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Revenant – Redivivo, il nuovo ambizioso lungometraggio di Alejandro González Iñárritu

Revenant – Redivivo

È uscito nelle sale, con le sue due ore e trentasei minuti, Revenant – Redivivo, il nuovo, ambizioso lungometraggio di Alejandro González Iñárritu. Lo scorso anno il regista messicano ha vinto ben quattro premi Oscar (tra cui quello per la miglior regia) con un film scritto e girato nell’attesa di completare Revenant: Birdman o (l’imprevedibile virtù dell’ignoranza), che con il suo movimentato piano-sequenza e la sua sardonica riflessione sullo show business è stato in grado di conquistare il grande pubblico.Revenant – Redivivo

Revenant –candidato a ben dodici statuette – è una visione magnifica, costruita da Iñárritu attraverso precise e spesso difficili scelte stilistiche (di cui si è parlato molto più che del film in sé). La troupe ha inseguito il gelo dell’inverno dal Canada agli Stati Uniti, completando le riprese in Argentina, Iñárritu e il direttore della fotografia suo conterraneo: Emmanuel Lubezki, hanno voluto girare Revenant in sequenza cronologica, usando solo luce naturale. Le uniche eccezioni sono costituite dai falò notturni, agitati dal vento e quindi ingovernabili, dalle stupende sequenze oniriche e dalla scena mozzafiato dell’attacco dell’orso. Quest’ultima costituisce il sanguinoso trigger narrativo ed è l’unica scena girata per il 3D.

Il risultato di questa demistificazione cinematografica è straordinario, grazie a essa Iñárritu realizza il «sogno del grande romanzo americano» che per decenni ha mosso scrittori e cineasti. Revenant muove dall’omonimo romanzo di Michael Punke ma è attraverso il lavoro di Iñárritu e Lubezki che diventa un ampio e solido racconto per immagini.

Revenant – RedivivoIl protagonista della vicenda, l’esploratore Hugh Glass, che nel 1823 fu abbandonato dai suoi compagni in Nord Dakota dopo l’attacco di un’orsa intenta a difendere i propri cuccioli, deve condividere il suo ruolo principale con una natura monumentale e dinamica. Si pensi alla scena in cui Glass, ripreso in campo lungo, sembra camminare sulle acque, in realtà con l’avvicinarsi della camera ci accorgiamo che si tratta solo di continue folate di vento che increspano la superficie della neve come brevi onde. Siamo lontani dalla pretenziosità universale di Terrence Malick, quella di Revenant è una natura che non è mai sovrastante ma che ha bisogno di essere compresa per essere attraversata e risolta.

In Revenant il racconto di vendetta diventa presto un movimento, un’ampia progressione del disegno narrativo, in cui l’uomo Glass (interpretato con forza sovraumana e coscienza da Leonardo DiCaprio), il redivivo, viene fuori dalla terra in cui era stato frettolosamente seppellito e infaticabile affronta il suo percorso di ricostituzione. Glass sa che per farcela deve comprendere e accettare la natura che lo avvolge e lo completa, Iñárritu e Lubezki sembrano pensare a Emerson e al suo saggio Natura quando ci mostrano l’intima e delicata corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo. Revenant – RedivivoSin dalla scena iniziale, con le faville dell’incendio nel campo Pawnee che punteggiano in primo piano lo schermo e si alzano verso un cielo gravido di nubi. Da allora sarà un susseguirsi di pulviscolo osservato alla luce di una finestra, fiocchi di neve in lenta caduta, persino polvere da sparo che scoppietta in gola per cauterizzare una ferita.

In Revenant l’antieroe possiede lo sguardo vacuo e il piglio da uomo del sottosuolo che Tom Hardy ha creato per lui. Il cacciatore Fitzgerald è aberrante, mellifluo, immorale e disonesto ma persino lui teme le manifestazioni della natura e ancora di più chi è in grado di coglierle e farle proprie.

Ha dell’incredibile come una tale potenza narrativa trovi nella precisione stilistica dei due cineasti messicani la possibilità di manifestarsi in un racconto cinematografico così godibile, empatico e stupefacente. Ad arricchirlo la colonna sonora di Ryūichi Sakamoto (che torna al cinema occidentale dopo Omicidio in diretta) e Alva Noto, suoni che sembrano provenire dalle profondità boschive e dalle mai immobili distese di ghiaccio e che accompagnano lo spettatore verso l’epilogo, verso un finale che non è chiusura o quadratura, ma ha le fattezze dell’incessante corso di un fiume che continua a fluire solenne di fronte a noi.

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