatto il suo speach d’apertura dopo aver passeggiato per Palazzo Corsini nelle 9 ore dell’affollata preview, avrebbe evitato quel continuo e insistito parlare della sua Firenze, scivolando in provincialismi che una Biennale Internazionale non può permettersi.