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Intervista ad Adalberto Abbate

 

“(…) di quei morsi al fegato che continuamente bruciavano e dell’improvviso doloroso guizzo del cuore”
 “Il giorno della civetta” – Leonardo Sciascia

Per quanto decontestualizzata, suppongo questa sia l’espressione che meglio riassuma la sensazione di disagio che si tende a provare davanti alle opere di Adalberto Abbate, siciliano di nascita (1975),  adottato da diversi centri d’arte internazionali, uno fra tutti il Beaubourg parigino ( è del 2012 la personale “UTOPIES / des mondes imaginaires vus à la loupe” Centre Pompidou, Paris, France).

Smaliziato ma non per questo privo di fiducia, quando gli chiedo cosa ancora lo spinga a continuare a vivere a Palermo mi risponde: “Vivo e lavoro a Palermo perché é una realtà che va difesa. C’e’ un legame di sangue con questa mia terra e una responsabilità che non posso buttare dietro le spalle”.

E la responsabilità etica di cui parla traspare in molti dei suoi lavori, in cui sembra impellente il desiderio di canalizzare, attraverso i suoi occhi, gli sguardi della gente comune, fatti propri in un gioco di rimandi, dove chi impara dall’arte non è soltanto lo spettatore ma anche chi vi lavora e “sguazza”.

Mi confessa di cercare “semplicemente di raccontare una verità utile e comprensibile a tutti, di costruire un serie di testimonianze chiare e sincere di questa realtà che viviamo attraverso le verità osservate e raccontate dalla gente incontrata ogni giorno”.

Proprio “ la vita degli altri” entra nel suo “modo di vedere il contemporaneo”; le altrui incertezze e le paure si mischiano nel rapporto che Abbate intrattiene con la storia, il presente, la religione, la politica, l’arte e “quella cosa oggi informe che chiamano cultura”, che altro non è se non “il risultato della vita vissuta nel continuo confronto e nell’analizzare ogni singola azione, forma e risultato.”

 

Erziehungs-Entwicklungsprozess , 2003, stampa su pvc, 110x140cm

C’è chi, come Leonardo Sciascia, in questa “nostra” terra scavava attraverso l’arte dello scrivere, servendosi di parole altamente ustionanti, con le quali distingueva “gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà”.

Adalberto, forte del suo retaggio isolano, si pone nella stessa ottica, disintegrando visivamente i volti di coloro che “parlano di bene sociale e mai di qualità ed entusiasmo, rinvangano parole rivoluzionarie depauperate della loro essenza, mantenendo una maschera o un sorriso o un espressione di plastica”. Danneggiareper scavare dentro e trovare in tutto quel difetto un qualcosa che è stato riposto da qualche parte dentro di noi.”

Che questo “qualcosa” sia tensione al Bene comune non lo direbbe, piuttosto sarebbe necessario puntare tutto su “la rivolta individuale e il cambiamento dell’individuo sociale”,  perché solo una accresciuta presa di coscienza del singolo riuscirebbe ad “abbattere quella struttura mostruosa che regge e protegge quel niente che ci rappresenta”.

La consapevolezza del proprio ruolo da artista muove dall’idea di dover condurre la propria lotta di ideali da solo,“perché se deleghi qualcuno che tiene in mano le redini della cultura a Palermo… come in Italia …ti ritrovi in un buco nero.

SELFPORTRAIT, 2011, ritratto fotografico danneggiato, cm 50×60

Credo che ad incoraggiare le sue nuove ricerche visive abbia contribuito anche un’interessante collaborazione, intrapresa con l’Associazione Amici dei Musei Siciliani, di cui Bernardo Tortorici di Raffadali è presidente. Questi ha dato all’artista la possibilità di sperimentare un nuovo ciclo di opere incentrate  sul  tema della natività.  Inaugurata lo scorso 24 dicembre presso l’ex sacrestia dell’Oratorio di San Lorenzo di Palermo, sede per eccellenza del barocco serpottiano, la sua ultima personale prende le mosse dalla volontà di ricordare uno degli eventi più traumatici del panorama artistico dell’isola: il trafugamento della Natività del  Caravaggio.

Così quando mi soffermo sulla relazione che intrattiene con la religione, molto chiaramente mi risponde: “La religione è un aspetto importante per sapere chi siamo e chi continueremo ad essere ed in particolare una  natività è in grado di descrivere, a livello metaforico, le difficoltà dell’essere uomini”.

Estremamente audace e coerente con la propria linea di pensiero, Abbate non lascia trasparire alcuna amarezza, ma soprattutto demotivazione.

Non risolverò nulla nell’immediato ma spero, almeno un giorno, insieme a quel ridottissimo gruppo di persone sane e incorruttibili che stanno cercando di dare nuova luce a questa città, di rallentarne il degrado e ostacolare qualche incompetente nella sua passeggiata comoda verso la sua poltrona”.

 

NATIVITA’, 2013, serigrafia su carta

 

Nessuna delle sue immagini “si proietta ad analizzare un’unica visione della realtà e così un’immagine religiosa può parlare di politica, un ritratto può raccontare i luoghi che ci trasformano, e una svastica simboleggiare un difetto contemporaneo, la nostra involuzione sociale in continua evoluzione”.

E l’involuzione di cui Abbate tratta era stata ben analizzata già quasi quarant’anni fa…

“Ministri, deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali: quella che si suole chiamare la classe dirigente. E che cosa dirigeva in concreto, effettivamente? Una ragnatela nel vuoto (…). Anche se di fili d’oro” (Todo modo” –Leonardo Sciascia)

INFORMAZIONI UTILI:
La mostra sarà visitabile fino al 17 ottobre 2014, data della ricorrenza del furto.
“NATIVITÀ” Oratorio di San Lorenzo,
Via dell’Immacolatella 5, Palermo
aperta tutti i giorni dalle h 10.00 alle h 18.00
www.adalbertoabbate.com

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