LOCKE è il secondo attesissimo film del regista britannico Steven Knight, già noto per l’opera prima Redemption – Identità nascoste e le sceneggiature, entrambe candidate agli Oscar, de La promessa dell’assassino e Affari sporchi. Il film, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2013, è sbarcato in questi giorni in Italia in sole 40 sale cinematografiche.
Locke racconta la storia della costruzione di un edificio – così imponente da “rubare uno spazio al cielo”- e, insieme, della possibile distruzione di un uomo. Quest’uomo è Ivan Locke, con una famiglia perfetta e un lavoro che svolge con professionalità da tutti riconosciuta.
La sera prima del giorno più importante della sua solida carriera, Locke si toglie gli stivali da lavoro, come al solito sporchi di cemento, e sale in macchina. Siamo all’interno della sua BMW altamente accessoriata: la freccia di posizione lampeggia e il semaforo sta per diventare verde, Ivan guarda lo specchietto retrovisore e, ad un tratto, cambia strada.
È l’inzio di un Viaggio, una corsa contro il tempo, che cambierà la sua vita.
Con queste premesse, lo spettatore non può che rimanere con gli occhi puntati come fanali sullo schermo per tutta la durata del film, che dura -straordinariamente di questi tempi- poco più del minimo richiesto per poter essere considerato un lungometraggio (85 minuti).
L’idea era nata durante le riprese del suo precedente film, nelle quali Knight aveva sperimentato diverse tecniche di ripresa all’interno di un’auto in movimento.
La volontà era di offrire qualcosa che fosse più di un film, e quello che serviva era metterlo in scena con l’aiuto di una vera potenza: Tom Hardy, davvero perfetto come già dimostrato in passato per la sua magistrale interpretazione del violento psicopatico Bronson e dell’inquietante cattivo de Il Cavaliere Oscuro.
Ivan è alla guida, totalmente avvolto dalle voci presenti e anche assenti della sua vita. Durante il viaggio da Birmingham a Londra, Ivan compie e riceve una serie devastante di telefonate: alla moglie Katrina (Ruth Wilson), ai figli (Tom Hollande e Bill Milner), al suo capo Gareth (Ben Daniels) e al fedele collega Donald (Andrew Scott). E alla fragile donna che lo sta aspettando in un ospedale di Londra, Bethan (Olivia Colman).
Locke, in quell’abitacolo tecnologico e pieno delle luci quasi psichedeliche del traffico notturno, si gioca le fila di tutta la sua vita. Deve difficili spiegazioni alla famiglia, deve dirigere la più grande colata di cemento della storia della città e deve fare i conti con se stesso e con un padre che non c’è stato.
Tutto il film è potente ed estremamente coinvolgente, ma a mio avviso due sono “i protagonisti” ancora più forti di questa narrazione, gli unici di cui non sentiamo le voci: l’immane e imminente colata di cemento da tenere a bada e il padre, a cui si rivolge come passeggero assente e al quale vuole dimostrare che può esserci un’altra via, quella DIRITTA, seppur più rischiosa.